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Giacomo Alberione, SSP
Appunti di Teologia Pastorale - II edizione

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§ 3. – Relazioni tra parroco e sacerdoti dimoranti nella parrocchia

Con più forte ragione, queste relazioni devono essere informate alla carità: poiché, trattandosi di Sacerdoti della medesima parrocchia, l’azione concorde è più efficace, la disunione più ruinosa.

Come regola generale il parroco deve sapere utilizzare tutte le varie attitudini dei suoi preti prestando loro occasione di lavoro e allettandoveli con mille industrie; ed i sacerdoti da parte loro devono riconoscere in lui il centro d’ogni lavoro pastorale e a lui prestarsi docili come membra al capo.

In pratica conviene distinguere in varie categorie i Sacerdoti che sono in una parrocchia: cappellani di chiese campestri, beneficiati con o senza chiesa propria, maestri, sacerdoti senza ufficio proprio, cioè abati di casa.

Su tutti il parroco ha un titolo di precedenza, che deve conciliargli il rispetto e in certi casi anche l’obbedienza. Titolo però che importa a lui altresì il dovere di sorvegliare, correggere ed anche denunziare al Vescovo i casi davvero gravi. In tutto e con tutti però egli userà carità e prudenza.

Se si tratta di Sacerdoti cappellani: per natura di ufficio e in molti luoghi anche per legge sinodale devono essergli obbedienti, considerandosi come suoi coadiutori. È però molto utile curare che si occupino il più possibile del ministero: lasciare ad essi una libertà piuttosto ampia nel fare alcune funzioni, specialmente per ciò che riguarda l’istruzione al popolo e l’amministrazione dei Sacramenti. Sarà cosa


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giovevole al popolo ed al cappellano. Per salvaguardare i diritti non devono andare in rovina le anime!

Se si tratta di beneficiati con mansioni proprie: di comune accordo e con qualche sacrifizio da ambe le parti è necessario cercare che tutto, anche l’orario delle funzioni, sia pel massimo interesse del popolo: per quanto è permesso dalle tavole di fondazione.

Se si tratta di sacerdoti maestri: hanno pure da essere obbedienti al parroco e da adoperarsi nel ministero: quanto spesso sono la vera croce del parroco!

Se si tratta di sacerdoti senza impiego, detti abati di casa: serve ciò che è detto sopra dei maestri. Perciò gli uni e gli altri curino di non ostacolare il parroco specialmente in quei paesi ove l’autorità civile si trova in opposizione col parroco: le discordie isteriliscono ogni azione pastorale e rovinano le anime. E pensare che spesso nascono da futili motivi e da puntigli ridicoli!

Per ciò il buon parroco si studierà di smussare tutte le angolosità, da cui dipendono gli attriti: smetterà ogni fare autoritario: allontanerà ogni sentimento di invidia e gelosia: purché il bene venga fatto, non importa da chi!

Dimostrerà anzi loro stima ed affetto: li attirerà sensim sine sensu5 nella sua orbita: li chiamerà a parte dei progetti: li pregherà d’aiuto: li inviterà a far prediche: affiderà loro opere iniziate o da iniziarsi, per es., la direzione di compagnie: li inviterà alcune volte a casa sua e mostrerà ad essi molta confidenza: presenterà loro occasioni di compiere bene le opere più in vista, li loderà per ogni buona riuscita, ecc. Che se invece pretendesse far tutto, criticarli, imporsi, ecc., finirebbe per allontanarseli forse per sempre. È


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meglio lasciare di compiere anche qualche buona opera piuttosto che per essa venisse a rompersi la carità: o che alcuno avesse occasione a muovere guerra al parroco.

Le mancanze si correggano: inter te et ipsum solum.6 Guadagnata l’anima dei suoi preti, il parroco ha assicurato l’avvenire della parrocchia: avrà ottimi catechismi, risveglio nella pietà, frequenza ai SS. Sacramenti, opere cattoliche, solennità nelle funzioni.




5 Cf M. T. Cicerone, De senectute, 11: insensibilmente.



6 Mt 18,15: «Fra te e lui solo».






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