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Sac. Giacomo Alberione, Primo Maestro della Pia Società San Paolo
Oportet orare

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I. – Che cosa sia l’umiltà.

 

            L'umiltà è: «Virtus qua homo, verissima sui cognitione, sibi ipsi vilescit»c; è virtù per cui l'uomo conosce se stesso e si vede tanto povero. L'umiltà è: «Sui ipsius vera cognitio et despectio»2. È la conoscenza piena di noi stessi, e quindi, come conclusione, una vergogna di noi stessi.

            L'umiltà richiede che l'anima conosca i suoi peccati; richiede che l'uomo comprenda quanto è inclinato al male; che capisca il bisogno grande e totale che ha dell'aiuto divino; il niente che egli è innanzi a Dio Creatore. L'umiltà deve portare, specie noi sacerdoti e religiosi, a comprendere che siamo poveri infelici e che, pur avendo ricevuto dal Signore grazie speciali, forse abbiamo abusato tanto della sua misericordia. Non è colui che ha ricevuto poco che può abusare di più; invece chi può abusare di più è colui cui molto fu dato. L'umile vede in Dio tutto, in se stesso il povero peccatore; sa che quello che ha di bene gli viene dal Signore, da se stesso soltanto il peccato; va a



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Dio come il povero dinanzi al ricco, il bambino innanzi al padre buono, il suddito innanzi al suo re.

            Ognuno sa le parole del Maestro: «Sine me nihil potestis facere»: senza di me nulla potete fare.

            Ognuno può meditare le parole di S. Paolo: Noi non siamo sufficienti a pensare qualcosa di bene da noi medesimi; la nostra sufficienza è dalla grazia di Dio; poiché è Dio che compie, cioè suscita in noi la buona volontà e dà la grazia di tradurla in opere: «Non quod sufficientes simus cogitare aliquid a nobis, quasi ex nobis: sed sufficientia nostra ex Deo est»3.

            Ognuno può riflettere sulle parole del Concilio di Trento: «Si quis dixerit sine praeveniente Spiritus Sancti inspiratione atque eius adjutorio, hominem credere, sperare, diligere, aut poenitere posse sicut oportet, ut ei iustificationis gratia conferatur; anathema sit»4.

 

           




c “La virtù per la quale l’uomo, con la conoscenza più vera di sé, ha un basso sentire di se stesso”.

2 De Im. Chr. Lib. I. cap. II, 4. “Vera conoscenza e disprezzo di se stesso”.

3 II Cor. III, 5. “Non però che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio”.

4 Sess. VI, can. III. “Se qualcuno afferma che che l’uomo, senza l’ispirazione preveniente dello Spirito Santo e senza il suo aiuto può credere, sperare e amare o pentirsi come si conviene, per ottenere la grazia della giustificazione: sia anatema”.




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