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Giacomo Alberione, SSP
Sacerdote, ecco la tua meditazione

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III. MEDITAZIONE

 

1. Iniziando l’ufficio divino si dice.

       [607]  1. Iniziando l’ufficio divino si dice: «Apri, o Signore, la mia bocca, affinché io benedica il tuo santo nome,... affinché possa recitare questo ufficio in modo degno, con attenzione e devozione» (Breviarium Romanum, Aperi). Le ore canoniche devono essere recitate in modo degno, ossia vocalmente, per intero, ed in maniera continuativa. Con queste parole si esprime il munus oris, che, secondo il Concilio Lateranense IV, a. 1215 (c. Dolentes), deve essere adempiuto con diligenza.

       Bisogna recitare l’ufficio vocalmente, ossia distintamente, perché è una preghiera vocale, e non semplicemente mentale. Perciò non è sufficiente leggere solo mentalmente, e percorrere le parole stampate soltanto cogli occhi. Né è sufficiente recitare le parole con la gola e fra i denti, o sincopando, o solo muovendo la lingua, o volontariamente abbreviando o precipitando. Non si richiede però che colui che recita l’ufficio oda le sue parole. Quando si recita in due bisogna che ambedue pronunzino le parole in modo da udirsi reciprocamente. Recita l’ufficio per intero colui che dice anche le parti introduttive e conclusive delle singole ore, come è prescritto dalle rubriche. Si deve recitare in maniera continuata, ossia senza interrompere una stessa ora, eccetto che vi sia una ragionevole causa scusante, che si ha, secondo la dottrina dei vari autori, quando vi è qualche utilità propria od altrui, per urbanità, per devozione, per eseguire i comandi dei superiori, per udire la confessione di uno che non ha pazienza di attendere. Si può anche sospendere la recita, quando vi è da fare qualche cosa all’improvviso, o si deve prendere una nota, e tanto più quando si vuole emettere qualche pio affetto del cuore, o qualche breve preghiera.

 

       [608]  L’ufficio deve essere recitato con attenzione, per rendere a Dio l’ossequio della mente. È certo che nella recita dell’ufficio si richiede una certa attenzione, giacché se questa manca, la recita delle ore non può più essere un ufficio spirituale, che si offre a Dio. Dicono i dottori



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che chi, recitando il divino ufficio, non ha almeno l’attenzione esterna, non adempie alle sue obbligazioni; così colui che fa una cosa incompossibile con l’attenzione interiore, come è, per esempio, parlare, scrivere, ascoltare attentamente altri a parlare. Chi vuole pregare in modo utile fa ancora di più: non si permette facilmente di osservare le persone o le cose circostanti, di cogliere fiori, di istruire i bambini, di assistere altri, e simili. L’attenzione interna consiste nell’applicazione della mente a ciò che si sta facendo; e questa, nella recita dell’ufficio può essere fissata su tre cose: l’una più perfetta dell’altra, ossia: alle sole parole, badando a pronunziarle giustamente; al senso delle parole per comprenderle; a Dio od alle cose divine, in modo che durante la recita il pensiero rimanga fisso in Dio, o negli attributi divini o nei misteri della passione di Cristo, o nelle azioni della SS. Vergine o dei Santi. Impediscono l’attenzione interna le distrazioni volontarie, che, costituiscono facilmente peccato veniale. È sufficiente l’attenzione morale e generale alle parole, con l’intenzione di pregare.

 

       [609]  L’ufficio deve essere recitato con devozione. Per eccitare la devozione vengono usate dai Sacerdoti pii alcune industrie: alcuni, nelle diverse ore, da mattutino a completorio, pensano principalmente alla passione del Signore: nel mattutino pensano all’ultima Cena, nelle lodi all’orazione dell’orto; a prima, alla sentenza pronunziata contro Gesù dal tribunale ebraico; a terza, alla flagellazione ed alla incoronazione di spine; a sesta, alla condanna a morte; a nona, al viaggio al Calvario; a vespro alla morte di Cristo, a completorio, alla sua risurrezione. Altri, ad ogni singola ora chiedono le principali grazie per santificare una parte del giorno, da essi pure diviso in sette parti. Altri mettono un’intenzione speciale per ogni parte del breviario: di aderire cioè a Dio con la mente, con la volontà, con il cuore; di evitare il peccato, di adempiere il proprio dovere pastorale, di amare la Chiesa, di soccorrere i moribondi, di liberare le anime purganti, di ottenere una buona morte, e simili.

 


 




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