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Giacomo Alberione, SSP San Paolo - Bollettino SSP IntraText CT - Lettura del testo |
AI DIRETTORI SPIRITUALI E CONFESSORI
DEGLI ASPIRANTI NOSTRI
Per gli aspiranti nella Congregazione Società San Paolo, occorre ben distinguere la vocazione al Sacerdozio da quella dei Discepoli. Questa è questione personale, riguardando la sola propria santificazione e salvezza; la prima invece riguarda il bene della Chiesa e delle anime. Nessuno ha diritto di ascendere agli Ordini se non è chiamato: mentre la Chiesa ha diritto di avere soltanto ministri davvero degni; e le anime hanno diritto che siano espulsi i lupi rapaci, ed è tale chiunque manchi anche solo per dare il buon esempio, sia ai fratelli laici che ai semplici fedeli. Il giudizio definitivo sull’idoneità spetta ai Superiori dell’Istituto; essi debbono presentarli ai Vescovi e dare le testimoniali per le Ordinazioni. Ora i Superiori esterni possono errare; ed il Card. Iorio, a questo proposito, aggiunge che ciò può succedere «etiamsi omnem diligentiam adhibeant». È vero che l’aspirante con l’esterno rivela l’interno: ma quante volte le apparenze ingannano: o per colpa dell’aspirante, o per difficoltà nell’interpretare il suo esterno.
Giudizio più sicuro e meno esposto ad errare è quello del Confessore e del Direttore Spirituale, posto che l’aspirante sia sincero; e da tempo sufficientemente lungo, per una conoscenza giusta, apra la sua coscienza, come ha l’obbligo di fare.
Confessore e Direttore Spirituale debbono rispettare il giudizio dei Superiori dell’Istituto, questi rispetteranno quello dei primi, se l’aspirante lo manifesterà; ma ciò nella misura di prudenza ed esperienza loro. Gli obblighi sono chiari e gravi.
I Superiori esterni hanno pure il diritto e dovere di dare norme ai Confessori e Direttori Spirituali, che servano come criterio per regolare la propria condotta. La Pia Società San Paolo intende compiere questo dovere, proponendo le seguenti considerazioni e norme per giudicare e regolarsi nella direzione spirituale. Perciò rimane inteso che tutti i nostri Sacerdoti, Direttori Spirituali e Confessori, sia pure che soltanto casualmente ed anche per una volta sola sentano l’aspirante, seguiranno queste norme. Le diverse teorie personali non si potranno seguire.
I nostri aspiranti alla vita religiosa sacerdotale dovranno presentare:
1) Intelligenza sufficiente e applicazione allo studio, mostrata specialmente nei corsi di Filosofia e Teologia;
2) Spirito di pietà paolina, quale è descritta nelle Costituzioni e Direttorio, osservanza religiosa, vita comune, amore alle pratiche e modo di compierle secondo il libro delle nostre preghiere;
3) Zelo per le anime, dimostrato nell’apprendere ed esercitare il nostro apostolato;
4) Pratica e servizio di povertà alla Congregazione;
5) Dice il Can. 1361 § 1, che solo devono ammettersi quei candidati «quorum indoles et voluntas spem afferant eos cum fructu ecclesiasticis ministeriis perpetuo inservituros». Pio XI (Enc. sul Sacerdozio) vuole nell’aspirante le qualità «quae spem fundatam faciant ut sacerdotii munera obire, eiusdemque obligationes sancte servare queant». Ora tra di noi, l'esempio di fedele osservanza religiosa, che edifichi i fratelli e tutte le persone conviventi, entra nel numero di questi requisiti. Il Sacerdote deve almeno (supponiamolo infermo) esercitare l’apostolato dell’esempio, con la parola e le opere, e della preghiera.
6) Si escludano a) Gli svogliati nella pietà, che non amano la preghiera, le funzioni di chiesa, la sacra liturgia.
b) Gli insofferenti di disciplina, i mormoratori, gli amanti della libertà, di lunghe vacanze, parlatori, telefoni; gli appassionati di radio, cinema, sport, politica, letture romantiche, amicizie particolari.
c) Coloro che poco amano la filosofia perenne, le scienze sacre, la Chiesa, la Congregazione, gli indirizzi della Santa Sede in fatto di studio e di azione; specialmente se in qualche punto dissentano dalla dottrina e prassi cattolica.
d) Gli aspiranti che lascino sospetto di qualche, anche lieve e parziale, anormalità di intelligenza e di volontà (per es. i tipi un po' strani e cocciuti), specialmente se provenienti da famiglie tarate, non solo in causa dei genitori, ma anche in causa di altri prossimi parenti; ed anche soverchiamente gracili o meticolosi nella cura della loro salute.
e) Quelli che non sanno portare lo stato di grazia da una settimana all’altra.
In riguardo alla bella virtù vi è una varietà di sentenze tra autore e autore circa la durata del tempo in cui l’aspirante deve essere stato esente da caduta. Alcuni esigono tre anni, altri due, altri uno; almeno uno è del tutto necessario.
Tutti però gli autori si esprimono con chiarezza che occorre stabilità nella pratica di questa virtù; e stabilità tale che dia vera garanzia di saper perseverare. Riportiamo dalla Teologia del Marc (Vol. II, De Ordine n. 1916), questi tratti:
«Requiritur probitas vitae. Debet enim clericus, divinae vocationi fidelis existens, futurae perseverantiae pignus quoddam praebere. Unde Trident. (sess. 23, c. 12). “Sciant Episcopi debere assumi dignos dumtaxat et quorum probata vita senectus sit”. Et S. Thomas: «Non sufficit bonitas qualiscumque, sed requiritur excellens». Hinc prohibet Apostolus (I Tim. 3,6) ordinari neophytos, id est, ut explicat idem Angelicus, qui non solum aetate neophiti sunt, sed et qui neophiti sunt perfectione (VI, 63 seqq. 802; Exam. ordin. n. 45). Conf. Can. 974 - 1, N.2:
«Dicet aliquis: Si hoc observaretur, deficerent utique in Ecclesia ministri. Recte respondet ad hoc Benedictus XIV: Melius est pauciores haberi ministros sed probos atque utiles, quam plures qui nequidquam sunt valituri».
«Quid de clerico in vitio turpi habituato? Ordinandus qui in vitio turpi luxuriae (vel ebrietatis) habituatus est, quamvis dispositus sit ad sacramentum poenitentiae, eo ipso nondum dispositus est, qui sacrum ordinem suscipiat; sed aliquamdiu debet operam dare ad pravum habitum extirpandum. Ratio est, quia ut quis ad ordinis sacri dignitatem ascendat, non sufficit simplex et actualis status gratiae, sed requiritur etiam bonitas praecellens et habitualis quae, juxta legem communem, non statim acquiritur. Quod si in turpi vitio habituatus ad sacrum ordinem statim ascendere vellet, absque emendationis experimento, iste, utpote temerarius, sacramentali quoque absolutione se praeberet indignum.
«Notatu digna sunt verba recentius ad Episcopos Boliviae directa: «Praecavendum ne minus digni quoque, necessitatis causa, in sacerdotium admittantur... Itaque non
quot, sed quos sacrorum ministros assumamus perpendere debemus; omniaque experiri quae ad sacerdotii studium in juventute fovendum suadeat prudentia, diligenter rem Deo, cuius in manu est, commendemus». (Epist. Bened. XV, 4 Aug. 1918 - A.A.S. X p. 361).
Notiamo anche che vi è diversità tra peccato e peccato; quando per esempio vi è scandalo od il male riveste per le circostanze di luogo, di persone, di tempo, speciale gravità.
Ricordiamo di nuovo quanto fu scritto nel «San Paolo» della Conversione di San Paolo, 1947: «Nel chiedere l’ammissione degli aspiranti agli Ordini Sacri, i Maestri diano una relazione coscienziosa su ciascheduno, dopo sentito il Consiglio della Casa. La relazione comprenda i seguenti punti: 1) Osservanza religiosa (regolarità, disciplina, voti); 2) Attaccamento all’Istituto (Superiori, Fratelli, Indirizzo, Opere); 3) Pietà e virtù; 4) Apostolato (zelo); 5) Studio (capacità, applicazione, risultato); 6) Carattere (socievolezza, educazione, salute); 7) Osservazioni eventuali. Il tutto poi riassunto in un unica espressione: cioè, lodevole (10); buono (9); sufficiente (8); insufficiente (7).