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Giacomo Alberione Donna associata IntraText CT - Lettura del testo |
Art. I - La madre
Necessità del suo aiuto
Si è detto e si è stampato: la formazione religiosa e morale della gioventù spetta al sacerdote. Orbene: questo è un errore non solo, ma il crederlo è una disgrazia. È un errore: poiché il diritto ed il dovere di educare cristianamente i figli in primo luogo è dei genitori: chi ha data la vita del corpo deve pure dare
la vita spirituale dell’anima. E la Chiesa, più di ogni codice, rispetta l’autorità paterna e materna: tanto è vero che nei casi ordinari non concede il battesimo al bambino, contro la volontà dei genitori. Una riconferma di tal principio la diede ultimamente il papa quando, nominando coloro cui spetta di promuovere i figli alla comunione, pose in primo luogo i genitori, quindi il confessore, il parroco, ecc.
È una disgrazia, giacché nessuna influenza eguaglia nell’effetto quella di una madre sui fanciulli: «La madre, osserva il celebre autore della Formation de la jeune fille,1 in qualche modo impasta l’anima del suo bambino, che è sotto i suoi occhi, nelle sue mani, sotto il calore onnipotente del suo amore. Senza sforzo ella gli comunica le sue idee, i suoi sentimenti, i suoi gusti». Ora: a che riuscirebbe un sacerdote che credesse di poter far a meno del concorso della madre nel formare religiosamente il cuore dei giovani? A ben poco. Anzi vorrei dire che, se si vuol parlare di vera formazione, cioè educazione morale-religiosa, riuscirebbe quasi a nulla.
Lo si noti bene: educare religiosamente la gioventù non significa insegnare alcune domande di catechismo, con alcune formole di preghiere: non significa disporre i piccoli a ricevere bene la prima santa comunione ed il sacramento della cresima: no, queste cose sono necessarie, sono
mezzi, sono parte dell’educazione religioso-morale, ma sono poco. Educare significa abituare: e nel nostro caso significa abituare i giovani a pensare ed operare religiosamente. Ed in termini più comuni vorrebbe dire che il giovane non ha la formazione o l’educazione morale-religiosa se non quando nella sua mente predominano sugli altri pensieri le verità del catechismo, se non quando nella sua vita egli abbia come aspirazione principale il salvare l’anima, se non quando egli operi bene e compia gli atti di culto con vera coscienza. Questo è principio fondamentalissimo. La filosofia, la morale, l’esperienza lo insegnano: questa formazione, vorrei dire queste abitudini morali-religiose sono un vero risultato di ripetizione di atti. Richiedono che vi sia un buon angelo sempre accanto a quel giovane e continuamente vada ripetendo ed applicando ai fatti particolari le verità imparate nel catechismo: faccia ripetere le preghiere e le comunioni; esiga l’obbedienza, la carità, la castità. E questo non solo un giorno: ma due, dieci, mesi, anni, fino a che il giovane non sia giunto al punto di far da sé, con piacere, con prontezza, in ogni cosa il suo dovere. A questo non può giungere un sacerdote: neppure in tutto il padre: ma solo la madre.
Si dirà: il figlio appartiene al padre non meno che alla madre: dunque è ugualmente rigoroso in entrambi il dovere dell’educazione.
Checché ne sia in teoria: in pratica [i figli] sono addossati più alla madre. Infatti l’uomo è più spesso occupato fuori di casa: egli va al campo, all’officina, allo studio, al commercio, all’industria. La sua mente è più spesso assorbita dalle cure materiali. Allorché può dedicare le sue attenzioni ai figli, egli non possiede d’ordinario in grado elevato lo spirito religioso: egli non sa insinuarsi nel cuore dei figli come la loro madre: egli spesso non pensa di proposito a tali cose se non dietro gli avvisi e le esortazioni della moglie.
Ed è per tal ragione che il predetto autore dice: «Ai sacerdoti incombe il compito di utilizzare per l’educazione della gioventù i suoi varii ausiliari e specialmente la madre: di suscitarli e di guidarli ad un’azione comune».