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Giacomo Alberione, SSP
Appunti di Teologia Pastorale - II edizione

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§ 2. – Avvisi sulla confessione in generale

A) Noi Sacerdoti e più il popolo si è inclinati a considerare tale Sacramento in un senso molto materiale: quasi sia una cerimonia tutta esteriore, oppure quasi che lo scancellare il peccato sia come radere la barba...: che la confessione sia una semplice assoluzione dei peccati e nulla più. Questo non è esatto.

Eretici hanno errato in un senso affatto opposto, non dando cioè alcuna importanza all’assoluzione: come se la confessione fosse soltanto una rinnovazione


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di spirito: e giudicando che il Sacerdote coll’assolvere non faccia che assicurare esternamente delle disposizioni del penitente e che Dio ha concesso il perdono.

Quindi secondo gli uni l’assoluzione è tutto, nulla invece importano gli atti del penitente; secondo gli altri l’assoluzione è una pura cerimonia e tutto il valore della confessione sta nel dolore.

Il sacramento della Confessione è tutte e due le cose assieme: rinnovazione di spirito e assoluzione. Rinnovazione di spirito per cui il peccatore dice: è necessario servire a Dio perché Padrone, perché Redentore, perché Rimuneratore: io non lo feci in molti casi (esame); la mia vita è riprovevole dunque, io la detesto, io l’odio (dolore); io la voglio cambiare, cambiare a qualunque costo, cambiare subito (proposito); andrò a confessarmi perché Dio mi ha dato questo mezzo di perdono, perché il sacerdote a nome di Dio mi dirà ciò che dovrò fare o lasciare. Se mancassero queste disposizioni profondamente sentite nel cuore a nulla varrebbe l’assoluzione. Forse calmerebbe i rimorsi, ma non distruggerebbe il peccato, né porterebbe la rinnovazione di spirito.

Di qui dipendono due avvisi pratici:

Non è giusta la regola: io non negherò mai una assoluzione. Infatti anzitutto non è vero che tutti quelli che si presentano indisposti non ritornino più non assolvendoli; in secondo luogo il sacerdote non può assolvere gli indisposti; in terzo luogo impareranno a stimare la confessione per ciò che veramente è, e non come una cerimonia od una formalità...; avranno un forte avviso che non si trovano in regola con Dio... e vi penseranno.

Non si curi tanto l’integrità nell’accusa quanto


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il dolore nel penitente. Fino a che il peccatore non dice: la mia vita non va, voglio cambiarla, non v’è assoluzione che valga. Ben inteso che non si potrà correggere tutto in un giorno... ma la persuasione che occorre mutare pensieri, affetti, desideri, e la ferma volontà di mutarli davvero, è assolutamente necessaria.

Ben inteso, che il confessore deve essere padre, amico, che deve ricordare aver anch’egli bisogno di misericordia e tanta misericordia, ma pure per lui sta la stessa legge...; la manica si ha da allargare, mai da stracciare.

B) La confessione è dura, penosa, riveste qualcosa di misterioso: d’altra parte è medicinale, correttiva, anzi uno dei mezzi più potenti a mettere le anime sulla buona via, perché fa conoscere noi stessi, perché porta una grazia speciale, perché il confessore è uomo che a nome di Dio stesso ci dice le cose necessarie all’anima, i doveri da adempire. Essa è opera di confidenza dunque e di correzione: vuole dunque che il sacerdote possa ispirare confidenza e sappia correggere.

Per ispirare confidenza è necessario che il Sacerdote non abbia ruvidezza, selvatichezza, ma neppure soverchia famigliarità con chi avrà poi da confessare. Quando un Sacerdote ha troppi intrighi in una parrocchia, fosse pure per necessità, dovesse pure difendere interessi del beneficio o dei poveri... sarà meglio che, per quanto gli è possibile, inviti altri confessori a coadiuvarlo. Ed è particolarmente in questo caso che si rende utile l’uso di alcuni preti che in giorni determinati, per es. al lunedì, si scambiano per confessare l’uno nella parrocchia dell’altro; come pure l’uso di mettere sovente delle confessioni generali in cui a vicenda i sacerdoti si prestano aiuto, e il sacerdote del luogo non entra neppure in confessionale, se ciò è possibile.


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Per saper correggere, il prete deve pure conoscere la sua popolazione: non solo i difetti generali dei parrocchiani, ma anche un po’ quelli delle persone particolari. Quel sacerdote che conosce la popolazione soltanto dal confessionale sbaglia spesso nei giudizi e quindi anche negli avvisi. Ciò avviene per varie ragioni: la prima si è che non ogni penitente ha sincera volontà di manifestare candidamente la sua coscienza: poi perché anche colui che possiede tal volontà, non fa che dire ciò che conosce: ora chi è mai che si conosca bene? Sbaglia spessissimo anche il prete nel giudicare se stesso: quanto più chi ha vista grossolana nelle cose di spirito! Quanti consigli fuori posto, quanti giudizi errati, quanti diritti ammessi, quanti avvisi trascurati per non conoscere abbastanza bene i penitenti e per non conoscerli anche un po’ esternamente!

Troppa intimità diminuirebbe la confidenza dunque, ma troppa separazione toglierebbe una necessaria conoscenza.

Giova stare nel mezzo e richiamare quello che si è detto sopra, riguardo al bisogno di studiare la popolazione.




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