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Giacomo Alberione, SSP
Brevi meditazioni - II

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2.o Il fattore della parabola è condannato per la sua condotta: è detto nel Vangelo che dissipò i beni del padrone, che cercò di defraudarlo, cercandosi le cooperazioni di altri; che pretese vivere sempre senza lavorare, con l'inganno; che fu un fattore infedele; figlio del mondo.

     Perciò non si ha da imparare dai cattivi il male.

 


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     Vi è tuttavia una cosa che da essi si può imparare: la prudenza, l’accortezza, la provvidenza. Nel loro genere, cioè nel far male, i cattivi portano più accortezza che i buoni nel compiere il bene. Vi è chi vien corretto: anziché emendarsi si studia per coprire il peccato, forse con un altro peccato; ed anche più grave.

     Sono sorte le invenzioni: stampa, radio, cinema; ed ecco che subito ed in mille maniere i figli delle tenebre se ne valgono per i loro fini inconfessabili. Quel commerciante avaro quante industrie ed arti usa per arrivare a guadagni maggiori! Non è sempre così dei buoni per accrescere i loro meriti; per adoperare la stampa o la radio alla gloria di Dio e per le anime; per cercare sempre nuove vie e mezzi più efficaci per estendere il regno di Dio.

     Siamo negoziatori saggi; prendiamo tutte le occasioni per accrescere il numero dei meriti; con ardore, costanza, santa ostinazione operiamo il bene. Si dovrebbe sempre dire che i figli delle tenebre sono più prudenti dei figli della luce? Anche se siamo stati cattivi nel passato, possiamo mettere in pratica l’arte divina di trarre il bene dal male. La cattiva vita passata può essere mezzo per l'esercizio dell’umiltà, della pazienza, della prudenza, della carità.

 

    




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