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Giacomo Alberione, SSP
San Paolo - Bollettino SSP

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LA MEDITAZIONE DI AFFETTO

(orazione affettiva)

 

          È una meditazione semplificata, in cui vanno sempre più prevalendo la volontà ed il cuore a confronto del lavoro discorsivo e ragionato. Ma lo suppone. È definita: «l'orazione in cui predominano gli affetti e desideri sul discorso intellettuale».

          La diversità della meditazione mentale dalla 


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meditazione affettiva sta nel prevalere l'una o l'altra del discorso-ragionato o l'affetto del cuore coi propositi. Il prevalere dipende molto dal carattere di ognuno: carattere freddo ed energico o carattere più sensibile ed affettuoso. Dipende anche dall'argomento: diverso l'argomento della fede, altro l'argomento della carità verso Dio. È chiaro che questa meditazione affettiva è più adatta, ai singoli, individualmente, anziché in forma di predicazione.

 

          c) Quale preferire tra la meditazione mentale e la meditazione di affetto?

          Dipende dai frutti: dal miglioramento della vita e dal progresso nella virtù: «purezza di intenzioni», abnegazione, profonda umiltà, pratica della carità, generosità nel dovere quotidiano.

          Il passare dal ragionamento all'affetto deve essere spontaneo. La durata dell'affetto dipende pure dalle disposizioni interne: qualche volta si ritorna al ragionamento; le facoltà interne non si conducono come il muovere un piede dopo l'altro nel camminare. Poi vi è il lavoro dello Spirito Santo nell'anima: «ubi vult spirat».

          Quando si dice affetto non s'intende sensibilità, ma soprattutto la volontà e la preghiera. La sensibilità qualche volta giova, ma non ricercarla troppo; piuttosto curare che la meditazione operi per la giornata, illumini e guidi l'interno e l'esterno.

          L'affetto sensibile può essere un'illusione. Anime dette pie continuano in una vita mediocre, anche alimentata da vana compiacenza, e da un vero e pericoloso orgoglio.

*

          Nella Famiglia Paolina se e come si fa la meditazione?

 

          a) La meditazione si fa e deve farsi in comune, generalmente; cioè quando non si è legittimamente impediti.

          Ai Sacerdoti dell'Istituto «Gesù Sacerdote», ai Gabrielini ed alle Annunziatine si raccomanda di usare i libri indicati da chi dirige, e le meditazioni riportate nelle circolari. Quando non vi è la vita materialmente comune, è chiaro che ciascuno fa la meditazione da solo.

 

          b) Negli Esereizi spirituali, nei Ritiri mensili, nelle meditazioni quotidiane (lette o predicate), dividere il tempo: per l'istruzione (o lettura o memoria) un terzo del tempo; un terzo per le riflessioni, per comprendere e convincersi, un terzo per l'esame di coscienza, dolore, propositi, affetti, preghiera. Questa norma deve sostanzialmente seguirsi; diversamente non si farebbe la meditazione, e diverrebbe un'istruzione; o 


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passando quasi subito alla terza parte, si ha la preghiera affettiva (che è un grado superiore di orazione).

          Se chi guida o predica la meditazione, aiuta anche nella seconda e terza parte, si ha la vera orazione mentale; se invece non aiuta, l'uditore o lettore deve lui stesso compierle.

          Spesso la vera meditazione non è fatta; tanto meno se si riduce ad avvisi; mancando la meditazione la volontà s'indebolisce; sottentra la tiepidezza, diminuiscono le energie spirituali, succede una vita insoddisfatta... e si va sino a non più vivere la vita religiosa, o la si abbandona definitivamente: è la rovina.

 




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