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Giacomo Alberione, SSP San Paolo - Bollettino SSP IntraText CT - Lettura del testo |
III. Fortificare la volontà
L'educazione è
efficacissimo mezzo. Chi educa può e deve agire sull'animo dell'educando per
indurlo alla libera e costante scelta ed esecuzione della volontà divina. Si noti: libera e costante scelta, poiché non si tratta né di costringere, né di ridurla ad una esortazione teorica. Si tratta di convincere, ripetere, esortare, assistere e correggere l'educando: «Praedica verbum opportune, importune; argue, obsecra, increpa in omni patientia et doctrina» (2 Tim. 4, 2). Qui si apre all'educatore un vastissimo campo: spirito di iniziativa, bontà e fermezza d'animo, preghiera e comprensione.
L'amore vivo al Signore, l'abitudine di pensare che Dio è Padre, che ogni suo comando è fatto di sapienza e bontà ed a vantaggio nostro temporale ed eterno, costituiranno uno stabile modo di giudicare e operare rettamente.
Gesù Cristo ha presentato costantemente nella sua predicazione la sanzione eterna della vita morale: premio e castigo. Ha descritta la felicità eterna di chi è servo buono e fedele; come la tortura eterna di chi è servo inutile e infedele.
Ha preannunciato il «venite, benedetti dal Padre mio, possedete il regno che vi è stato preparato dall'inizio del mondo»; come ha espressamente proclamato: «andate lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli».
Il Signore ha parlato di due vie – larga l'una, stretta l'altra – ma che conducono a ben diversa fine.
Ha assicurato una grande mercede a chi per lui soffre calunnie e persecuzioni (Matt. 5, 12), e ha annunziato i castighi eterni per gli ostinati ipocriti e persecutori.
Ha detto che anche un bicchier d'acqua dato all'assetato avrà la sua mercede e ha detto pure di temere colui che dopo tolta la vita ha il potere di mandare all'inferno.
Ha messo di fronte nella parabola il ricco Epulone, gaudente e crudele in vita, poi arso nel fuoco nell'eternità, al povero Lazzaro ammalato ed affamato, ma paziente in vita, ma felice nel seno di Abramo dopo morte.
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Mezzo efficacissimo per formare la delicatezza di coscienza, la sensibilità alle voci di essa, i rimorsi del peccato e la gioia di aver operato bene è la divozione a Maria. Si intende una divozione illuminata, tenera, pratica, orante. Maria è un ideale di immacolatezza e illibatezza che fa concepire un gran timore del peccato, delle occasioni pericolose, della stessa venialità. Maria è la piena di grazia, la creatura più intima a Dio, la benedetta Madre che dà a noi Gesù, e ce ne ispira l'amore, fa nascere il desiderio della purezza, del sacrificio, della vocazione... Maria è la mediatrice universale della grazia, madre premurosa per noi, pronta ad ogni invocazione dei figli pericolanti e bisognosi; basta chiamarla che subito l'anima si rasserena, il demonio impuro si allontana, il coraggio si riprende, il cuore si accende di entusiasmo. Formare alla divozione a Maria significa allontanare il peccato, portare i cuori a Gesù: cioè acquistare delicatezza di coscienza.
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Altro mezzo del tutto necessario a formare la coscienza cristiana, specialmente religiosa ed ancor più la sacerdotale, è la meditazione dei novissimi.
I novissimi sono: l'immortalità dell'anima, la morte, cioè la separazione temporanea dell'anima dal corpo, il giudizio particolare, il paradiso, l'inferno, il purgatorio, la risurrezione della carne, il giudizio universale con il «venite benedetti e allontanatevi maledetti», l'ingresso al cielo e la discesa all'inferno, l’eternità del cielo e la glorificazione di Dio, di Gesù Cristo, l'eternità delle pene: tutto si riassume nella meditazione del fine della creazione e della fine nostra, che dipende dalla volontà di prendere i mezzi.
Le meditazioni di un anno nel complesso vanno divise in tre parti: le grandissime verità; i mezzi che Gesù Cristo ha dato per la salvezza; l'amore a Dio con tutte le forze, tutta la mente, tutto il cuore. Quindi quattro mesi, più quattro mesi, più quattro mesi. Così ogni anno si allargano e approfondiscono ed ogni anno, come in metodo ciclico, si sale sempre più il monte santo della perfezione.
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L'istituto progredirà di persone, di opere e in santificazione quanto bene si mediteranno i novissimi. Dimenticando il «ad quid venisti», si è sulla china, nella discesa.
Le prediche saranno fruttuose se si saprà tenerne molte sui novissimi; e se le altre si legheranno nell'inizio e nella chiusa ad essi; si finirà coll'ancorare la fragile navicella della nostra vita al porto dell'eternità.
Si dice che occorre una catechesi ed una predicazione moderna, quella che prepara alla «morale nuova». Moderna quanto alla presentazione sì; ma il contenuto no. La morte è sempre uguale. Diversamente si guasta insensibilmente il nostro ministero, si minimizza l'apostolato tra i giovani, si dimostra una scarsa sensibilità psicologica.
La vita, la predicazione, la passione e la morte del Maestro Divino è tutta intesa a portare la vita eterna alle anime. La sua catechesi è tutta sostanziata dalle verità fondamentali ed eterne.
Si tratta del problema fondamentale e di tutti gli uomini: o vi è un giudizio ed una sanzione eterna alla legge morale; ed allora dobbiamo ordinare la vita a quella; o non vi è e non ci si pensa ed allora cade ogni precetto, e si può vivere a talento proprio.
I novissimi ben
presentati esercitano una forza di prim'ordine nella formazione della
coscienza. Hanno una funzione incitatrice e moderatrice per la generosità del
giovane, che, spesso nella sua esperienza interiore, vitale, alterna eccedenze
a deficienze, appunto per l'incompleta maturità ed i fenomeni diversi delle
fasi evolutive. Motivi umani e naturali di «freno» possono anche servire bene,
ma nessuno dubita della superiorità inibitrice e sollecitatrice delle supreme
realtà. La morte, il giudizio, l'inferno, il paradiso nell'ordine della
rivelazione sono «moniti» o preavvisi di ciò che avverrà. Sono un grande e
positivo mezzo di
formazione. Occorre presentarli bene e, diciamo pure, in modo adeguato; valorizzandone l'aspetto storico, provvidenziale, positivo.
E qui non si capisce come oggi si introduca un modo di educare puramente umano e una falsa paura di insistere sui novissimi... Non fece così Gesù, il Maestro. Trascurare questi mezzi di educazione sarebbe la più grave aberrazione di un formatore di coscienze cristiane e religiose.
Il parlare di personalità, di carattere, di vantaggi nella vita presente ha il suo valore. Ma come parlava Gesù Cristo? Come formava gli Apostoli? Forse promettendo beni temporali? Annunziava invece sacrifici, fatiche, persecuzioni... A tutti diceva: «chi vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua».
«Mundus gaudebit, vos vero contristabimini; ed tristitia vestra vertetur in gaudium».
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Dice il Papa: «La gioventù deve essere fiera della sua fede ed accettare che le costi qualcosa; fin dalla tenera infanzia deve abituarsi a far sacrifici per la sua fede, a camminare in rettitudine di coscienza innanzi a Dio, a rispettare ciò che egli ordina».
Ma qui l'educatore ha da formare una profonda convinzione nell'animo del detto: «Da me nulla posso, con Dio posso tutto». Dimostrerà perciò la insufficienza delle forze umane: «Dio non comanda cose impossibili; ma mentre impone un obbligo vuole che facciamo quanto possibile a noi; e gli chiediamo aiuto là dove non possiamo con le nostre forze».
Occorre molta preghiera.
Pio XII insiste che «La fede della gioventù deve essere una fede orante».
È necessario per l'educazione formare lo spirito di preghiera, l'uso della confessione, della Comunione, la Liturgia che sono «i principali mezzi di santificazione e di salvezza», secondo il Codice di Diritto Canonico.
Accanto o insieme alla confessione occorre la direzione spirituale che è stata la via ed il mezzo prima del 1914 e sempre in seguito per la formazione dei Nostri; si usasse o no questo termine.
Sarà più particolare o più generale, più assidua o meno. Leone XIII la dice mezzo moralmente necessario, particolarmente trattandosi di vocazioni. Gesù Cristo a Saulo che, fermato sulla via di Damasco, chiede: «Domine, quid me vis facere?», risponde: «surge et ingredere civitatem et ibi dicetur tibi quid te oporteat facere».
Pio XII concludeva il suo discorso: «Educate le coscienze dei fanciulli con tenace e perseverante cura. Educatele al timore come all'amore di Dio. Educatele alla verità. Ma siate veraci per primi, voi stessi; ed escludete dall'opera educativa quanto non è né schietto, né vero. Imprimete nelle coscienze dei giovani il genuino concetto della libertà; della libertà, degna e propria di una creatura fatta ad immagine di Dio.
Educateli a pregare e
attingere dai Sacramenti della penitenza ed Eucaristia ciò che la natura non
può dare, la forza di non cadere, la forza di risorgere,
sentano già da giovani che senza l'aiuto di queste energie soprannaturali essi non riuscirebbero ad essere né buoni cristiani, né semplicemente uomini onesti».
Sarà così formata la coscienza: illuminata, libera, praticamente e rettamente operante: nell'istruzione, nell'educazione, nell'ausilio della Divina grazia.
Si avrà il cristiano libero e forte, stabilito in Cristo, salvato dal pericolo di una «morale nuova» e soggettiva.
La voce della coscienza sarà allora l'eco della voce di Dio: «come un banditore, scrive S. Bonaventura, che non comanda a nome proprio, ma a nome del re del quale promulga un decreto».
Sac. Alberione
N. B. Le citazioni delle parole del Papa sono prese dal suo discorso del 23 marzo 1952.