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Giacomo Alberione, SSP Appunti di Teologia Pastorale - II edizione IntraText CT - Lettura del testo |
§ 12. – Tra parroco e asilo
Sopra si è veduto quale cura deva porre un Sacerdote nell’educazione della gioventù. Ora è certo che più presto egli si pone attorno a queste tenere pianticelle e migliore sarà il frutto di sue fatiche: potrà piegarle come crede, innestarvi le gemme preziose della fede e della divozione: fede e divozione che saranno gli aromi che preserveranno quei giovani cuori dalla corruzione.
Si dice che la miglior educazione è quella della famiglia: la scuola non è che un sussidio di essa.
È vero: quindi sarebbe assai bene che i bambini venissero educati in casa dalla mamma, con ogni attenzione. Ma in pratica si vedono genitori curarsi ben poco dell’istruzione religiosa dei figli, perché essi stessi sono indifferenti o troppo occupati; si vedono i bambini esposti a mille pericoli nelle piazze, nelle vie, nelle stesse famiglie. All’asilo infantile invece imparerebbero i primi rudimenti del catechismo, le orazioni, i primi principî di educazione morale e religiosa. Di più: nell’asilo il parroco trova delle buone maestre o suore che sanno preparare meglio dei genitori e del Sacerdote stesso i piccoli alla prima Comunione. E ciò importa ancor più oggi, dopo gli ultimi documenti pontifici circa l’età in cui sono da promuoversi i fanciulli a quest’atto sì importante nella vita.
Per ciò sarà generalmente parte dello zelo sacerdotale il cercare di istituire nella parrocchia un asilo quando ancor non vi sia. Ma perché il lavoro che richiede e le spese che importa non siano tali da assorbirne tutta l’attività e il denaro disponibile, egli getterà l’idea, la coltiverà tra quelli che sono capaci di
aiutarlo, la farà maturare. Poi distribuirà le incombenze varie ad un’amministrazione capace, vi porrà un personale adatto e riserverà a se stesso ed ai suoi successori l’ufficio di presidente nato, o almeno, di direttore. Ciò importa assai, perché in avvenire non finisca col diventare un ente laico o quasi laico, con gravissimo danno della cura pastorale.
Avverrà invece talvolta che il parroco trovi l’asilo già eretto, governato da amministrazione veramente cristiana, in cui egli è chiamato a fungere da Presidente. Accetti allora volentieri tale dolce onere, si adoperi con zelo perché tutto proceda bene, specialmente per la parte religiosa, cerchi d’avere un personale molto buono.
E se invece l’asilo già fondato fosse governato da uno statuto laico, con un programma froebeliano puro,18 con un’amministrazione liberale, escluse le suore? Il parroco come dovrà comportarsi specialmente quando vi fosse solo ammesso per un po’ di lustro, o perché tassato d’un bel numero d’azioni? Ritirarsi subito non gli conviene: sarebbe tacciato d’avaro e quei piccoli, che là stanno crescendo uomini, ne avrebbero danno. Accetti come azionista, accetti, anzi desideri qualche carica nell’amministrazione, accetti volentieri se venisse eletto presidente. Quanto bene potrà fare sia con buone parole nel consiglio d’amministrazione, sia con prudenti direzioni agli insegnanti, sia col far sì che poco per volta anche lo statuto sia informato a principii cristiani! Colla prudenza, carità, affabilità verso tutti forse non sarà difficile giungere a questo punto o quasi.
E se i suoi sforzi a nulla approdassero e l’educazione dell’asilo fosse del tutto laica, che dovrà fare?
Potrà rendere note pubblicamente le sue ragioni e ritirarsi: egli non può col denaro o coll’opera propria concorrere a gettare nei bambini principî falsi.