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Giacomo Alberione, SSP
San Paolo - Bollettino SSP

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TENDENZE PERICOLOSE

 

          L'intelletto ci fu dato per conoscere la verità e soprattutto Dio e le cose divine. Dio è il vero sole della mente, che ci illumina con doppia luce, la luce della ragione e quella della fede. Nello stato presente non possiamo pervenire all'intiera verità senza il concorso di questi due lumi, e chi l'uno o l'altro rifiuti, volontariamente si accieca. E tanto più importante è la disciplina dell'intelletto in quanto che è lui che illumina la volontà e le rende possibile il volgersi al bene; lui che, sotto il nome di coscienza, è regola della vita morale e soprannaturale. Ma perché ciò avvenga, bisogna mortificarne le principali tendenze difettose che sono: la curiosità, la precipitazione, l'orgoglio, l'ostinazione.

          1) La curiosità, è una malattia della mente che ne accresce l'ignoranza: porta, infatti, con eccessivo ardore alle cognizioni che piacciono, anziché a quelle che sono utili, facendo così perdere un tempo prezioso. Ed è spesso accompagnata dalla fretta e dalla precipitazione, che ingolfano in studi che solleticano la curiosità, a detrimento di altri assai più importanti.

          Per trionfare, è necessario: studiare in primo luogo non ciò che piace, ma ciò che è utile, massime poi ciò che è necessario: «id prius quod est magis necessarium», dice San Bernardo, occupandosi del resto solo a modo di ricreazione. Non si deve leggere che parcamente ciò che alimenta più la fantasia che l'intelletto come la maggior parte dei romanzi, o ciò che riguarda le notizie ed i rumori del mondo, come il giornale e certe riviste. Ugualmente si deve dire della radio, cinema, televisione.

          2) Nelle letture bisogna schivare la fretta eccessiva, non voler divorare in pochi momenti un volume intero. Anche quando si tratta di buone letture, conviene farle lentamente, per meglio capire e gustare ciò che si legge. Or ciò riuscirà anche più facile, a chi studi non per curiosità, non per compiacersi


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della propria scienza, ma per motivo soprannaturale, per edificare sé ed il prossimo: «Ut aedificent, et caritas est...; ut aedificentur, et prudentia est» (S. Bernardo). Perché, come giustamente dice S. Agostino, la scienza deve essere messa a servizio della carità: «Sic adhibeatur scientia tanquam machina quaedam per quam structura caritatis assurgat». Il che è vero anche nello studio delle questioni di spiritualità; vi sono infatti quelli che, in questi studi, mirano piuttosto ad appagare la curiosità e la superbia, anziché a purificare il cuore ed a praticare la mortificazione e costruire l'edificio spirituale.

          3) L'orgoglio della mente è il più pericoloso e più difficile a guarire.

          È quest'orgoglio che rende difficile la fede e l'obbedienza ai Superiori: si vorrebbe bastare a se stessi tanta è la fiducia che si ha nella propria ragione, e si stenta a ricevere gli insegnamenti della fede, o almeno si vuole sottoporli alla critica e all'interpretazione della ragione; così pure si ha tanta fiducia nel proprio giudizio, che rincresce consultare gli altri e specialmente i superiori. Ne nascono dolorose imprudenze; ne viene una ostinazione nelle proprie idee che fa recisamente condannare le opinioni non conformi alle nostre. Ecco una delle cause più frequenti di discordie, talora pure tra autori cattolici. S. Agostino rilevava queste sciagurate divisioni che distruggono la pace, la concordia e la carità.

          Per guarire quest'orgoglio della mente, bisogna sottomettersi, con docilità di fanciullo, agl'insegnamenti della fede: è lecito, certo, il cercar quell'intelligenza dei dogmi che si acquista con la paziente e laboriosa indagine, giovandosi degli studi dei Padri e dei Dottori, principalmente di S. Agostino e di S. Tommaso; ma bisogna, come dice il Concilio Vaticano, farlo con pietà e sobrietà, ispirandosi alla massima di S. Anselmo: fides quaerens intellectum. Si schiva allora quello spirito di ipercritica che col pretesto di spiegarli attenua e riduce al minimo i dogmi. Sottomettere il giudizio non solo alle verità di fede, ma anche alle direzioni pontificie; nelle questioni liberamente discusse, si lascia agli altri la libertà che si desidera per sé, e non si trattano con sdegno le opinioni degli altri. Così entra la pace negli animi.

          4) Ostinazione. Nelle discussioni non bisogna cercare la soddisfazione dell'orgoglio ed il trionfo delle proprie idee, ma la verità. È raro che nelle opinioni degli avversari non ci sia una parte di verità che ci era fino allora sfuggita: l'ascoltar con attenzione ed


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imparzialità le ragioni degli avversari e concedere quanto è giusto nelle loro osservazioni, è pur sempre il mezzo migliore per accostarsi alla verità, e serbare le leggi dell'umiltà e della carità.

          Per disciplinare l'intelligenza bisogna studiare ciò che è più necessario, e farlo con metodo, costanza e spirito soprannaturale cioè, col desiderio di conoscere, amare e praticare la verità.

 




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