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Giacomo Alberione, SSP
Ut Perfectus sit Homo Dei

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Diverse forme di povertà. Il lavoro

     Tutti gli Istituti sono tenuti alla povertà, ma non tutti nello stesso modo: altra è la povertà di un Cistercense, altra quella di un Gesuita. Sta la norma di San Tommaso: «La povertà religiosa ha valore istrumentale, in ordine cioè ai due fini cui è ordinata: la santificazione e l’apostolato».


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     La povertà è più difficile ad osservarsi dove di necessità più persone entrano nell’amministrazione; ma dipende dalla natura dell’Istituto; occorre vigilanza.

     La virtù della povertà poi è più per gl’individui, che non per l’Istituto. Questo deve assicurare lo sviluppo delle opere ed assicurare la propria esistenza e progresso; ma anche qui vi sono limiti: la fiducia in Dio, lo spirito della povertà, la cura pur delle briciole di tempo e di pane, un conveniente sovvenire agli indigenti, ecc. sono sempre da tenersi presenti.

     Tutti gl’Istituti sono tenuti al lavoro, che è legge naturale, e penitenza del peccato; la Professione aggiunge nuove leggi; non ne toglie.

     Vi è obbligo per tutti gl’Istituti, ricchi e poveri, che prima di ricorrere alla beneficenza è dovere lavorare. La possibilità di lavorare è già provvidenza di Dio. Pio XII, nella Costituzione Sponsa Christi, lo ripete con parole chiarissime.

     Educare al lavoro significa elevare e far la fortuna, la carità, il bene di un giovane, per la vita e per l’eternità.

     Quando un uomo vive disciplinato, domina i sensi e le contingenze, nell’intimità della famiglia ed in società, sarà rispettato, ammirato; sarà utile a sé ed al prossimo; darà un suo buon apporto all’umanità ed alla Chiesa. Sii uomo! Vir, vis, forza.

     I santi sono tutti lavoratori. In proporzione degli anni vissuti, quanto hanno operato, ed in quante direzioni! S. Tommaso d’Aquino, S. Francesco d’Assisi, S. Bernardo, S. Francesco di Sales, S. Giuseppe Cottolengo, S. Giovanni Bosco, S. Alfonso Rodriguez, S. Giovanni


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Battista de La Salle, S. Giovanni della Croce, S. Alberto Magno, S. Camillo de Lellis, S. Giovanni M. Vianney, S. Domenico, S. Alfonso de’ Liguori, ecc.: tutti! Diedero il primo posto al lavoro interiore; poi questo fruttò l’operosità esterna così meravigliosa, fruttuosa, umanitaria, che desta in tutti grande ammirazione.

     S. Paolo scrive ai Tessalonicesi: «Quando eravamo presso di voi vi davamo questo precetto: Chi non vuole lavorare non mangi. Ma ora sentiamo dire che alcuni di voi si comportano disordinatamente, facendo nulla. Ora a costoro noi prescriviamo ed esortiamo nel Signore Nostro Gesù Cristo che mangino il loro pane lavorando tranquillamente» (2Ts 3,10-12). «Lavoriamo faticando con le nostre mani» (1Cor 4,12). Egli fu un grande lavoratore. Insiste più volte a dire che quanto occorreva a lui ed ai suoi compagni di predicazione «ministraverunt me manus istæ»,7 lavorando anche di notte nell’arte appresa in gioventù. Dice di sé: «in plagis... in laboribus, in vigiliis...»8 (2Cor 6,5). Egli è il più felice interprete ed imitatore di Gesù Cristo; anche in questa parte la sua vita è in Cristo: «Mihi vivere Christus est».9




7 «Hanno provveduto queste mie mani» (At 20,34).



8 «Nelle percosse..., nelle fatiche, nelle veglie».



9 «Per me il vivere è Cristo» (Fil 1,21).






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