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Giacomo Alberione, SSP San Paolo - Bollettino SSP IntraText CT - Lettura del testo |
TERZA ADUNANZA
Personalità
Più che la sua definizione nominale, che è quella che ci dà la spiegazione etimologica del vocabolo, a noi interessa la sua definizione reale, descrittiva; con essa definiamo la personalità un «complesso di note con cui può venire realizzata la persona» (intendendo per «note», in psicologia, le caratteristiche che compongono un concetto). Più brevemente, con definizione essenziale: persona in atto. E si dice «persona in atto» (o anche «realizzazione di persona») poiché è chiaro che non sarebbe sufficiente la concretizzazione di un ideale o di una forma qualsiasi; in quanto al concetto di «personalità» sono essenziali l'individualità, la sussistenza e la natura intellettuale, che sono appunto le note caratteristiche di «persona». Il linguaggio comune viene d'altronde in nostro aiuto: non si parla infatti di personalità di un sasso o di un albero o di un cane: mancano ad essi troppi elementi per avere... una personalità, primo fra tutti la natura intellettuale.
Personalità è quindi
quel complesso di doti e caratteristiche che danno o daranno origine ad un
individuo tipo. Questo è precisamente l'elemento
nuovo che il termine «personalità» aggiunge a persona: il concetto di tipo, che racchiude un ideale a cui la persona dovrebbe accostarsi. «Di conseguenza la personalità non può essere posta all'inizio come un punto di partenza da cui discendono i tratti del carattere e del comportamento, ma dev'essere considerata come un punto d'arrivo, conseguente all'educazione ricevuta e fatta propria dal soggetto» (Encicl. Filosof.).
Purtroppo un errore in cui oggi si cade sovente, soprattutto da parte dei giovani, è quello di identificare la «personalità» con l'affannosa ricerca dell'autoaffermazione per mezzo dell'eccentricità, della singolarità, della stravaganza: il fare cioè qualcosa di diverso dagli altri... È vero, ogni grande uomo, ogni personalità autentica, s'innalza al di sopra della normalità, ma senza mai uscire dal normale. L'imporsi agli altri è dato dal grado con cui si sa tradurre in realtà il «tipo», aderendo il più possibile all’originale. Ciò che non significa affatto essere eccentrici o peggio anormali: in quanto è proprio questo che costituirebbe la morte della personalità. In essa abbiamo la concretizzazione degli elementi personali realizzati in ogni individuo con caratteristiche fornite o favorite dal temperamento, dalla costituzione, dall'ambiente, dalla educazione, nonché dettate soprattutto dall'intenzione con cui ogni singola persona vuol vivere il suo proprio ideale.
In pratica e concretamente: considerando gli ideali che si vogliono vivere (supponiamo di Sacerdote o di Discepolo Paolino, di Maestro, ecc...), si potrà dire di immedesimarli, di rivestire cioè una personalità, quando se ne rivivono tutte le note. Per cui, in ultima analisi, possiede una personalità particolare, la persona che ha saputo ricopiare e tradurre in sé un ideale, così come gli è stato proposto, aggiungendo di suo l'intelligenza e la volontà di volerlo capire e realizzare nella forma più piena.
Nell'Istituto nostro ha vera e giusta personalità chi vive integralmente l'ideale paolino, secondo lo stato e le attitudini.
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Quale la suprema personalità? Quale l'ideale paolino? Come e quando si realizza e si vive?
Come San Paolo: quando si può dire «Vivo ego, iam non ego, vivit vero in me Christus».
«È una trasformazione totale in Gesù Cristo, in cui ambedue le parti (Gesù Cristo e l'anima ) si cedono a vicenda, trasfondendo l'uno l'intero possesso di sé all'altro, con una certa consumazione di unione amorosa, in cui l'anima diventa divina e Dio, per partecipazione, in quanto possibile in questa vita».
(Dalla «Teologia della Perfezione Cristiana» Ed. Paoline - Roma)
Si verificano «la mutua donazione, la trasformazione, la permanente unione di amore». Così come avviene di un pezzo di ferro nel fuoco.
Non è trasformazione ontologica, ma una trasformazione delle nostre facoltà superiori quanto al modo di operare.
«L'anima ha coscienza nei suoi atti soprannaturali di intelligenza, d'amore e di volontà: essa partecipa della vita divina, degli atti analoghi che sono di Dio».
Così Gesù chiede al Padre: Che noi siamo una cosa sola col Padre e con Lui; come Egli, Gesù, è nel Padre ed il Padre in Lui (Giovanni 17, 21).
Tutti possono raggiungere questa unione?
Questo ideale di perfezione e di santità è aperto a tutte le anime in grazia.
Questo stato di trasformazione è il termine normale di una vita cristiana e specialmente religiosa. Non si tratta di estasi, visioni, miracoli... «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro Celeste».
In questa elevazione «Dio non è più solamente l'oggetto delle nostre azioni soprannaturali di mente, di cuore, di volontà; ma Egli si mostra come comprincipio di tali azioni, l’aiuto di cui ci serviamo per produrle. I nostri atti ci appaiono come fossero atti divini – è Lui che guida e domina le facoltà. Le facoltà sentono la linfa della Vite-Cristo. Si vive in Lui, per Lui, di Lui: «Vivit vero in me Christus».
Si è raggiunta la personalità in Cristo, predicata da San Giovanni Evangelista e da San Paolo Apostolo.
È un'unione di due operazioni.
È chiamato matrimonio spirituale nei trattati.
S. Paolo dice dei semplici fedeli che «li ha fidanzati a Gesù Cristo» (2 Cor. 2, 2); ciò che risulta dal Vangelo (Matt. 22, 3; Luca 12, 36, etc.). La tradizione cristiana ha usato questa terminologia, ricavandola da S. Paolo (Ef. 5, 23-32 ).
Frutti: morte dell'egoismo; unica aspirazione è la gloria di Dio, desiderio sereno delle sofferenze, vita delle beatitudini, zelo per le anime, desiderio di solitudine, pace imperturbabile, morte uniformata a Gesù Cristo.
È la garanzia di entrata in cielo appena spirati.
Salendo per i vari gradi di orazione si sale pure verso questa perfezione. «I gradi di orazione coincidono con i gradi della carità». «I gradi di orazione insegnati da Santa Teresa rappresentano altrettanti gradi di ascesa spirituale» (S. Pio X).
(Dal Tanquerey, S. Giovanni della Croce, A. Rojo, etc.).