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Giacomo Alberione, SSP Ut Perfectus sit Homo Dei IntraText CT - Lettura del testo |
Fedeltà ai comandamenti e onestà naturale
Vi è il settimo comandamento «non rubare»: è legge naturale. È facile che talune mancanze si credano soltanto contro il voto, ma talvolta sono anche contro la giustizia, rispetto all’Istituto o ad altri. E si effettua la restituzione?
Vi è la fama da rispettare: ma la critica, la delazione, la mormorazione sono contro il quinto comandamento. E forse sono cose gravi, e che producono ferite nei cuori dei fratelli; e talora generano scandali.
Vi è la persona da rispettare: passa il piatto a tavola: chi è primo a servirsi deve ben pensare a chi viene appresso.
Vi sono doveri sociali che sono leggi di natura: e come si godono i vantaggi, così devono portarsi i pesi in società.
Perché taluno si procurerebbe le comodità: esempio, tenere come per esclusivo uso suo l’automobile e lasciare fratelli in disagio e magari negarla quando sarebbe
necessario per l’apostolato o altro servizio per la comunità?
Vi è il voto di obbedienza, ma vi è prima il quarto comandamento: che stabilisce l’obbligo di ascoltare genitori e superiori. E l’obbedienza va a quanti hanno qualche ufficio, sino al capo-reparto in tipografia.
La legge del sesto comandamento è pure legge naturale prima di essere un voto religioso ed un impegno sacerdotale: «non commettere atti impuri».
San Paolo ricorda una legge di natura: «non stimarsi di più di quanto si è» [Rm 12,3]. E su questo è stato scritto: chi si stima oltre la misura è un superbo; il superbo è un sotto-uomo; altrove fu detto un sotto-prodotto dell’uomo ragionevole.
Vi è l’obbligo naturale della riconoscenza: all’Istituto che li cura e nutre spiritualmente e corporalmente, che li educa, che li porta a formarsi una vita, alla professione, all’Ordinazione, alla santità.
Se non si riflette si arriva invece a condannare un po’ tutto; anche se non si possiedono tutti gli elementi di giudizio, né la capacità a giudicare. E forse sono figlioli che ebbero più aiuti e cure! E questo tacendo tutto il bene, mettendo in vista manchevolezze vere, o sospettate, o inventate, con linguaggio spietato.
È inserito poi nella natura delle cose e dell’uomo, e si avvererà: che chi condanna sarà condannato nei giudizi che avrà meritato: la misura usata per altri sarà misurata per lui. «Nolite iudicare ut non iudicemini».10