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Giacomo Alberione, SSP Ut Perfectus sit Homo Dei IntraText CT - Lettura del testo |
Istruzione XII
LO STUDIO DEI DISCEPOLI
Nota sulle tre devozioni paoline
La sapienza e la carità di Dio ha voluto affidare alla Famiglia Paolina una preziosa missione. Essa è di sommo vantaggio per la Chiesa e l’umanità intera:
a) Meglio conoscere, imitare, pregare e predicare
Gesù Cristo Maestro unico: in cui tutto si unisce e incapitola, «omnia instaurare in Christo» – «In ipso omnia constant» – «Magister vester unus est Christus».1
b) Meglio conoscere, amare, pregare e predicare Maria nel suo titolo specifico «Regina Apostolorum».
La prima devozione verso Maria fu quella di Gesù che la onorò come Madre; seconda devozione a Maria fu quella degli Apostoli che l’amavano, veneravano, imitavano «Regina degli Apostoli».
c) Meglio conoscere, imitare, pregare e predicare San Paolo Apostolo, «Vas electionis, doctor gentium, martyr»;2 nostro Padre e Maestro.
Siamo riconoscenti al Signore di questo triplice dono. Ogni anno un passo in avanti: il Signore lo vuole, assiste con la sua grazia, prepara un grande premio.
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Art. 142. I Superiori procurino che tutti i religiosi si accostino, almeno una volta alla settimana, al sacramento della penitenza.
Art. 143. Rimanendo fermi gli art. 47, 48 e 191, si stabiliscano in ogni casa della Società, secondo il numero dei membri, più confessori legittimamente approvati.
Art. 144. Ogni membro, per tranquillità della sua coscienza, può presentarsi a qualunque confessore approvato dall’Ordinario del luogo, e la confessione fatta al medesimo è valida e lecita.
Art. 145. Gli stessi Superiori, che hanno la facoltà
di confessare, possono, osservate le prescrizioni del diritto, ascoltare le confessioni dei sudditi che lo richiedono spontaneamente, e di loro propria iniziativa. Ma, senza grave causa, non lo facciano abitualmente e si guardino dall’indurre, con la violenza, con il timore, con opportune insistenze o in altro modo, sia direttamente che per mezzo di altra persona, qualcuno dei loro sudditi a confessare ad essi i propri peccati.
Art. 146. A tutti i Superiori è proibito d’indurre in qualunque modo le persone loro soggette a manifestare ad essi la propria coscienza. Non è proibito però ai sudditi di poter liberamente e spontaneamente aprire l’animo ai loro Superiori; anzi è conveniente che essi avvicinino i Superiori con filiale fiducia, esponendo loro anche i dubbi e i timori della propria coscienza.