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Giacomo Alberione, SSP
Appunti di Teologia Pastorale - II edizione

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Riguardo alla disposizione. La predica chiara, ben divisa è più facile a studiarsi ed a esporsi dal predicatore, più facile a capirsi e ricordarsi dall’uditorio.

Persino dei campagnoli riescono a ritenerla per anni ed anni. Molti però avvertono che la buona divisione occorre di più nelle istruzioni che non nelle meditazioni. In ordine a questa disposizione sono di importanza straordinaria tre avvisi:

a) Prefiggersi ben chiaro il fine della predica, per coordinare tutti i pensieri, affetti, esempi ad esso. Per es. dire: voglio persuadere l’uditorio del bisogno della preghiera: ovvero che devono i genitori dar buon esempio ai figli. Ciò si potrebbe anche annotare in poche parole accanto al titolo della predica.


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b) Tenersi innanzi, scrivendo, l’uditorio: così se saranno i ragazzi si scriverà pei ragazzi, se adulti per adulti, se colti pei colti; si sceglierà tra gli argomenti, gli esempi, le applicazioni solo quanto può far per essi.

c) Non voler dire troppe cose. È vero che vi è chi tiene la sentenza opposta: ma in pratica pare assai più fruttuosa una predica ove si espongono poche cose, ma chiare, precise, profondamente inculcate. Troppo olio estingue la lampada, troppa luce accieca, a tavola basta che vi sia da sfamarsi, non sono necessarie tutte le pietanze possibili.




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