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Giacomo Alberione, SSP San Paolo - Bollettino SSP IntraText CT - Lettura del testo |
DEDIZIONE E COSTANZA
La dedizione si può paragonare ad un motore più potente o meno potente, in un certo limite. Chi è generoso compie il suo ufficio e la sua missione applicandovi mente, volontà, cuore, forze fisiche. La mente per comprendere il lavoro, per studiare i mezzi per una buona riuscita; la volontà, adoperando tutti i mezzi, le forze fisiche e morali; il cuore onde amare il proprio apostolato, farlo con gioia e merito.
Altro è accettare un ufficio con stentata rassegnazione, altro l'amarlo, altro è portarvi entusiasmo ed appassionarvisi.
Quando vi è dedizione generosa e perseveranza, anche con talenti limitati, si farà un buon cammino. Quando questo venisse a mancare, il risultato sarebbe scarso, anche se vi sono buone attitudini. Ciò in tutto: cura delle vocazioni, scuola, apostolato, predicazione, amministrazione, redazione. La lampada che arde dinanzi al SS.mo Sacramento è viva e consuma tutto l'olio. Quando si sono spesi tutti i talenti per il Signore: siano stati cinque, o due, si è sicuri della sentenza: «quia in pauca fuisti fidelis supra multa te constituam».
«Qui perseveraverit usque in finem hic salvus erit». Chi fa sbaglia (qualche volta); ma chi non fa vive in continuo sbaglio. Non perdersi d'animo; conservare sempre un sano ottimismo. La storia è maestra della vita; e le nostre passate esperienze ci fanno scuola per il futuro. Perduta una battaglia, (finché viviamo) vi è tempo a guadagnarne un'altra.
«Omnia cooperantur in bonum» quando si ha buona volontà. Di quello che riuscì bene daremo gloria a Dio; per quello che riuscì male ci umilieremo e pregheremo per riprendere meglio. Vi è anche un ottimo libro: «L'arte di ricavare profitto dalle colpe». La più terribile tentazione è la disperazione; ma più comune la semi-disperazione. La fede è la prima virtù, ma la seconda è la speranza. Onoriamo Dio e rendiamogli frequente omaggio protestando di credere alla sua bontà. Ad un amico che faceva le sue meraviglie a Cesare Cantù come avesse potuto scrivere tanto e così bene, egli rispose: «Perseverando».