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Giacomo Alberione, SSP
Apostolato dell’edizione

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Vivere la Liturgia

Nella Liturgia non è da ricercarsi la soddisfazione scientifica o poetica. Certo, anche la


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scienza e l’arte onorano e devono onorare Dio, ma per sé non costituiscono la Liturgia. Essa è qualche cosa di vivo e di vivificante, qualche cosa di santo e di santificante. È in un certo senso la consumazione stessa di Gesù Cristo per cui egli continua ad essere nella sua Chiesa il Maestro, il Sacrificatore e la Vittima, il Santificatore: Via, Verità e Vita agli uomini.

La Liturgia è dunque parola di Dio, scuola di santità, sorgente di grazia.3

Parola di Dio. L’insegnamento della Chiesa fu, per lo più, inquadrato nella Liturgia. «Erant autem perseverantes in doctrina Apostolorum et communicatione fractionis panis et orationibus»,4 è detto dei primi cristiani. E in queste parole troviamo una specie di trinomio eminentemente comprensivo di ogni riunione liturgica.

Uno dei termini del trinomio è «Doctrina». Come i Santi Padri continuarono ad istruire i fedeli, così continua a fare la Chiesa nella sua Liturgia.

E quale miniera di parola di Dio nei libri liturgici! È ben misera cosa, in confronto, tutta quella colluvie di libri di varia natura che invade ogni giorno il mercato librario!

Nel Breviario, nel Messale, nel Rituale e


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in tutti gli altri libri liturgici vi è un tesoro magnifico di parola di Dio.

Parola ispirata della Scrittura che nelle pagine del Vecchio Testamento ci presenta il Cristo nelle sue figure e nel Nuovo ce lo presenta in persona. Parola di Dio, uscita dalla bocca dei suoi santi e dei suoi dottori; parola di Dio attuata nelle vite dei santi e dei martiri, che non sono altro che il Cristo prolungato nel suo Corpo Mistico. E, per ultimo, parola, anzi pensiero stesso della Chiesa, che affiora in tutte le formule di preghiere e negli stessi riti e cerimonie che hanno il linguaggio silenziosamente eloquente, spesso più eloquente delle stesse parole.

Scuola di santità. La santità implica nel suo concetto una separazione e una dedizione stabile: separazione da tutto ciò che è contro Dio o semplicemente estraneo a Dio; dedizione stabile di se stessi a Dio e alle cose di Dio, che si esplica in una continua e crescente attività ordinata alla glorificazione di Dio e alla propria santificazione.

Orbene, il sacerdozio di Cristo attuato perennemente nella Liturgia secondo le esigenze dei luoghi, dei tempi, delle persone e delle circostanze, è eminentemente modello di separazione e di dedizione.

Questa scuola di separazione e di dedizione


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appare da tutta la Liturgia e dalle sue singole parti, perché tutti i suoi sforzi mirano a sviluppare nelle anime la vita di Cristo. Egli infatti, come durante la sua vita terrena spandeva sui discepoli gli splendori del suo ideale e li conduceva nella via della santità, così lungo il corso dei secoli attira misticamente i cristiani sui suoi passi mediante la Liturgia.

Sorgente di grazia. La Liturgia non solo contiene il dogma nelle sue manifestazioni più minute, non solo insegna la via della santità, ma ne è la sorgente. Mediante la Liturgia, la Chiesa dispone dei meriti infiniti del suo Capo, Gesù Cristo, non soltanto per rendere a Dio la gloria che gli è dovuta, ma anche per conferire agli uomini la salvezza. Così mentre essa ispira negli animi lo spirito di religione, il bisogno di gridare a Dio, per mezzo di Gesù Cristo, unitamente alla Chiesa e alla natura tutta, la propria ammirazione e dipendenza, comunica pure la vita divina, la sua santità, di cui essa è fonte.

Fonte di santità è la Messa, nella quale Gesù ripete: «pro eis sanctifico meipsum ut sint et ipsi sanctificati in veritate... ut sint consummati in unum».5 Fonte, strumento quasi fisico di santità sono i Sacramenti, azioni di


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Gesù Cristo che ricevono efficacia dalla S. Messa, ci liberano dalla morte dell’anima e ci danno la vita di essa. Comunicazione della bontà di Dio sono pure i Sacramentali, sorgente anch’essi, sia pure secondaria, ma vera, di vita e di santità.

La preghiera liturgica ha virtù purificatrice, illuminatrice, fortificante e unitiva. È la più potente delle preghiere perché è la preghiera della Chiesa, la preghiera di tutti. L’apostolo della stampa, nella sua attività liturgica, si proponga dunque di far conoscere, amare e vivere la vita liturgica. E poiché la conoscenza e l’amore sono indirizzati alla vita liturgica, i suoi sforzi siano indirizzati direttamente o indirettamente ad essa, in proporzione che lo permette lo scopo particolare delle singole iniziative.

Per far «vivere la Liturgia» egli, conformemente ai principi suesposti, in ogni sua trattazione liturgica la presenti adeguatamente sotto un triplice aspetto: esporre la verità che illumini la mente, ricavare un insegnamento pratico che muova la volontà, inculcare la preghiera che innalzi e unisca a Dio. Questo sarà possibile sempre, sia che si tratti la Liturgia nella sua essenza o nella pratica, nella sua totalità o nelle sue parti, rivolta a ministri, studenti, fedeli, infedeli..., svolta in forma di trattato, ampio o sintetico, di spiegazione


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al popolo, considerata sotto l’aspetto storico, dogmatico, ascetico, letterale, simbolico...

Presentata in tal modo, la Liturgia porta l’uomo a rendere a Dio, in Gesù Cristo e nella Chiesa, l’ossequio totale di sé, quale egli lo esige. La mente conosce e contempla; la volontà compie la consacrazione a Dio della vita e dell’essere; dal cuore sgorga l’amore che deve insieme compenetrare e sorreggere questo sforzo di elaborazione e di dedizione.

Così tutto l’uomo si muove, s’innalza, adora, e su tutto l’uomo si riflette efficacemente l’influsso santificatore della Liturgia.

 




3  Cf. Rivista Liturgica, di Finalpia, anni 1935, 1938-1939.



4  At 2,42. * «Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere».



5  Gv 17,23. * Cf. Gv 17,19-23: «Per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità... perché tutti siano una sola cosa... perché siano perfetti nell’unità».




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