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Giacomo Alberione, SSP Appunti di Teologia Pastorale - II edizione IntraText CT - Lettura del testo |
§ 1. – Tra parroco e vice-curato
Il parroco, rispetto al vice-curato, riveste tre qualità: è superiore, è compagno di fatiche, è padre.
Come superiore ha diritto e dovere a regolare l’andamento del ministero esterno. Esterno, perché deve lasciare al vice-curato ampia libertà per ciò che si riferisce al confessionale, guardandosi da ogni spirito d’invidia. Deve regolare l’andamento del ministero, ma deve pure lasciargli nelle cose che gli affida quella libertà che fa sentire la responsabilità e ancora permette al vice-curato di svolgere la sua attività. Una libertà troppo ampia, se il vice-curato non è veramente di buon spirito, è dannosa: ma una soverchia vigilanza sospettosa su di lui, i comandi troppo minuti, una diffidenza continua abbattono e smorzano ogni zelo.
La superiorità giova usarla senza farla sentire. Lungi perciò ogni comando imperioso, non ordini dati a mezzo della serva, generalmente parlando, non comandi continui. In generale giovano la carità e la prudenza. Non può essere buono il principio: io al vice-curato non comando mai: deve sapere abbastanza che ha da fare. Molto lodevole invece comandare sempre sotto forma di preghiera dicendo ad esempio: faccia il piacere...
Il parroco ha pure un’alta vigilanza sopra il vice-curato: ed a tempo dovrà correggerlo, a tu per tu, mai in pubblico: anzi in pubblico deve sostenerlo. Che se i difetti sono gravi, lo avvisi con più fermezza, carità e confidenza: che, se fosse incorreggibile, ne dia avviso, con segretezza, al Vescovo onde questi possa provvedere.
La sua superiorità non s’estende certo alle cose che spettano al vice-curato come individuo; ben inteso, quando non vi siano abusi da correggere.
Ma qui notiamo una cosa d’importanza. Una delle disgrazie maggiori per un giovane sacerdote è trovarsi senza lavoro.
Di qui dipende spesso l’avvenire d’un sacerdote: ed il parroco ne ha una grave responsabilità. Spesso non basta dire: può studiare, faccia! Il giovane ha bisogno d’aiuto, d’un po’ di sostegno anche in questo: poiché sovente non sa comandarsi e guidarsi da sé in quei primi anni di ministero.
Perciò il parroco farà molto bene a provvedergliene, in tutti i modi possibili: sarà con scuole di canto, sarà con dargli predicazioni speciali, sarà con studiare con lui, per es.: la teologia morale, ecc. È ottima cosa scoprirne le buone qualità ed abilità, ed a tempo, se lo vede conveniente, affidargli quel lavoro e quelle opere che prevede saranno da lui ben compite. Non dovrà però fargli eseguire lavori che spettano ai servi: far spaccar legna, lavorare in cantina, portare acqua, far cucina, ecc.: potrà pregarlo di qualche piccolo servizio, ma sempre come si usa tra amici e come conviene alla dignità del carattere, mai come si impone alle persone di servizio.
Come compagno di fatiche, gioverà molto ispirargli
e dargli confidenza in quelle cose specialmente che sono da compiersi in comune. Ed in questo è una verità d’esperienza che il primo posto ove un sacerdote esercita l’ufficio di vice-curato lascia per lo più un’influenza decisiva nell’indirizzo e nello zelo di tutto il suo futuro ministero. Il giovane vice-curato, appena uscito dal seminario, è come cera capace di plasmarsi secondo qualsiasi forma: e la forma presenta il parroco, nel suo modo di predicare, di vivere in canonica, di esercitare lo zelo, ecc. Pochi non ne prendono quasi del tutto la forma, nessuno è capace di sottrarvisi del tutto. Quale compito delicato non sentirà dunque un parroco pensando che da lui in gran parte dipende il ministero del giovane compagno datogli dal Signore! Quanta cura nel presentargli esempi di zelo, nel mostrarglisi modello nella predicazione, nella assiduità al confessionale, ed in tutta la cura pastorale! nell’avvisarlo a tempo, nell’incoraggiarlo, nel confortarlo, ecc.!
Anzi sarebbe utilissimo il parlare sovente con lui di cose spettanti al ministero, per es. a tavola, a passeggio, ecc., istruirlo sul modo di compire i sacri ministeri, fargli conoscere i pericoli principali della parrocchia o l’indole del popolo in generale ed in particolare... ed anche il sentire i suoi suggerimenti, le osservazioni, ecc. Qualunque persona, anche un bimbo, può dire qualcosa d’utile: quanto più chi desidera far del bene ed è illuminato da Dio!!
Sarebbero segni di poco affetto lasciarlo cadere in sbagli: criticarlo colla persona di servizio o lasciarlo da questa trattare come inferiore: sparlarne col popolo o con altri confratelli: non difenderlo dalle critiche: non lodarne mai l’operato anche in pubblico,
non mostrarsi mai soddisfatto del suo agire, per quanto buono.
Come padre. – Egli l’amerà il suo vice-curato e il suo amore lo dimostrerà: a) in un trattamento decoroso riguardo all’alloggio, al vitto, alle necessità speciali di salute. Mai userà un trattamento inferiore al proprio e, secondo le convenienze, l’userà anche superiore: ciò riguardo al vitto per es. se il parroco per ragioni d’economia o di salute preferisce il vinello, non pretenda che il vice-curato vi si adatti, con detrimento forse della salute o con grave sacrificio; riguardo alla persona di servizio, imponendole di obbedirgli nelle cose ordinarie; riguardo al popolo ed al sacrestano, che devono considerarlo come un altro lui stesso;
b) non gli imporrà anche troppo lavoro, per non sfruttarlo e quando vedrà che il bene del curato esige che muti luogo o si presenti ai concorsi parrocchiali, saprà concedergli il tempo sufficiente ed anche privarsi di lui.
Il vice-curato rispetto al parroco. – Se il parroco è superiore, il vice-curato gli deve ubbidienza. Egli deve studiare il metodo di cura del parroco ed uniformarvisi quanto lo permette la coscienza. Pretendere d’imporre le sue idee e tendenze, voler dare subito un indirizzo proprio è vana velleità; anzi d’ordinario causerebbe discordie e, per far di più o far meglio, si farebbe nulla e forse del male. Il parroco ha la responsabilità ed il vice-curato gliela lasci; il parroco è stabile, il vice-curato è di passaggio: dunque non porti così facilmente delle novità.
Pure può avvenire il caso in cui il parroco sia alquanto trascurato o per vecchiaia o per altre cause: il vice-curato invece ripieno di zelo e di sante intenzioni.
Allora? Si consigli coi Superiori od almeno con un santo confessore: poi faccia come gli vien detto. Che se si dovesse però dire qualcosa, in generale si potrebbe notare: che spesso ciò che sembra zelo è imprudenza: che le opere anche migliori, se non avranno la stabilità, poco gioveranno; che nel migliore dei casi è prudenza seguire il metodo già usato da vice-curati d’ottimo spirito; in principio è sempre meglio guadagnare l’animo del parroco coll’obbedienza umile e coll’affezione più schietta, poi man mano il vice-curato potrà esprimere, come a caso, alcune sue vedute o intenzioni, o semplicemente riferire ciò che altrove si è fatto, proporre qualcosa di facile, ecc... Otterrà forse più che non sperava.
La concordia dell’azione è così utile e necessaria che per essa il vice-curato dovrà fare ogni sacrificio: 1) di tempo, trattenendosi col parroco, accompagnandolo nelle visite e nelle passeggiate, quando egli lo desidera e la prudenza lo permette, purché non sciupi così un tempo molto notevole; 2) di amor proprio, cercando di far giungere al parroco le lodi che può essersi lui stesso meritate col proprio lavoro; chiedendo consiglio in tutte le cose permesse dalla prudenza; chiedendo informazione sulle persone del paese; pregandolo prima della predica a dirgli se vi è su quell’argomento qualcosa di particolare da notare e dopo di essa ad avvisarlo degli sbagli occorsi; 3) di comodità, adattandosi agli usi del parroco, al vitto, all’alloggio, all’orario, ecc.; cercando anzi di prevenire il parroco in tutti i desideri; mostrandosi contento di tutto, se proprio non ne ha incomodi gravi; ricordando sempre che d’ordinario la disunione sarebbe male peggiore per la vita parrocchiale e per il bene
pastorale; 4) di parole, imponendosi la regola assoluta di non lagnarsene mai né colla persona di servizio, né colla popolazione, né coi confratelli; anzi cercando di sostenerlo e scusarlo sempre, eccetto il caso di errore evidentissimo; lodandolo anzi dal pulpito ed in privato, ogni volta che è possibile farlo. Gli sfoghi che si possono fare sono innanzi [all’altare] di Gesù Sacramentato e ai piedi di Maria SS.
Il parroco è compagno di fatiche: ma il vice-curato deve cercare di compiere la parte più gravosa: per esempio alzarsi di notte per gli infermi, portarsi per il primo in chiesa al mattino, celebrare la messa più incomoda, accettare dal parroco quegli uffizi che vorrà dargli, studiandosi di disimpegnarli bene, chiedendo anzi il parere del parroco in ciò che ha da fare. Se ha lagnanze o rimproveri a fare alla serva, al sacrestano o al popolo, lasci agire il parroco: se questi nol sostiene è meglio tacere, d’ordinario.
Il parroco è padre: dunque il curato lo ami come figlio, lo consoli nelle sue angustie, lo aiuti nei suoi bisogni, specialmente quando cadesse infermo, lo compatisca nei suoi difetti.
Potrà avvenire che vi siano difetti veramente gravi e difficilmente correggibili, dannosi alle anime o a lui stesso? Il vice-curato li esamini innanzi a Dio, preghi a lungo, ne parli al confessore e, dietro il consiglio di questi, potrà segretamente conferire coi Superiori; rimettendosi poi al parere di essi: ma lo faccia fortiter et suaviter.
E qui sarà bene, per evitare ogni desiderio intempestivo di mutar vice-cura, ricordare che ovunque vi sono croci e miserie; che come, ovunque andiamo, noi portiamo la nostra somma di difetti, così ovunque ne
troviamo; che meglio è sapersi adattare al primo posto cui si è stati destinati, perché riescirà più facile affezionarvisi.