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Sac. Giacomo Alberione, Primo Maestro della Pia Società San Paolo
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I. – Che cosa è l’inferno.

 

            È una verità della nostra fede. «Haec est autem fìdes recta ut credamus et confiteamur quia... qui bona egerunt ibunt in vitam aeternam, qui vero mala, in ignem aeternum. Haec est fides catholica, quam nisi quisque fideliter firmiterque crediderit, salvus esse non poterit». «Questa è la fede giusta: credere e confessare che... chi avrà fatto il bene, andrà alla vita eterna; chi invece avrà fatto il male, andrà nel fuoco eterno. Questa è la fede cattolica; chi non la ritiene e non crede fermamente e fedelmente, non potrà salvarsi»2.

            L'inferno è il patimento eterno della privazione di Dio, nostra felicità, e del fuoco, con ogni altro male, senza alcun bene; ed è meritato dai cattivi che non servono Dio e muoiono in peccato mortale. Castigo eterno, meritato per il peccato grave. Molti peccati veniali, addizionandosi assieme, non costituiscono un peccato grave; ma anche un solo peccato



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mortale, basta per la condanna all'inferno. È questo il pensiero che ci fa vivere in continuo timore: posso peccare gravemente da un momento all'altro, se il Signore non mi tiene la sua santa mano sul capo; la morte può sorprendermi prima di aver ottenuto il perdono? Il Papa Benedetto XII, dopo aver definito la dottrina cattolica sul paradiso, aggiunge: «Parimenti definiamo che, secondo divina disposizione, le anime che partono da questa  vita col peccato attuale grave, subito dopo morte discendono all'inferno, ove saranno punite con pene infernali: Definimus insuper, quod secundum Dei ordinationem communem, animae decedentium in actuali peccato mortali, mox post mortem suam, ad inferna descendunt, ubi poenis infernalibus cruciantur»3.

            Che cos'è l'inferno? L'inferno è «locus tormentorum»4, cioè è un aggregato di tormenti, così lo chiama la S. Scrittura. Vuol dire: come il luogo destinato a raccogliere i libri si chiama libreria; così il luogo destinato a raccogliere tutti i tormenti si chiama inferno. Come si chiama cantina il locale per il vino, così si dice inferno il luogo dei tormenti. Percorriamo pure colla nostra immaginazione i supplizi che l'uomo può soffrire in tutte le potenze



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dell’anima, in tutto il suo corpo, in tutti i sensi; essi sono raccolti, radunati dalla giustizia di Dio nell'inferno.

            Che cos'è l'inferno? L'inferno è il luogo per i dannati. Sulla terra, spesso, Iddio manda un castigo al peccatore affinché si corregga: «ut corrigatur». Ma l'inferno non è casa di correzione; né più ivi si dà luogo a conversione o perdono. I dannati sono : in statu terminib. Là si raccolgono idolatri con cattivi cristiani, eretici con cattivi cattolici, scismatici con cattivi agnelli che pur vivevano nel gregge di Gesù Cristo. Vi sono bestemmiatori, spergiuri, profanatori del giorno festivo, violenti, omicidi; vi sono ladri, sacrileghi; vi è tutto ciò che il mondo ha di peggiore, disonesto, falso. È la peggiore delle carceri; è una fossa di serpenti di ogni genere; è come una compagnia a delinquere, incapace di un sentimento buono, confermata nel male. Come nella cloaca si convogliano tutti i rifiuti; così nell'inferno arrivano tutti i tristi, odiando, maledicendo, tormentandosi a vicenda.

            Che cos'è l'inferno? L'inferno è l'esercizio della giustizia di Dio, la vendetta, il carcere del Signore: «Pluent super peccatores laqueos: ignis, et sulphur, et spiritus procellarum pars calicis eorum. Quoniam justus



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Dominus, et justitias dilexit»5; «Videbam satanan sicut fulgur de coelo cadentem»6. Quando Lucifero si ribellò, fu confinato nell’inferno: là pure Dio punisce gli uomini peccatori.

            Come i re della terra hanno la loro legge e condannano chi la trasgredisce, così Dio ha le sue leggi, i comandamenti: chi li trasgredisce viene condannato.

            Che cos'è l'inferno? L'inferno è la grande meditazione che facevano: S. Agostino, San Bernardo, S. Girolamo, S. Atanasio e tutti i Santi. A questa tremenda considerazione essi si riempivano di santo timore di Dio, e si eccitavano a quell'esercizio di opere che ammiriamo in essi. E S. Ignazio e S. Alfonso insistono tanto che si mediti l'inferno.

            Chi non si lascia portare dall'amor di Dio, dal desiderio del cielo, dal pensiero della Passione di Gesù Cristo, si lasci almeno muovere dal timore dell'inferno. Dal timore poi si verrà al fervore, allo zelo, anzi, S. Agostino conchiudeva: «Domine, hic ure, hic seca, hic non parcas; dummodo in aeternum parcas». È detto: «Fac timore poenae, si non potes amore justitiae»c.

            Che cos'è l'inferno? È il grande timore



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nostro. Non solo chi è conscio di peccato grave ha ragione di temere, ma ancora chi si è abituato al veniale. «Qui spernit modica, paulatim decidet»7; a poco a poco potrà arrivare dove non credeva.

            Ancora: chi deve più temere? Chi ha obblighi più gravi. Ora i nostri obblighi sono gravissimi. Il religioso deve arrivare ad alta perfezione; il sacerdote deve pensare alla salvezza di tante anime; di esse gli verrà chiesto conto stretto. Chi ha contratto obblighi nel battesimo, divenendo cristiano, deve rispondere davanti a Dio come cristiano, deve temere l'inferno come cristiano. Chi ha contratto obblighi più sacri, nello stato religioso, deve corrispondere come religioso, deve temere l'inferno come religioso. Chi ha contratto obblighi ancora più stretti, nel sacerdozio, deve corrispondere come sacerdote; deve temere l'inferno come sacerdote. Chi poi si è assunto assieme tutti i doveri di questi tre stati deve corrispondere come cristiano, religioso e sacerdote, deve temere l'inferno come cristiano, religioso e sacerdote.

            In ogni peccato vi è una certa infinità di malizia, dice S. Bernardino: «In omni peccato mortali infinita Deo contumelia irrogatur»;



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e quindi: «Infinitae autem iniuriae infinita debetur poena»d, perciò una pena eterna. Ma chi è più istruito, se pecca, lo fa con maggior malizia; chi fu più preferito da Dio, se pecca, dimostra maggior ingratitudine; chi vive più a contatto di Dio, se pecca, ostenta una temerità più insensata.

            «Beatus homo qui semper est pavidus»8; «Beatus vir, qui timet Dominum»9; «Qui se existimat stare, videat ne cadat»10.

 

           




2 Symb. Athan.

3 Enchyr. 531.

4 Luc. XVI, 28. “Luogo di tormenti”.

b. “Nella condizione finale”.

5 Ps. X, 7-8. “Farà piovere sugli empi brace, fuoco e zolfo, vento bruciante toccherà loro in sorte; giusto è il Signore, ama le cose giuste” (vv. 6-7).

6 Luc. X, 18. “Io vedevo satana cadere dal cielo come la folgore”.

c “Signore, qui brucia, qui taglia, qui non aver compassione, purché tu abbia compassione in eterno. - Agisci per timore della pena se non riesci per amore della giustizia”.

7 Eccli. XIX, 1. “Chi disprezza il poco cadrà presto (Sir 19,1)”.

d. “In ogni peccato mortale si infligge a Dio una infinita offesa”; “ad un oltraggio infinito è dovuta una pena infinita”

8 Prov. XXVIII, 14. “Beato l’uomo che sempre teme”.

9 Ps. CXI, 1. “Beato l’uomo che teme il Signore”.

10 I Cor. X, 12. “Chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere”.




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