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Sac. Giacomo Alberione, Primo Maestro della Pia Società San Paolo
Oportet orare

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a) Il peccato toglie la luce alla mente.

            a) Il peccato toglie la luce alla mente. Chi si allontana da Dio, perde la luce della mente. Quando noi facciamo gli Esercizi o il Ritiro mensile, abbiamo una luce per cui vediamo bene, e proponiamo: «Io il peccato non lo voglio: io voglio fare bene i doveri, e farli con generosità; non sarò per metà dell’io e



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per metà di Dio, ma tutto di Dio». L'anima allora vede bene. Ma quando abbandona la preghiera, i motivi non sono più chiari nella mente; la luce va illanguidendosi, estinguendosi; il peccato non fa più orrore; il pensiero del paradiso non ci attrae più, e quindi forse si rimane in piedi ancora un po' di tempo, quasi per forza di inerzia, ma intanto, sensim sine sensub, l'anima va man mano accostandosi sempre più all'orlo del precipizio. E quando verrà il giorno fatale: «Oh, non pensavo; non avrei mai più creduto; avevo fatto tanti propositi». Eh! sì, occorreva che fra i tanti propositi vi fosse per primo quello della preghiera. Oh, quante lacrime e quanti gemiti, quanti atti di dolore abbiamo poi dovuto dire perché non abbiamo pregato! Si commettono peccati, e, d'ordinario, le conseguenze che noi dobbiamo poi piangere, hanno un'unica causa e spiegazione: la fiducia in noi, la mancanza di preghiera: per la superbia non vediamo i nostri bisogni e quindi non preghiamo; e, non pregando, confidiamo sempre più in noi stessi. Guai a chi conta su di sé! Si appoggia ad una canna fessa... L'uomo dopo il peccato originale è in deterius commutatus, secundum animam et secundum corpusc.

            Quando Davide dovette andare contro Golia, provò a rivestirsi dell'armatura dei



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soldati; anzi, il re stesso gli pose indosso l'armatura reale. Ma quando si vide così inceppato e quasi nell'impossibilità di muoversi, buttò via l'armatura. Pregò il Signore con gran cuore e andò avanti «in nomine Domini»7, prendendo una fionda, cinque sassi, un bastone: armi che sembravano davvero ridicole in confronto a quelle che portava il gigante. Il gigante lo rimproverò: «Numquid ego canis sum, quod tu venis ad me cum baculo?»8. Le tue armi sono appena sufficienti per far fuggire un cane, voleva dire, non per abbattere un uomo della mia statura e forza, e fornito di ogni arma più potente.

            Ah! Iddio è onnipotente; se avessimo pregato, anche con piccole armi, con semplicità, noi avremmo vinto il demonio; avremmo operato prodigi, anzi, potenti della stessa virtù che rese Davide vittorioso.

 

           




b “A poco a poco, senza accorgersi”.

c “Cambiato in peggio, quanto all’anima e quanto al corpo”.

7 I Reg. XVII, 45. “Nel nome del Signore” (1Sam 17,45).

8 I Reg. XVII, 43. “Sono io forse un cane, perché tu venga a me con un bastone?” (1Sam 17,43).




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