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Giacomo Alberione, SSP
Ut Perfectus sit Homo Dei

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Conseguenze: nessuna “discriminazione d’intelligenza”

     1. Nelle accettazioni dei Discepoli si esige un’intelligenza almeno mediocre: l’esito del nostro apostolato, anche di tecnica e propaganda, dipende tanto dalle qualità, non solo morali, ma anche intellettuali.

     Scrive un buon Superiore in proposito: «Uno dei nostri giovani, Alberto González, che sta frequentando la quarta ginnasiale, da almeno otto mesi sta insistendo che la sua vocazione è di Discepolo. Il fatto importante è questo: che è sempre emerso come il primo della classe, sotto tutti gli aspetti, e che ha doti esteriori notevoli, come facilità di parola, intraprendenza, assenza di timidezza. Gli abbiamo dato sei mesi di prova affinché riflettesse meglio e non avesse mai a pentirsi; ma ora gli abbiamo permesso di fare il passo verso la vocazione che a lui e a noi pare ormai chiara. Pur rimanendo tra i Discepoli, continuerà a studiare come prima, nello stesso corso (facilitato questo dal fatto che il gruppo dei discepolini è unito, per ora, a quello degli studenti).

     Il fatto in sé è per noi significativo; rimane così documentato ciò che il Primo Maestro ha sempre ripetuto:

     La vocazione del Discepolo non si determina per una discriminazione d’intelligenza e di capacità. Siamo certi che si avranno buone ripercussioni sul gruppo dei nostri Discepoli. Preghi affinché sia perseverante!».

     2. L’insegnante deve molto amare i Discepolini, ed i Discepoli molto amare il Maestro. I bravi Discepoli


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sono di tanta consolazione e gioia quando si vedono amati, compresi, incoraggiati.

     Deve pure esigere. Lo studio riesce più pesante del lavoro, in generale. L’alunno deve venir stimolato: nella recita delle lezioni, nella correzione dei compiti, negli esami semestrali e finali.

     3. Uniti in una Famiglia religiosa, il bene degli uni è bene degli altri; e bene di tutti. Il Discepolo sia grato al Maestro. La riconoscenza piace al Signore; piace all’insegnante; merita davanti al Signore. Perciò l’espressione di San Paolo: «Grati estote»: siate riconoscenti [Col 3,15].

 




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