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Giacomo Alberione, SSP
Appunti di Teologia Pastorale - II edizione

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IV. Come lavorare. – Si potrebbero dare tre regole: il parroco ha da essere l’anima di tutto il lavoro parrocchiale che direttamente od indirettamente si riferisce alla cura d’anime: ha però da fare un’equa distribuzione di lavoro: ha da servirsi con abilità di quanti possono giovargli.

Deve essere l’anima di tutto: poiché secondo la natura di parroco e secondo le leggi canoniche egli ha sopra di sé la responsabilità in generale di tutte le anime affidategli da Dio. Per ciò egli non può disinteressarsi d’alcuna cosa: né della opera del vice-curato, lasciandolo totalmente abbandonato a sé, non curandosi di ciò che fa, né di quanto non fa; non può


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disinteressarsi dei sacerdoti coabitanti o no in canonica, maestri, beneficiati, cappellani, ecc., giacché egli ne ha l’alta direzione; non può disinteressarsi del circolo, delle elezioni, della stampa, degli abusi che si introducono nel paese; non può disinteressarsi delle società costituite, dei maestri, delle autorità comunali, degli studenti, della scuola di religione, ecc. Anzi è riprovato oggi generalmente il sistema di lasciare totalmente un’opera ad uno dei coadiutori suoi: p. es. lasciare tutta la cura dei malati ad uno, tutta l’amministrazione dei Sacramenti ad un altro, tutta la scuola di religione, o il circolo, od una compagnia, o una società cattolica ad un terzo, ecc. Tale metodo con i sacerdoti giovani ha due inconvenienti: quello di non addestrarli alla vera cura pastorale e facilmente metterli nel caso di danneggiare la popolazione. Quando poi i sacerdoti sono già anziani continua sempre ad essere causa di tanti piccoli mali, di cui il parroco è responsabile. Egli deve sapere che cosa si fa, come si fa e convergere l’azione d’ognuno al bene pastorale, secondo il programma e l’indirizzo speciale che intende darvi. Solo in questo modo è possibile quello che si diceva sopra: procurate un’azione concorde fra tutti i cooperatori.

Né si vuol dire con questo che il parroco debba far tutto: poiché egli ha dei cooperatori cui deve distribuire lavoro. Anzi, sarà bene dirlo, la carità di dar lavoro e l’occasione di far del bene offerte ai laici e specialmente ai sacerdoti, sono migliori della carità che si fa dando pane. Il parroco assegnerà con prudenza occupazioni adatte ai laici ed ai sacerdoti suoi aiutanti, dopo però d’averne a lungo studiate le attitudini e le inclinazioni. Che se dovrà evitare l’eccesso


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di sfruttare i suoi vicecurati e cooperatori coll’opprimerli soverchiamente, dovrà pure vigilare perché ogni sacerdote ed ogni energia buona sia impiegata. Se credesse d’essere solo egli capace a qualcosa sarebbe un superbo; il non avviare i giovani sacerdoti alla cura pastorale è una gravissima responsabilità innanzi a Dio. Certamente che può e deve riservare a sé la parte più delicata del ministero: cura del catechismo, degli infermi, ecc.; certamente che deve sempre sorvegliare e in bel modo vedere i frutti e il risultato del lavoro altrui; certamente che deve intervenire nei casi più difficili; ma pur tuttavia deve saper concedere la necessaria libertà e responsabilità. Se un suo cooperatore non si sente alquanto libero nella classe di catechismo, perché è sempre incalzato e spiato; se non può essere persuaso che l’anima dell’infermo dal parroco venne posta nelle sue mani; se non conosce di essere obbligato egli stesso a far procedere bene la propria predicazione, la scuola serale, la scuola di canto; se ad ogni passo deve chiedere il beneplacito del parroco, temere i suoi appunti, ecc., questo cooperatore non sentirà di avere una responsabilità innanzi a Dio; non si metterà con tutta l’anima al lavoro, il frutto sarà scarso e l’abilità e le energie sue resteranno sempre latenti ed infruttifere. Ed il parroco per fargli sentire questa responsabilità gli affidi con termini chiari un lavoro, gli ricordi che deve impiegarvi ogni sua energia, che al Signore dovrà renderne conto: e d’altra parte gli esponga anche chiaramente come egli desideri di conoscere poi il risultato, come egli stesso intenda dar l’indirizzo generale, sostenerlo in tutte le difficoltà e appoggiarlo moralmente in ogni cosa. Si avrà così la pace, il bene delle anime e dei sacerdoti stessi.


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In terzo luogo il parroco si servirà di tutti quelli che possono aiutare l’opera sua. V’hanno tante persone che potrebbero prestare man forte al parroco quando egli sapesse avvicinarle e valersene. Quasi in ogni parrocchia vi sono brave donne, vecchie e zitelle: il parroco potrebbe ad esempio servirsene per venir presto avvisato degli infermi e per avvicinare quelli che fossero indifferenti e cattivi; potrebbe servirsene per fare il catechismo: per la biancheria della chiesa, ecc. Agli stessi scopi potrebbe anche valersi della Società di S. Vincenzo de’ Paoli2 ove fosse eretta. A Vienna vi è una società di laici che ha lo scopo di avvicinare gli operai più restii all’influenza del sacerdote, per far loro un po’ di bene coi giornali, con unirli in società buone, con invitarli alle prediche. Un parroco di città si valeva della moglie del capo-fabbrica per il bene degli operai e delle operaie. Altri, servendosi del Terz’Ordine di S. Francesco d’Assisi,3 con opportuno indirizzo poterono impiantare per esempio una biblioteca.

Un sacerdote abile e prudente non troverà troppo difficile far promuovere da associazioni e persone influenti alcune opere alquanto odiose per lui: per es. certe conferenze, un orientamento in questioni spinose, trattenimenti, teatri, banchi di beneficenza, ecc. E chi non vede come un parroco possa valersi utilmente del medico, del farmacista, dei maestri, del sindaco, ecc.? Qualche volta possono essere per sé indifferenti ed anche cattivi: ma, se si studia il loro lato buono, si potrà forse giungere sin dove non si credeva. Un parroco diceva d’aver nel suo paese un anticlericale, studioso però d’agricoltura: si umiliò a chiederne qualche volta i consigli, lo invitò a tenere


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una conferenza sul suo tema preferito al comitato parrocchiale: divenne suo amico ed anche, trascorsi alcuni anni, cristiano discreto. Un altro aveva un maestro ateo, ma dilettante di musica e ginnastica: lo fece suo occupandolo nel circolo dei giovani. Può valersi altresì, per es., del padrone della fabbrica, della filanda, dell’officina, o almeno dell’agente di costui per impedire certi sconci gravi e certi abusi serî. A questo scopo è necessario non ridursi ad una vita del tutto nascosta in canonica; è necessario conoscere il popolo, spendere tempo anche lungo per accostarsi a tutti.

Ben inteso che fra le varie persone ve ne hanno alcune di più larga ed altre di più stretta influenza: alle prime ha da mirare meglio la sua attività, come altrove si vedrà.




2 Cf ATP, n. 119, nota 12.



3 Cf ATP, n. 94, nota 4.






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