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Giacomo Alberione, SSP
Maria Regina degli Apostoli

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PRIMA

 

          Abbandono in Dio significa generoso lavoro, lasciando a Dio la cura di noi stessi, della nostra salute, fama e avvenire; anche del successo od insuccesso esterno del nostro apostolato, innanzi agli uomini.

          Utilissimo è ricordare quanto afferma San Gregorio Magno: «Non è gran cosa lasciare tutto; gran cosa è invece lasciare noi stessi».

          L'abbandono personale in Dio è condizione per farci santi.

          L'abbandono dell'apostolo in Dio è condizione per il frutto delle sue fatiche ed opere.

          Gesù mostrò questo abbandono nelle mani del Padre: «Ipse vero tacebat»1, innanzi agli accusatori (Mt. 26, 36). Mirabile esempio, già preannunziato da Isaia: «Sicut agnus coram tondente se, sine voce, sic non aperuit os suum»2. Persino Pilato ne restò ammirato: «Ita ut miraretur Pilatus» (Mc. 15, 5).

          L'apostolo lavorerà con cuore ardente: il campo può essere arido o fecondo; il demonio può scatenare opposizioni e lotte; Dio può anche contentarsi del desiderio; si può morire come Gesù sulla croce... Ma il merito personale non andrà perduto; il seme gettato potrà germogliare e fruttificare in mille modi... Lavorare sempre e abbandonarsi in Dio, lasciando la cura di tutto a Colui che solo può dare l’incremento.

          S. Paolo, paragonando le sue fatiche apostoliche con quelle degli altri apostoli, constata che aveva lavorato più di tutti: non per

 


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orgoglio, ma per dar gloria a Gesù Cristo. Disseminò l'Oriente di Chiese, e tuttavia in ognuna di quelle Chiese che fondava, non raccoglieva che dolori, contraddizioni, persecuzioni, battiture, prigionie.

          Sono la parte che Gesù aveva annunziato parlando ad Anania: «Io gli farò vedere quanto dovrà soffrire per il nome mio».

          Non fa meraviglia: poiché il discepolo seguirà il Maestro: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi». Simeone, aveva profetizzato di Gesù: «Sarà un bersaglio di contraddizione».

          La Redenzione si opera con la sofferenza: è espiazione, riparazione, sacrificio, soddisfazione: «Sine sanguinis effusione, non fit remissio».

          Maria doveva compiere il più grande apostolato: essere, anzi, l'Apostola. Si dichiarò l'Ancella del Signore, di cui Egli perciò poteva disporre liberamente, a piacimento. Ella tutto accettava. Prove continue, il rifiuto dei Betlemiti, la fuga in Egitto, lo smarrimento al Tempio, i misteri ed i dolori della vita privata di Gesù: «Nesciebatis...?»3.

          Nella vita pubblica vide Gesù molte volte contraddetto, abbandonato, insidiato. Nella Passione l'anima di Maria fu trapassata dalla spada del dolore... Eppure non un lamento, un'opposizione, uno scoraggiamento. Il suo abbandono in Dio era più grande del suo dolore; il «fiat mihi secundum verbum tuum: sia fatto di me come hai detto», non venne mai meno.

          Tutta l'opera di Gesù parve, per poco, del tutto distrutta: poiché il gregge era disperso, gli Apostoli paurosi e nascosti, Gesù spirato sulla

 


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croce, i nemici esultanti per il momentaneo trionfo. Maria era desolata, ma non disperata. Ogni sofferenza sua diventava apostolato, luce, vita, salvezza per le anime: mai, potremmo dire, Ella era più sicura della Redenzione del mondo e delle anime.

          Gesù la fece Madre degli uomini. La lasciò a confortare gli Apostoli, salendo al cielo; Maria dovette a lungo attendere prima di ricongiungersi al Figlio suo amatissimo in Paradiso... Maria non desiderava nè rifiutava una cosa o l'altra: desiderava solo il divino volere. Certissima che tutto era a profitto delle anime. Tutto: trionfi e umiliazioni, gioie e pene, tutto coopera all'apostolato. Quando non vi è altro sulla terra, rimane ancora sempre l'Apostolato che è più salvifico: quello della sofferenza. E quando questo termina, l'apostolo va in cielo ove eserciterà un apostolato nuovo, più efficace, più largo: l'intercessione. «Io occuperò la mia eternità a far cadere sulla terra una pioggia di rose», diceva S. Teresina.

 

 




1 “Egli però taceva”.



2 “(Stava) come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca” (Is 53,7).



3 “Non sapevate…?” (cf Lc 2,49).






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