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Sac. Giacomo Alberione, Primo Maestro della Pia Società San Paolo Oportet orare IntraText CT - Lettura del testo |
b) La superbia.
b) La superbia. Persuasi di
essere qualche cosa, non sentiamo il bisogno dell'aiuto di Dio. Si
intraprendono opere fidando di noi: di quel che si è letto, di quel che si è
studiato, della memoria, della intelligenza e abilità. Si va incontro ai
pericoli del giorno, fidando sui propositi e sulla vita passata buona. Per
questa stessa superbia la preghiera, anche quando è fatta, manca delle dovute
disposizioni. La preghiera deve partire da un'anima umile, ed è il gemito del
povero, del bisognoso che invoca Dio e che fa salire le sue voci fino al cielo,
al Padre delle misericordie, al Dio della bontà, da cui viene ogni dono
perfetto e ogni dato
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ottimo. Ma il superbo, invece, guasta la sua preghiera. «Deus, gratias ago tibi, quia non sum sicut ceteri hominum: raptores, injusti, adulteri... jejuno bis in sabbato, decimas do omnium quae possideo»23, pregava il fariseo: Signore, io non sono come tutti gli altri uomini: io digiuno due volte la settimana; io pago le decime; io scrupolosamente soddisfo a tutti gli obblighi imposti dalla legge... E che cosa ottenne? Se ne andò più miserabile e più povero di prima, perché non è questa la preghiera che Iddio ascolta. La preghiera che Iddio ascolta, è il gemito dell'anima umile, è il grido dell'anima bisognosa, è il sentimento della propria incapacità: «Esurientes implevit bonis, et divites dimisit inanes»24. Ecco il ricordo che ci dà la nostra Madre Maria, modello e maestra di santa orazione.