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Giacomo Alberione, SSP Appunti di Teologia Pastorale - II edizione IntraText CT - Lettura del testo |
2. Cura dell’anima. – Una gravissima responsabilità pesa a questo riguardo sul Sacerdote e specialmente sopra il parroco: tanto più che spesso i malati e i parenti stessi s’ingannano sopra la gravità del male.
Un’avvertenza generale: è una pessima posizione e causa di infinite e tristissime conseguenze quella del Sacerdote in molte città ed in alcuni paesi di campagna: il prete non vien chiamato se non quando la malattia è creduta veramente disperata. – E le
cause di questo pessimo sistema? Per lo più è la naturale indolenza del popolo e una pretesa carità di non spaventare l’infermo; – ma qualche volta è pure una causa la negligenza nei Sacerdoti, negligenza che traspare da quel lamentarsi di venir disturbato nelle ore più incomode, di notte, per pioggia; oppure da quel rimproverare che si fa quando si è chiamati allorché non ne era ancora il caso; oppure dal farsi ripetere più volte l’invito; oppure dal visitare il meno possibile e in tutta fretta l’infermo, ecc. E i danni? Dio sa che sacramenti si amministrano quando il malato è più di là che di qua! Dio sa quanti ne muoiono affatto privi! E di più: con tal sistema, quando il Sacerdote entra da un infermo non è considerato ed accolto come un padre buono, che porta coraggio e conforto ai figli, ma come l’annunzio della morte imminente, come uno spauracchio, come il precursore del becchino.
Tale sistema il parroco deve adoperarsi con tutte le forze perché cessi: adoperarsi dal pulpito, ove ripeterà spesso con prediche ed avvisi che il Sacerdote deve chiamarsi presto, e piuttosto troppo presto che troppo tardi, poiché porta la pace, porta Colui che ha guarito tanti infermi, ecc.; adoperarsi dal confessionale; adoperarsi presso gli infermi, lodando i diligenti e dolcemente correggendo chi fu negligente; adoperarsi in tutto, mostrando la più tenera sollecitudine per accorrere chiamato ed anche introdursi non chiamato. Faccia insomma capire che il più grande dispiacere che gli possono dare si è quello di chiamarlo troppo tardi.
Discendiamo ora a cose particolari: e prima riguardo a chi chiama per tempo il sacerdote. Qui non sarà
mai abbastanza lodata nel prete e raccomandata la prontezza e il mostrarsi contento di accorrere, ancorché di notte, in ore incomode, per pioggia, neve, lontano. Si faccia mai egli vedere corrucciato, mai tempesti di domande attorno allo stato dell’infermo, lasciando trasparire un desiderio di procrastinare ed anche di non andare mai; mai si faccia vedere a scalpitare perché non si è andati prima dal medico. In alcuni casi forse potrà aspettare qualche ora: per es. se si tratta d’una tubercolosi non ancora allo stadio critico: ma non tramandare di giorno in giorno.
Visitando l’infermo, ancorché non grave, giova sempre indurlo a confessarsi, per i grandi vantaggi spirituali ed anche per i vantaggi fisici di pace e tranquillità che porta con sé tale Sacramento. Per quanto è possibile non si differisca, ancorché si speri d’avere tempo. Si pensi subito al S. Viatico che può anche fissarsi per le ore più comode, se il caso non è urgente; ma si porti dove è possibile con solennità, s’invitino i parenti ad accompagnarlo: sarà una tacita predica efficacissima. Né si tardi troppo per l’Estrema Unzione, perché non sia resa come il Sacramento dei veri agonizzanti e fuori dei sensi: esso porta vantaggio all’anima ed anche, se piace a Dio, al corpo. Nell’amministrarlo è meglio assistano quanti sono in casa. È questa un’industria che obbliga a far un po’ di meditazione e d’esame di coscienza.
Amministrati i Sacramenti, non termini qui la cura spirituale d’un buon Sacerdote. La si continui, poiché è ancora utile e spesso necessaria. Qualche volta l’infermo ricorda colpe non ben spiegate e forse anche taciute: spesso è assalito da forti tentazioni: quasi sempre sente il bisogno di conforto, di consiglio, di
istruzione. Lo si visiti il più spesso possibile, avendo riguardo alla gravità del male, alla distanza, all’età ed alle occupazioni del Sacerdote: sia questa una delle mete più preferite per passeggiate.
Giova assai tenere nel proprio studio una lavagna su cui tener scritti i nomi degli infermi per ricordarli sempre e tutti, quando si tratti d’una parrocchia numerosa.
Ricordi anche il Sacerdote: che questa è una delle più felici occasioni per conoscere e porsi in relazione colle famiglie: che quando si presenta in queste circostanze il prete è quasi sempre meglio accolto che in altre, per es. quando si fa festa: ricordi che così può farsi amare e far del bene anche ai parenti ed ai vicini con molte industrie, avvicinando i ragazzi e gli uomini: ricordi che questa è una delle opere più preziose innanzi a Dio.
Che se poi la malattia si prolunga e diventa cronica, il Sacerdote si valga anche degli ultimi decreti pontifici per far ripetere il più possibile la S. Comunione; né aspetti in ciò la domanda dell’infermo o la proposta della famiglia: suggerisca egli stesso secondo che le circostanze permettono.
È meglio che la cura degli infermi sia affidata al vice-curato o riservata al Parroco? Per se et primo loco spetta al parroco, ed è in generale da condannarsi l’uso di lasciare totalmente quest’ufficio al vice-curato o ad uno dei vice-curati. Il parroco è il vero responsabile: egli d’ordinario deve essere l’anima di tutta la cura e di tutto ciò che si fa di bene nella parrocchia. Ben inteso che si eccettuano da questa regola i casi di impossibilità fisica: ma certo egli non può prendere sopra di sé, come più importante, la cura
dei campi o di poche divote, lasciando in disparte il pensiero degli infermi. Sarebbe come dire che il marito deve attendere al pollaio e lasciare alla moglie il vendere e comperare case, prati, ecc. Con questo non si vuol dire che il parroco non debba valersi dell’opera del vice-curato: anzi deve ammaestrarvelo per tempo: deve mandarvelo non solo se l’infermo chiede il vice-curato, ma di più, qualche volta nel corso della malattia e specialmente nel portare il S. Viatico. Solo si vuol dire che il parroco deve dirigere, fare la parte più importante e assicurarsi che ogni infermo sia accudito, come si conviene.
Per ammaestrare il vice-curato in quest’opera così delicata è bene che il parroco lo conduca qualche volta con sé specialmente quando quello si trovasse all’inizio del ministero sacerdotale.
Le visite agli infermi come devono essere? Brevi sempre, e più quando in casa trovansi figlie o donne solamente. Di più devono essere visite spirituali, per quanto è possibile; e cioè non perdendo il tempo a discorrere di mille cose inutili. Si dica quanto è necessario, si informi con discrezione delle cose che possono interessare come sacerdote e non altro, in generale. Ne avrà maggior stima e miglior vantaggio spirituale.
Converrà che il Sacerdote consigli l’infermo a far testamento?
La questione è irta di difficoltà: ma qui si considera la cosa solo dal lato pastorale, quello che più interessa il sacerdote, anzi il criterio unico con cui deve giudicare le altre cose. Ciò posto: se i parenti pregano il Sacerdote perché avvisi l’infermo di far testamento, è bene in generale che accondiscenda; se il malato stesso chiede se ha da farlo può rispondere di sì. Ma
in un caso e nell’altro si limiterà ad indicare le formalità legali per la validità, quanto è tassativamente ordinato circa i diritti di legittima e le obbligazioni chiare di giustizia che può avere l’infermo. Ma non si immischii quanto alla sostanza delle disposizioni: potrebbe averne dispiaceri e vere persecuzioni: experientia docet.13 Che se né parenti, né infermo interrogano, può suggerire genericamente all’infermo, ancor prima di confessarlo, se è possibile, di provvedere e disporre delle sue sostanze e degli affari materiali.
Richiesto circa legati di Messe o altri lasciti di Culto, eccettuati casi speciali, cerchi indurre l’infermo a non aggravare troppo gli eredi; meglio poco: sarà eseguito e senza troppi lamenti.
Ed ora passiamo ad una seconda categoria di infermi, bisognosi più dei primi di carità: gli irreligiosi, i viziosi, gli indifferenti. Come avvicinarli? Come intimar loro il morieris tu et non vives?14 Come mutarne un poco il cuore?
Spesso questi non chiamano il Sacerdote e perciò sarebbe molto bene che il parroco si tenesse in buona relazione col medico, anche con qualche sacrificio di tempo e d’amor proprio, pregandolo poi ad avvertirlo di questi infermi ed anche avvertire i malati stessi del loro stato, quando il caso è grave. Se il medico s’accorge che il Sacerdote l’ama e lo sostiene innanzi alle famiglie, facilmente farà al parroco tale servizio.
In alcune città e parrocchie più numerose il parroco prega le suore degli infermi e alcune pie persone ad avvisarlo subito di tali infermi.
Il parroco, venuto a cognizione di tal malato, può pregare il medico, un congiunto, le persone di servizio, qualche amico dell’infermo a ricordargli il dovere di
chiedere il Sacerdote o almeno ad annunziargli che il parroco o altro sacerdote, forse più beneviso, desidera fargli una visita, desidera sue notizie. E certamente che questa è una prudenza da usarsi: mandare presso l’infermo il Sacerdote che si spera sarà meglio accetto o per relazioni, o per età più provetta, o per una certa aureola di scienza e prudenza, o per altre ragioni: avesse pure tale sacerdote da farsi venire di lontano. Se verrà ben accolto, presentatosi, potrà nelle prime visite, ove il caso non sia urgentissimo, trattare l’infermo come amico ordinario e, senza offrirgli subito i SS. Sacramenti, dirsi pronto a servirlo quando desiderasse il suo ministero. Però faccia come un assaggio del cuore del malato frammischiando nel discorso qualche parola di fede. Poi preghi, faccia pregare: poiché le conversioni sono opera di grazia... Non si lasci scoraggiare se parenti o l’infermo stesso non son guari disposti a sentirlo: ritorni, ritorni molte volte, ancorché venisse trattato come importuno da tutti: usi tutte le industrie di chi non ha altro più caro sulla terra che riconciliare i peccatori con Dio.
Che se invece il caso è urgente, conviene parlare subito chiaro, anche nella prima visita.
Ogni volta poi che i parenti o l’infermo rifiutano ostinatamente i SS. Sacramenti, il Sacerdote con calma sì, ma con l’autorità e la libertà che ha da Dio, dica che non sarà per sua colpa se l’infermo morirà non riconciliato: che sarà lui che avrà da stare in paradiso o nell’inferno per tutta l’eternità: che la malattia è grave e un obbligo strettissimo pesa sopra chi l’assiste di preparare l’infermo all’ultimo passo, ecc. Poi si ritiri, preghi molto, molto: attenda la misericordia di Dio... E se sarà possibile si presenti ancora
allorché l’infermo sarà fuori dei sensi per un’assoluzione sub conditione e per l’Olio Santo.
Nota. – Ciò che spesso più spaventa tali infermi è l’accusa dei peccati. Il Sacerdote troverà quindi sante astuzie a facilitarla: per es. dirà tutti i peccati più gravi che probabilmente ha commesso il malato, come narrandoli d’un altro, quindi interrogherà l’infermo: Se aveste fatto tutte queste cose ora ne sareste pentito, non è vero?... Ebbene, tutto è detto, tutto è fatto: voi intendete di confessarvi di tutto ciò e di tutto quanto altro potete avere... chiedete perdono: vi dò l’assoluzione... Vi hanno ancora tante altre industrie simili; ciascuno le prepari prima.
Avvertiamo anche qui che quello che più giova è il dolore dei peccati: quanto all’accusa non è così strettamente necessaria né si può essere tanto minuti con simili persone. Che se la malattia si prolunga poi, forse il malato stesso, o il Sacerdote con nuove industrie vi ritorneranno sopra e perfezioneranno la prima opera. Del resto tali infermi sono in buona fede e tranquilli dopo una accusa generica: è necessario essere cautissimi nell’avvertirli degli obblighi: tanto più che la malattia molto grave spesso scusa dall’integrità.