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Giacomo Alberione, SSP Appunti di Teologia Pastorale - II edizione IntraText CT - Lettura del testo |
1. Cura del corpo. – Quidquid fecistis uni ex his, mihi fecistis.10 Riguardo alla cura del corpo possono darsi eccessi: trasformarsi in medici, prescrivere rimedi e metodi di cura, sentenziare decisamente sullo svolgimento della malattia, visitare come fanno i sanitari gli infermi, ecc. Queste cose sono pericolose sotto molti rispetti: e, non tenendo conto dei casi veramente eccezionali, conviene astenersene: giacché basterebbe sbagliare una volta su cento per attirarsi critiche infinite e sempre si avrebbe l’odio dei medici...
Tuttavia è molto lodevole che il Sacerdote si procuri qualche nozione delle malattie più comuni e dei soccorsi più ordinari nei casi urgenti: ciò gli gioverà assai: ad amministrare a tempo debito i SS. Sacramenti; a tranquillizzare gli infermi ed i parenti, che spesso si turbano e spaventano per un nonnulla; a scuoterli e deciderli a ricorrere al medico e ad obbedirgli; a indurli a ricevere i SS. Sacramenti quando il male è grave ed essi non ne sono persuasi. Sovente avviene che, trattandosi di pericoli gravi, i parenti tacciano, il medico, per non turbarli, li illude.
Di più: il Sacerdote può sempre raccomandare le regole d’igiene, specialmente nelle case dei poveri e dei contadini, che non le curano, e spesso non vogliono accondiscendere alle parole del medico. La pulizia, l’aria rinnovata, ecc., sono avvisi che con bel garbo sempre può dare e con frutto, per lo più.
Ma qualche volta si tratta di povertà vera e reale: allora non bastano più le esortazioni ed i consigli: il Sacerdote si trova almeno in una convenienza strettissima di dividere coi poveri il pane, la carne, il vino, le coperte da letto, ecc.
E davvero che si verifica allora alla lettera l’appellativo onde si designano spesso i beni ecclesiastici: patrimonio dei poveri.
Ma come si fa quando le entrate dei Sacerdoti sono già così assottigliate?... Si ricorda Gesù Cristo che visse e morì poverissimo, e, se si può, si fanno anche i sacrifici più penosi; se non si può, si ricorda l’esempio d’un B. Sebastiano Valfrè e di altri che chiedevano l’elemosina per fare l’elemosina. E nelle parrocchie non mancano mai persone buone e di buon cuore!
Che se si crederà bene si potrà istituire l’opera del pane di S. Antonio pei poveri...:11 qualcosa frutterà, quando venga ben coltivata.
Ancora: vi sono infermi che son privi d’assistenza. Sono i più degni della tenera sollecitudine del Sacerdote. Il Sacerdote cercherà tra i vicini chi possa compiere almeno i servizi più necessari, il Sacerdote potrà rivolgersi all’Autorità Comunale perché vi provveda: potrà rivolgersi alla congregazione di carità: potrà di più, nelle città, servirsi delle società di S. Vincenzo de’ Paoli,12 ecc. Uno però dei mezzi più efficaci mi sembra l’opera dell’assistenza diurna e notturna agli
infermi abbandonati. È una organizzazione che comprende pie persone, uomini e donne (non giovanette), dedite alla vita divota, zitelle e vedove: persone che non hanno tanti obblighi di famiglia o dipendenza: ha lo scopo di soccorrere e assistere gli infermi più infelici. Quando tali persone siano convinte che la vera religione sta nel prestarsi alle opere di carità, che i poveri sono la parte più cara di Gesù Cristo; quando abbiano un buon regolamento; quando di tanto in tanto siano radunate e possano intendersi, ecc. faranno certamente un gran bene.
Che se nella parrocchia un Sacerdote avesse dei così detti poveri vergognosi, la cui miseria non è conosciuta, egli diverrà più caritatevole, aggiungendo ai soccorsi la delicatezza santa di coprirli agli occhi altrui con mille industrie.
Ho detto che questa cura del corpo è mezzo: sì, perché servirà assai a giungere a quel che più ci interessa: cioè all’anima. L’introdursi a chiedere notizie e il fermarsi a discorrere coll’infermo della sua malattia e dei suoi rimedi sarebbe già il modo più ordinario d’accostarsi agl’infermi più schifiltosi: quando poi per i poveri vi è ancora un vero soccorso materiale, la via è d’ordinario appianata.