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Giacomo Alberione, SSP
Sacerdote, ecco la tua meditazione

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2. Beati quelli che piangono.

       [385]  2. Beati quelli che piangono per le avversità e le tribolazioni di questa vita. Giobbe dice: «Solo i suoi dolori sente la sua carne, e l’anima di lui piange sopra di sé» (Gb 14,22). Giobbe venne provato in molti modi e sopportò tutto pazientemente: «Il Signore ha dato e il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore” (Gb 1,21). Che cosa avvenne? «Iddio ristorò Giobbe nel suo stato primiero, avendo egli pregato per gli amici suoi, e gliene aggiunse il doppio» (Gb 42,10); «E producono frutto con perseveranza» (Lc 8,15); «La perseveranza è per voi necessaria, affinché... otteniate quanto vi è stato promesso» (Eb 10,36); «La pazienza poi fa



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l’opera perfetta» (Gc 1,4); «Anche Cristo non cercò i suoi comodi» (Rm 15,3); «Gesù,... invece del gaudio a lui proposto, sopportò la croce» (Eb 12,2). Il Sacerdote segue in sommo grado Cristo se accetta e desidera, con tutte le sue forze, la croce medesima che portò Gesù.

       Più beati sono coloro che piangono i loro peccati. L’orrore al peccato è la base ed il fondamento di ogni santità. È infatti odio, confusione, dolore dei peccati passati; ed inoltre è timore santo di Dio, mediante il quale fuggiamo l’offesa di Dio in futuro, sapendo che il peccato è l’unico, vero, sommo male. Se non ci asteniamo dal male come possiamo progredire nella via della perfezione? Di qui: «Fior di saggezza è il timor di Dio” (Sl 110,10); «Inizio di ben agire è l’astenersi dal peccato», dice S. Ambrogio. «Non può la virtù crescere assieme ai vizi; perciò, perché essa vegeti, bisogna impedire a quelli di crescere», dice S. Bernardo. E S. Francesco Saverio afferma: «Quanto più grande è l’estinzione del male, altrettanto maggiore è l’aumento dei doni celesti».

       Beatissimi sono quelli che piangono per l’esilio che devono passare nel corpo, a causa del dolore prodotto dalla lotta continua contro la carne e contro la concupiscenza; che piangono per il desiderio della patria celeste, e per la brama dell’amore di Dio e di Cristo, che sospirano di godere eternamente: «Bramo di sciogliermi dal corpo per essere con Cristo» (Fl 1,23). «Non vi sarà quivi (in cielo), dice S. Agostino, fame o sete, freddo o caldo, sfinimento per il digiuno, né alcuna tentazione del nemico, non volontà di peccare, ma si avrà completa letizia, completa esultanza». Anzi, che cosa è il cielo? Risponderà S. Paolo: «Ciò che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrò in cuore d’uomo, questo Dio ha preparato per coloro che lo amano» (1Cr 2,9). Quanto mi appare brutta la terra, quando contemplo il cielo!

 

       [386]  Perché beati? a) Perché: «Io stimo che le sofferenze del tempo presente non possono avere proporzione alcuna con la gloria, che si dovrà manifestare in noi»



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(Rm 8,18); b) «Felice quegli a cui è perdonato ogni fallo, è rimesso il peccato!» (Sl 31,1); c) «Guazzano nella opulenza della tua casa, e tu li abbeveri al torrente di tue delizie» (Sl 35,9); d) «Al regno dei cieli non ci conduce la gloria del mondo, non la quantità delle ricchezze, non la nobiltà dei natali, non la scienza, non la sapienza, non l’eloquenza, ma soltanto la grazia, le virtù, gli atti buoni» (S. Agostino). «Il regno dei cieli non si dà in vista delle persone, ma in vista delle virtù» (S. Roberto Bellarmino). In cielo vedrò, amerò, godrò. Sopportiamo perciò adesso volentieri, per poter poi godere; volentieri accettiamo ora l’umiliazione per poter essere in seguito eternamente glorificati; piangiamo al presente volentieri, per poter essere un giorno ripieni di ineffabile letizia, per tutta l’eternità.

 




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