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Giacomo Alberione, SSP
Appunti di Teologia Pastorale - II edizione

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§ 4. – Relazioni tra sacerdoti e laici,
tra parroco e parenti

Il Sacerdote ricevendo l’ordinazione sacra non ha distrutto i vincoli di natura: ma si è assunto un ufficio da cui dipende il bene pubblico: ad esso egli sacrificherà il bene privato. Per ciò anche nelle relazioni coi parenti egli si regolerà secondo il principio generale: nel modo più utile alle anime. E secondo questo principio è di una realtà pratica il detto: i parenti sono un vero pericolo ed inciampo al parroco. Distinguendo, prima diremo dei parenti in canonica, poi di quelli fuori di essa.

A parte le leggi sinodali (almeno in molte diocesi) che disgraziatamente in pratica si ritengono come solo direttive, uomini di esperienza dicono che i parenti in canonica sono in generale di grave soggezione al parroco stesso. I fedeli ben presto si persuadono di essere essi costretti a provvedere alla famiglia parrocchiale: tanto più quando il parroco assottiglia le sue elemosine, o i parenti si ingeriscono nell’amministrazione materiale, o fanno un lusso smodato, stonante


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e ridicolo spesso per l’origine umile dei medesimi. Se ne videro di tali parenti spogliare la parrocchia per sordida avarizia: se ne videro, di giovani specialmente, essere di cattivo esempio con una condotta leggera e persino scandalosa: se ne videro, sotto pretesto di matrimonio, scambiare la canonica in un ritrovo per amoreggiamenti. Come potrà ancora il parroco avere sul pulpito quella libertà di parola che è necessaria ad un prete per riprendere i vizi? Né si creda di poterli dominare: novantanove casi su cento non vi riuscirete: chi li chiama con sé d’ordinario prende la catena della schiavitù. Ciò si dica dei fratelli e delle sorelle e specialmente dei nipoti e delle cognate. Può fare eccezione il padre o la madre ove siano soli, bisognosi, di provata virtù, disposti a rimanersi assolutamente fuori d’ogni ingerenza nelle cose spettanti al governo della parrocchia. Ma anche in questi casi, se può soccorrerli lasciandoli in casa, in generale è miglior partito: sempre sarà da evitarsi di prendere con sé uno dei genitori e lasciare in casa l’altro.

Che se si accolgono nella canonica, si dovranno tenere con i riguardi che meritano come suoi genitori: farli sedere seco a tavola, a meno di circostanze speciali: non permettere che s’occupino in lavori troppo umilianti, ecc.

Può anche occorrere la convenienza di ritenere come persona di servizio una parente; che se questa ha da trattarsi con più riguardo che non sia la serva, non dovrà però mai comandare, tanto meno ingerirsi in cose di chiesa, ovvero pretendere d’essere superiore ai sacerdoti conviventi col parroco, accompagnare il parroco nei suoi viaggi, usare con lui ogni sorta di libertà, ecc.


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Quali relazioni coi parenti fuori canonica? Gesù Cristo discese dal cielo non per trarre dall’oblio la sua famiglia e porla sul trono di Giuda: ma per salvare le anime e fondare la Chiesa: sua madre, suoi fratelli, sue sorelle erano coloro che facevano la volontà di Dio. Così è del secondo Gesù Cristo: il Sacerdote. Non si nega che nella distribuzione delle elemosine egli possa riguardare i congiunti come i primi poveri, a parità di bisogni. Ma ciò ch’è degno di censura è lo studio nell’arricchirli e nell’innalzarli, immischiarsi nelle loro imprese, nei negozi, nei matrimoni dei fratelli e dei nipoti: ciò ch’è degno di censura sono certi testamenti o certe negligenze nel fare i testamenti, per cui i beni di Chiesa vanno a finire nelle mani dei parenti: ciò che è degno di censura è una continua sollecitudine per essi, una troppo intima relazione. Tali cose sono contro il Concilio tridentino (capo 1, De reform. sess., 24),7 importano troppi disturbi nel ministero, sino a farlo passare in seconda e forse ultima linea, attirano le critiche ed anche le maledizioni del popolo, sono seguite spesso dall’ingratitudine più nera degli stessi congiunti. Pare anzi che Dio colpisca coi suoi castighi tale sollecitudine, poiché spesso i matrimoni combinati dai preti finiscono nella rovina, e le eredità vengono dissipate in litigi, discordie, vizi, che consumano persino il patrimonio di famiglia.

Per ciò è buona regola: lasciare che i morti seppelliscano i loro morti.8




7 Cf Sacrosanctum Concilium Tridentinum, sessio XXIV, Decretum de Reformatione, caput 1, in J. D. Mansi (a cura di), Sacrorum..., op. cit.



8 Lc 9,60.






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