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Giacomo Alberione, SSP Appunti di Teologia Pastorale - II edizione IntraText CT - Lettura del testo |
Obbedienza al Vescovo. – Anzi tutto per quanto riguarda la nostra destinazione ad un luogo o ad un ufficio. È gran male il tirare fili, usare industrie per cercare l’ufficio o il posto di nostro gusto; molto facilmente, anziché la volontà di Dio si farebbe la nostra; non conoscendo bene quid valeant humeri, quid ferre recusent,4 facilmente si andrebbe incontro a disillusioni. Questo è da avvertirsi dai giovani sacerdoti che escono dal Seminario, dai vice-curati che devono cambiar posto, dai vice-curati che vanno ai concorsi o si cercano una cappellania. Come sarebbe male l’ostinarsi in queste cose! Come si scandalizzerebbe
il popolo nel muovere critiche ai superiori quando si è traslocati! Si desidererebbe vedere il perché; ma il perché non sempre lo possono dire i Superiori. Obbedire anche quando l’ordine pare ingiusto, strano, irragionevole! Ciò non toglie che si possa esporre con intenzione retta le ragioni al Superiore. Ma se il Superiore insiste, il Sacerdote deve chinare il capo e obbedire come a Dio. Obbedienza poi agli ordini del Vescovo anche nell’indirizzo del governo della parrocchia, rettoria, ecc., anche nell’ufficio di vice-curato. Disponga il Vescovo di cose materiali, come il tener a dovere il beneficio, il concorrere in qualche spesa di vantaggio comune, ecc.; disponga il Vescovo di cose spirituali: processione, funzioni di riparazione, di circostanze straordinarie, ecc. digiuni, ecc.; disponga di cose accessorie, come sono pellegrinaggi diocesani, adunanze, azione cattolica, ecc... si deve sempre a lui, secondo il caso, prestare obbedienza figliale o volenteroso assecondamento. Non critiche, non mormorazioni, specialmente col popolo.
Questa obbedienza sia amorevole tanto da chiedere pure i consigli, da confidare col Vescovo certi dolori e certe consolazioni più grandi incontrate nel nostro ufficio; insomma consideriamo il Vescovo più come padre, che come Superiore.