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Giacomo Alberione, SSP
San Paolo - Bollettino SSP

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RISERVATO AI SACERDOTI

 

          Roma, 20 Novembre 1952

          Riassumo alcune norme a cui ho diverse volte accennato parlando ai Sacerdoti. Ma si tenga ben presente che non tutto quello che viene detto ai Sacerdoti come norma da seguire nel loro ministero, specialmente al confessionale, si deve ripetere ai Chierici e Discepoli, o ai giovani, nella stessa forma e misura; bisogna proporzionare alla capacità.

          La Chiesa ha stabilito che i Religiosi si confessino almeno una volta alla settimana.

          È regola ottima avere un confessore ed un giorno fisso nella settimana, per la confessione. I Superiori provvedano che in tale giorno vi siano confessori sufficienti, stabili, assidui a questo delicatissimo ministero.

          I Superiori devono prudentemente vigilare perché ognuno compia diligentemente questo dovere. Se vi fossero abusi o irregolarità, richiamino con molta prudenza e carità. Superiori e Maestri dimostrino poi particolarmente le loro più delicate e paterne premure, perché i chiamati non rimangano privi dell’aiuto così necessario che viene dai Sacramenti, e, affinché nessuno imprudentemente entri in uno stato in cui il ricevere regolarmente e amministrare i Sacramenti costituisce gran parte della vita stessa.

          Le gravi irregolarità nell’accostarsi ai Sacramenti, sono causa sufficiente per non ammettere i candidati alla Professione ed agli Ordini Sacri.

          Riguardo alla confessione, per irregolarità, non s’intende l’accostarsi al Sacramento più volte alla settimana, anche cioè fuori dei giorni stabiliti. Vi deve essere piena libertà di accostarsi al Sacramento più volte alla settimana; questo, anzi, secondo le buone regole della Teologia morale e della dottrina ascetica, potrebbe, in casi particolari, anche rendersi necessario o almeno consigliabile.

          I confessiori, però, nella loro prudenza e carità, guidino sapientemente i loro penitenti, in questo punto tanto delicato. Secondo le buone norme di pastorale, correggano, incoraggino, sostengano, propongano ed esigano l’uso efficace dei mezzi, e siano anche santamente ed inflessibilmente fermi nell’esigere che si ritirino dalla via allo stato religioso e sacerdotale quelli che dimostrassero di non correggersi da abitudini e in cose incompatibili con la vita religiosa e sacerdotale: questo, naturalmente, in quanto e nella forma che loro spetta, cioè in foro interno. Evidentemente non può entrare nella vita religiosa o ascendere agli ordini Sacri, chi non sa mantenersi abitualmente nello stato di grazia. Occorre distinguere bene la caduta per pura fragilità, per un’improvvisa tentazione, da uno stato morboso: secondo le buone norme della Teologia morale, pastorale, ascetica e della pedagogia.

 


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          Ogni Sacerdote mediti queste norme e le applichi prudentemente, secondo i rispettivi doveri di Superiore, di Maestro o di Confessore. E nel parlare, nel predicare, si sia saggi: a ciascuno si parli secondo la propria condizione, i propri doveri, istruzione, età.

          L’aspirante, per ascendere agli Ordini sacri, o fare la Professione religiosa, deve avere due giudizi favorevoli: quello in foro interno del Confessore o Direttore spirituale; e quello dei Superiori esterni.

          Occorre una formazione di vero e chiaro colore e tenore paolino: per studio, spirito, apostolato, educazione, povertà, ecc.

          Evitare perciò una formazione incolore: che tanto serva per formare il semplice cristiano, come il prete secolare, il religioso qualunque.

          Appena entra il giovane in casa, senta subito nel parlare, nelle prediche, nelle scuole, nelle disposizioni di orario, studio, ecc. che qui unicamente si lavora a formare il paolino; se troverà conveniente tale vita continuerà, diversamente ritornerà in famiglia e cercherà la via assegnatagli da Dio.

          Avremo persone più preparate, più liete, più sante.

 

          A proposito uniamo circolare inviata nel Maggio 1948:




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