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Giacomo Alberione, SSP
Ut Perfectus sit Homo Dei

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Quando parlare di vocazione

     Si fa la domanda: quando si può parlare ad un giovane di vocazione?

     Non è mai troppo presto, poiché la vocazione l’ha dalla creazione e con le grazie del Battesimo. Il fanciullo ha ricevuto nel Battesimo le grazie per vivere la vita cristiana: perciò quando arriva all’uso di ragione bisogna istruirlo, instradarlo, indirizzarlo a ricevere la Comunione, ad obbedire, a voler bene a tutti. In modo simile, e direi uguale, si deve fare per la vocazione; ché se a lui si parla di essa, in termini adatti alla sua età, quando è innocente, capirà che Gesù bisogna amarlo tanto! Se lo si invita ad amarlo più di altri e dire una Ave Maria per chi non l’ama ed è in pericolo di dannarsi, qualcosa capirà. Sarà un indizio, un germe. Lo


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si faccia pregare per i bambini che non hanno il battesimo; lo si porti vicino all’altare, perché veda bene il prete celebrante... Se si sa parlare dei desideri del Signore, della Ss. Vergine, del Figlio suo crocifisso per i peccatori... si è aperta una via; non lo si prema; si preghi, lo si tenga in ambienti sani, abbia buoni esempi.

     Non in tutti si avrà una corrispondenza; i più non hanno la vocazione. D’altra parte la vocazione è un vivo amore al Signore ed alle anime, ad alta tensione, si potrebbe dire; accenderlo è preparare il terreno; il Signore farà nascere il seme, se tale è la sua volontà. Ché se non è tale, avremo almeno un cristiano buono, praticante.

     Ancora: quando i vocazionisti (un po’ di quasi tutti gli Istituti religiosi e seminari) muovono alla ricerca di giovanetti, devono sempre parlare loro di vocazione e del loro Istituto; mostrarne la vita e la forma di apostolato. Ne devono parlare ai genitori, ai Parroci, ai responsabili. E più si parlerà chiaramente e si descriverà la vita che dovrebbero fare, meglio sarà. Nessun inganno o sotterfugio. Parlando della Pia Società San Paolo, si dovrà chiarire bene la condizione del Sacerdote e quella del Discepolo; perché la scelta sia fatta in partenza, con grandi vantaggi.

     Si spiega: non si tratta di collegio, ricovero, seminario, scuola tipografica, o simili. Ma di un Istituto religioso; vi entra chi vuole farsi religioso, nella vita paolina; nella quale vi sono due condizioni: Sacerdote o Discepolo, secondo la vocazione e attitudini. È bene aggiungere: chi non riesce negli studi non ne ha colpa, è chiaro, ma non ha la vocazione sacerdotale.


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     Aspiranti: tali si considerano tutti gli entrati in Probandato.

     Tutto si compie in ragionevolezza e fede, ma si avviano alla vita paolina.

     La pietà, lo studio, l’apostolato, l’orario, l’educazione umano-religiosa dev’essere in conformità agli usi tradizionali dell’Istituto.

     Entrando nell’intimo: abituarli a distacchi in amore, sensim sine sensu,2 con corrispondenza, visite, vacanze moderate; a vita disciplinata e convivenza informata a carità; all’amore all’Istituto ed al suo apostolato; alla delicatezza di coscienza, obbedienza, povertà; alla riservatezza, a piccole mortificazioni, all’uso santo dei mezzi tecnici; a comprendere come è ordinata la formazione, anno per anno.

     Esigere un lavoro spirituale ordinato, insistere sopra la schietta apertura con il Maestro di spirito, infondere un tenero amore alla Madre, Maestra e Regina degli Apostoli ed a San Paolo, formare il senso della vocazione ed una personalità robusta.

     Volere che amino la persona del Maestro del reparto più che il Signore, l’accontentare meno cristiano, l’operare per viste umane, ecc. saranno causa di una bassa percentuale di riuscite.

     Chiediamo dei Maestri modellati sul Divin Maestro per la formazione degli Aspiranti.

 

 




2 «A poco a poco, gradatamente».




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