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Giacomo Alberione, SSP Appunti di Teologia Pastorale - II edizione IntraText CT - Lettura del testo |
Capo I
Quando si dice “pietà” si intende una vita. Essa non è, come erroneamente la intendono anime superficiali, un semplice formalismo esteriore, né, come calunniano i suoi nemici, un’illusione di spiriti affetti da misticismo: no. Essa è tutta un’attività interna che si manifesta all’esterno con la fecondità delle opere. Lo spirito illuminato dagli splendori della fede è il primo ad entrare in azione: fissa il suo sguardo in Dio e penetra ogni giorno più innanzi in quest’Essere infinito. Il cuore poi vi prende subito parte: sotto il fascino della bellezza e della verità si lascia condurre all’amore ed all’unione con Dio. La volontà poi sotto l’influsso della grazia prende risoluzioni più forti, opera più vigorosamente. Allora ne appaiono gli effetti esterni: il carattere si addolcisce, le parole risentono della carità soprannaturale, le mani son più pronte allo zelo; ed ecco i frutti: le opere.
Si noti bene però che, siccome ogni vita ha bisogno di nutrimento, così la pietà dev’essere alimentata.
Le pratiche di pietà sono gli alimenti e le virtù i frutti.