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Giacomo Alberione, SSP Ut Perfectus sit Homo Dei IntraText CT - Lettura del testo |
6. Suggerimenti per una lettura
La lettura di un’opera come questa, non più immediatamente percepita come attuale, ci pone qualche problema.
Don Alberione parla e scrive prima del Concilio Vaticano II, prima di un cambio piuttosto profondo nel modo abituale di percepire la realtà del mondo in cui viviamo; prima della promulgazione del nuovo Codice di Diritto Canonico e prima delle nuove Costituzioni della Società San Paolo (1984). Egli citava le Costituzioni del 1957 che sono state successivamente “aggiornate”. Che cosa resta dunque di sempre valido delle cose che egli disse nel 1960?
Un approccio “paolino” a questi testi può aiutare.
Paolo, a proposito delle Scritture, parla di una “lettera” che uccide e di uno “spirito” che fa vivere. Egli ha in mente l’antica Legge che conosceva, osservava e zelava. Tale Legge però, dopo Damasco, è considerata da lui “una perdita” dinanzi all’incontro personale con il Messia crocifisso ma vivente.
Anche per noi, l’interpretazione di un’opera carismatica come questa non può essere solo o principalmente un ritorno al 1960, bensì una rilettura a partire dal Maestro che è sempre vivente e attuale, oggi.
Da un punto di vista “paolino” non sarebbe valida una fedeltà alla lettera che ci riportasse indietro senza spingerci anche in avanti.
Altro
pericolo da evitare è quello di ritenere falso, o senza importanza per noi
lettori di oggi, ciò che è “vecchio”. Certo, è presumibile che Don Alberione
non userebbe oggi lo stesso
linguaggio di allora. Sicuramente egli era condizionato, come noi oggi, dalla età e dal tempo. Forse non direbbe più certe cose mentre ne direbbe altre, per esempio circa la condizione femminile,34 o sull’uso dei mezzi più celeri ed efficaci di apostolato. La consapevolezza della dignità della donna e il progresso tecnologico hanno fatto qualche passo avanti rispetto agli anni ’60, sia nella società civile che nella Chiesa. La stessa teologia post-conciliare si è sviluppata lungo altri sentieri. In generale è mutata la prospettiva e il modo di percepire la Chiesa.
Tuttavia, se è da evitare il rischio di fondamentalismo, neppure lo scetticismo è l’approccio giusto dinanzi a un testo che, per quanto sia del 1960, per il suo stesso carattere carismatico supera anche il nostro tempo.
Dietro quest’opera c’è l’autorità del Fondatore, così come, per capirci, invisibile nel terreno ma sempre presente e attiva, c’è la radice che fa vivere, e ancora crescere e portare fiori e frutti all’albero. Se si vuole morta la radice, muore l’albero. Perdere il passato è perdere l’identità e la proiezione al futuro.
Che orientamento dunque derivare dalle “istruzioni” dell’aprile 1960 nella nostra vita paolina di oggi?
Descrittive
di una fedeltà creativa al carisma paolino, si rivelano le parole e le
espressioni, in questi come in tanti altri testi – segnalazioni di un percorso
di lettura, – che esprimono movimento, un’esigenza di dinamismo e perfezionamento
continuo: come suggeriscono la stessa immagine del “carro con le quattro
ruote”, il riferimento all’“oggi”, la spinta ad andare ancora più “avanti”, a
“progredire” in tutto; l’indicazione del metodo della “Via, Verità e Vita”; la
necessità del “camminare” con i tempi, cioè con la Chiesa e con il mondo; il
camminare assieme, sinodalmente, come “Istituto” o “Congregazione” e ormai
sempre più anche come “Famiglia Paolina”, in unità, organizzandosi sempre più e
sempre
meglio; l’assunzione dei mezzi più “moderni”, “più celeri ed efficaci” necessari per l’apostolato; il mirare all’“universalità” dei contenuti, dei destinatari, dei luoghi; il “migliorarsi” fino alla “perfezione”, che sarà definitiva solo con la convalida della “corona di gloria”.
Don Alberione dunque sposta tappe e traguardo più in alto e più in là di dove siamo arrivati in questi anni. Anche con queste istruzioni, egli offre indicazioni sicure per un cammino che resta da fare; offre un metodo per operare con spirito di iniziativa insieme a quello di conservazione. Ci propone una spiritualità perenne, che si rinnova in una visione della Via del Maestro, e che diventa “paolina” nel “vivit in me Christus”.
* * *
In conclusione, «le cinquanta istruzioni dettate dal nostro Fondatore nell’“adunata” del 1960 hanno una rilevanza carismatica che integra l’Abundantes divitiæ e, in certo senso, lo supera. Qui pulsa l’ansia di trasmettere ai figli la sua eredità spirituale e istituzionale con garanzie di fedeltà e dinamismo. Più volte, infatti, egli dichiara la sua preoccupazione testamentaria e insiste ripetutamente sull’unità, compattezza, complementarietà della Famiglia Paolina».35
Chi legge questi testi espone mente, volontà e cuore ad una sintesi, forse la più matura e autorevole del pensiero di Don Alberione; e può anche finire con l’entusiasmarsi della sua modernità ed eccellenza.
Roma, 1997
Il Centro di Spiritualità Paolina