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Giacomo Alberione, SSP
Appunti di Teologia Pastorale - II edizione

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A) Per la concordia giova:

1. Conferire spesso tra di essi intorno ad argomenti di teologia pastorale, sia che riguardino l’opera esterna del Sacerdote, per es. quella che si designa col nome di azione cattolica, le relazioni coll’autorità comunali, ecc.; sia che riguardino l’opera interna, come sarebbe il modo di trattare i penitenti recidivi, le figlie che frequentano il ballo, ecc. Per questo niente gioverebbe più che il fare quanto sopra si è notato: tenere cioè delle vere conferenze pastorali: scegliendo due o tre sacerdoti a svolgere temi di pratica; facendo un’ora di adorazione in comune, anche col popolo; pagando ciascuno una piccola quota per le spese. Il frutto fu ottimo sotto ogni rispetto, dove se ne fece l’esperimento.

2. Ricorrere ai consigli dei colleghi, specie dei più attempati, nei casi più difficili: giacché non sempre è possibile portarsi dal Vescovo e dai Superiori.

3. Prestarsi vicendevole aiuto nelle circostanze di maggior lavoro, specialmente quando vi è deficienza di clero. Ciò può riuscire necessario in occasione di Esercizi spirituali, di confessioni generali per adulti o per fanciulli, di funzioni solenni, ecc.


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S. Alfonso raccomandava di più che i preti vicini si scambiassero per alcuni giorni onde dare libertà ai fedeli nel confessarsi. So di alcune parrocchie ove i Sacerdoti si scambiano per dettare gli Esercizi spirituali o predicare le Quarantore, ecc., stante la deficienza di mezzi. In altri il Vicario foraneo a studiare a ciascuno dei Sacerdoti della sua giurisdizione un argomento speciale, onde possa trattarlo con competenza, per es. l’agricoltura, l’alcoolismo, la organizzazione del catechismo, ecc. Compiutasi da tutti la propria parte, ciascuno si porta successivamente in tutte le parrocchie a tenere prediche, lezioni, conferenze, ecc., secondo il caso. Così mentre diminuisce la fatica e la spesa, come sopra si è detto, si otterrà molto vantaggio per l’armonia tra il clero e per il bene delle anime.

4. Visitarsi qualche volta. Non visite troppo frequenti, accompagnate da pranzi clamorosi, con perdite gravi di tempo, con critiche del popolo, con denaro sperperato, ecc.; ma visite fatte per motivi di carità e di consiglio: visite frequenti più o meno secondo il bisogno: visite che si fanno anche per necessità, allorché un confratello è infermo, e specialmente quando non è circondato che da serve prezzolate e da parenti ingordi. Allora siano esse molto frequenti: si porgano al malato i soccorsi spirituali, disponendolo al gran passo, se ne è il caso, ed i soccorsi corporali, provvedendo che venga ben accudito e suggerendogli di far testamento, quando si crede opportuno. È disgustoso, eppure vero: qualche volta avviene che un Sacerdote, dopo aver assistiti tanti moribondi, è ridotto a far passaggio all’eternità quasi abbandonato a se stesso.


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5. Esercitare la ospitalità: Hospitales invicem sine murmuratione.3 Cioè: trattandosi con famigliarità e semplicità: invitandosi qualche volta, accogliendosi sempre bene: non chiedendo prima il beneplacito della serva! S. Pietro disse: Sine murmuratione: ma quante volte non avviene che si trasgredisce questo avviso riguardo ai superiori, riguardo ai colleghi, riguardo ai confratelli! Che miseria essere tanto comune tra sacerdoti questo brutto vezzo!




3 Pt 4,9: «Praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri, senza mormorare».






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