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Giacomo Alberione, SSP
Ut Perfectus sit Homo Dei

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Il “dono” della pietà

     Abbandonando la preghiera tutto l’edificio spirituale cade e rimane un cumulo di rovine, un bel castello, ma diroccato.

     Facciamo un passo avanti: donum gratiæ et precum.7

     La pietà considerata come dono dello Spirito Santo. Esso produce nel cuore un affetto filiale a Dio ed una tenera devozione alle persone ed alle cose divine per


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farci compiere con santa premura i doveri religiosi.

     Questo dono ci mostra in Dio non soltanto il supremo Padrone e Giudice, ma un ottimo ed amantissimo Padre: «Accepistis spiritum adoptionis filiorum, in quo clamamus: Abba, Pater»8 (S. Paolo). Ci allarga il cuore alla confidenza e all’amore, senza escludere il timore; ed il timore stesso diviene filiale. «Ut filii Dei nominemur et sumus».9

     Anche amico.10 «Dio si pure a noi come amico. L’amicizia aggiunge alle relazioni di padre e di figlio una certa uguaglianza; amicitia æquales accipit aut facit”,11 una certa intimità, una scambievolezza d’affetto e di doni che porta seco le più dolci comunicazioni. Relazioni appunto di questo genere la grazia pone tra Dio e noi; è vero che quando si tratta di Dio e dell’uomo non si può parlare d’uguaglianza vera, ma solo d’una certa somiglianza che però basta a stabilire una vera intimità. Dio infatti ci apre i suoi segreti; ci parla non solo per mezzo della Chiesa, ma anche interiormente per mezzo del suo Spirito: “Ille vos docebit omnia et suggeret vobis omnia quæcumque dixero vobis”.12 Quindi è che nell’ultima cena Gesù dichiara agli Apostoli che ormai non saranno più servi ma amici, perché egli non avrà più segreti per loro: “Iam non dicam vos servos, quia servus nescit quid faciat dominus eius; vos autem dixi amicos, quia omnia quæcumque audivi a Patre meo, nota feci vobis”.13 Sarà quindi una dolce familiarità quella che governerà ormai le loro relazioni, la familiarità che corre tra amici che siedono alla stessa mensa: Ecco che io sto alla porta e picchio; se alcuno udirà la mia voce e mi aprirà la porta, io entrerò da lui, cenerò con lui ed egli con me:


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“Ecce sto ad ostium et pulso; si quis audierit vocem meam et aperuerit mihi januam, intrabo ad illum et cœnabo cum illo, et ipse mecum” [Ap 3,20]. Mirabile intimità a cui noi non avremmo mai osato aspirare se l’Amico divino non si fosse fatto avanti lui per il primo. Eppure una tale intimità si è avverata e si avvera ogni giorno, non soltanto presso i santi, ma anche in quelle anime interiori che acconsentono ad aprire le porte dell’anima all’ospite divino. È ciò che ci attesta l’autore dell’Imitazione, quando descrive le frequenti visite dello Spirito Santo alle anime interiori, le sue dolci conversazioni con loro, le consolazioni e le carezze di cui le colma, la pace che fa regnare in loro, la stupenda familiarità con cui le tratta: Frequens illi visitatio cum homine interno, dulcis sermocinatio, grata consolatio, multa pax, familiaritas stupenda nimis”.14 Del resto la vita dei mistici contemporanei, di Santa Teresa del Bambin Gesù, di Suor Elisabetta della Trinità, di Gemma Galgani e di tanti altri, ci prova che le parole dell’Imitazione si avverano tutti i giorni» (Tanquerey).




7 «Dono delle grazia e delle preghiere» (cf 2 Zc 12,10).



8 «Avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: Abbà, Padre» (Rm 8,15).



9 «Cosicché siamo chiamati figli di Dio: e lo siamo realmente» (1Gv 3,1).



10 Per l’ampia citazione seguente, cf. A. Tanquerey, Compendio di Teologia Ascetica e Mistica, 1928, IV edizione, n. 95B.



11 «L’amicizia o trova uguali o rende uguali».



12 «Egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26).



13 «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto quello che ho udito dal Padre ve l’ho fatto conoscere» (Gv 15,15).



14 «Per chi ha lo spirito di interiorità è frequente la visita di Cristo; e, con essa, un dolce discorrere, una gradita consolazione, una grande pace e una familiarità straordinariamente bella» (De Imit. Ch., Lib. II, Cap. I).






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