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Giacomo Alberione, SSP
Appunti di Teologia Pastorale - II edizione

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§ 5. – Alcuni avvisi pratici

È meglio scrivere le prediche per disteso? Sì, specialmente nei primi anni di ministero, in cui si ha più tempo e si ha maggior bisogno di preparare bene la predica, si ha necessità di prendere buone abitudini. Quante volte, in seguito, mancando il tempo, ci saranno d’aiuto i lavori fatti in gioventù! Si potrebbero fare almeno per iscritto due corsi di spiegazioni di vangelo, un corso di istruzioni parrocchiali, e le meditazioni più comuni sui Novissimi, Maria SS., Cuore di Gesù, ecc.


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Come scriverle? Prima uno schema, poi lo svolgimento, infine un’annotazione che serva a ricordare l’effetto della predica: ex. g.

Datagiorno, mese, anno, luogo.

Tempobello, brutto, vario, ecc.

Preparazione – se pregato, se studiato, ecc.

Dicitura – se chiara, calma, imbrogliata, ecc.

Durata – quanti minuti.

Effettobuono, cattivo, soddisfacente, ecc.

Annotando queste cose il predicatore avrà una norma allorché occorrerà di dover ripetere quella predica: rimedierà ai difetti occorsi, riterrà ciò che vi fu di buono.

Meglio farsele le prediche o copiarle? Di regola è meglio farsele: si risparmierà tempo, le prediche saranno più di attualità, più vive, più pratiche. Forse in principio si richiederà anche più tempo: ma ben presto si acquisterà speditezza e agilità, per cui anche in pochi minuti si preparerà la sostanza d’un discorso. Si dirà che le prediche copiate sono migliori: ma nell’effetto fa meglio una predica nostra che in se stessa meriti sei decimi, che quella d’altri, che in se stessa meriti anche dieci decimi. Si dirà che non si possiede scienza sufficiente: ma invece se ne sanno fin troppe cose: dopo dieci anni di studio, di letture, di meditazioni, come non si saprebbe tanto da fare una predica? Piuttosto si dica che si possiede un materiale che non si sa ordinare...: ma si facciano alcuni esercizi e in pochissimo tempo l’abilità verrà. Nelle prediche entra una certa meccanica per cui riesce impossibile quasi sbagliare nell’orditura generale. Inoltre chi fa da sé può risparmiare quasi tutta la fatica di studiare.


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Avere un autore però da leggere qualche volta è buona regola: sia però dotto e santo: così sarà per noi modello d’oratore ed esempio di zelo.

È pur buona regola dopo aver scritta la predica propria leggerne alcuna d’altri: si rileveranno meglio le bellezze e si imparerà di più.

Come potrà un sacerdote conoscere se la sua predicazione produce buoni frutti? Non da quanto glie ne diranno gli altri in sua presenza certamente; poiché in humanis vi è la quasi certezza che non ci diranno la verità; eccetto si tratti d’un sincero amico, di coscienza: ma è assai raro il trovarlo. Potrà invece accorgersene da due cose specialmente: dal confessionale e dall’attenzione degli uditori. Dal confessionale: perché sentirà l’eco della sua predicazione: eco che si manifesterà in dolore più vivo dei peccati, in un’accusa più distinta, in propositi più fermi, in una confidenza più grande verso il confessore quando ha ben predicato. Questo è migliore criterio. Se il sacerdote non s’accorge di tali effetti nel popolo, esamini la sua predicazione spassionatamente: la troverà o vuota, o fredda o elevata...

Dall’attenzione degli uditori: poiché gli uditori quando capiscono, quando son tocchi, quando le nostre parole scendono loro nel cuore, ci seguiranno con amore, con interesse: noi ne leggeremo negli occhi il bene e la soddisfazione. Di nuovo: se non si verificheranno tali cose la predica non va: occorre cambiarla.




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