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Giacomo Alberione, SSP Appunti di Teologia Pastorale - II edizione IntraText CT - Lettura del testo |
4. Pio X e il “modernismo”. Don Alberione in ATP si ispira sostanzialmente alla visione di Chiesa del suo tempo e soprattutto al magistero di Pio X, del quale ha fatto proprio il motto programmatico “Instaurare omnia in Christo”.71
Il pontificato di Papa Sarto, preparato da significative esperienze di parroco e vescovo, si presenta fin dall’inizio con un programma spiccatamente pastorale, teso alla “restaurazione” di una vita ecclesiale nelle sue più tradizionali componenti: il deposito della fede, la disciplina morale e canonica, la vita sacramentale. Di qui la serie di suoi documenti per la promozione della catechesi, della formazione cristiana e sacerdotale, e della liturgia.72
Un fenomeno di portata storica che però segnò in modo ambiguo e doloroso quel pontificato fu la crisi “modernista”, che lacerò molte coscienze fra i cattolici e i loro pastori. Già sul finire del secolo XIX, l’umanità si era trovata di fronte a un’esplosione di scoperte scientifiche e culturali senza precedenti. Entro la Chiesa, nell’ambito del pensiero, veniva messa in crisi la metafisica e la filosofia tradizionale, spiazzate dalla più moderna dialettica di Hegel e dal soggettivismo kantiano. «L’idea più rivoluzionaria del XIX secolo – scriverà Fergus Kerr – è che il pensiero e la verità sono, in qualche misura almeno, relative alla società e alla prospettiva storica nella quale sono affermati o presunti».73
Il modernismo aveva quindi le sue ragioni, ma l’accento era posto sull’esperienza individualistica, anche religiosa, piuttosto che sul corpus oggettivo della dottrina.74 I pensatori religiosi cercavano Dio nell’aspirazione psicologica dell’animo umano piuttosto che nei dogmi della Chiesa. Dal modernismo le Scritture erano trattate non come un corpus dogmatico ma piuttosto come ogni altro corpus letterario antico, e venivano studiate con i sofisticati strumenti dell’analisi storica, la filologia, la retorica, l’archeologia... Ciò che oggi è da molti, forse dai più, anche nella Chiesa cattolica, accettato come un metodo scientifico d’indagine, era allora considerato in contrasto con la tradizionale lettura biblica ammessa nella Chiesa, in linea con la Controriforma e quindi in chiave antiprotestante. In tale visione, tradizionalista e conservatrice, il ruolo del magistero pontificio era accentuato come norma unica del controllo della fede.
L’enciclica Pascendi dominici gregis di Pio X (8 settembre 1907), preceduta da un sillabo75 di errori, segnò la condanna ufficiale appunto del “modernismo”, considerato semplicemente un’ideologia agnostica e relativista, e quindi un’eresia che frantumava la verità rivelata.
In Europa di fatto esisteva un certo numero di studiosi, che oggi si direbbero “progressisti” e allora, negativamente, “arrendevoli” allo spirito dei tempi, fra i quali il biblista francese Alfred Loisy (1857-1940) e il teologo irlandese George Tyrrell, un gesuita ex calvinista (1861-1909). Da diverse posizioni costoro accusavano la Chiesa di medievalismo e sottolineavano il carattere storico-relativo degli enunciati biblici ed ecclesiastici attorno alla verità rivelata.
In Italia, però, sacerdoti e laici più attenti a quanto avveniva nei centri di ricerca, sollecitavano cautamente la partecipazione dei cattolici laici alla vita culturale e politica. Il barnabita Giovanni Semeria sospirava un nuovo approccio apologetico, che tenesse conto della psicologia moderna; l’esegeta Giovanni Genocchi promuoveva incontri regolari fra i progressisti nella sua casa di Roma; Umberto Fracassini, che era stato un protetto di Leone XIII e rettore del Seminario di Perugia, fu segnalato come innovatore per le sue idee sulla storia della Chiesa e sull’esegesi; Salvatore Minocchi, che lamentava l’evidente incapacità ecclesiastica di stabilire contatti con la cultura laica contemporanea, abbandonò il sacerdozio, come faranno anche don Romolo Murri ed don Ernesto Buonaiuti.76
Nei suoi ricordi maturi don Alberione riassumerà la crisi modernista in questa breve sintesi: «Dal 1895 al 1915 vi erano state molte deviazioni in materia sociale, teologica, ascetica, così da scuotere le basi di ogni verità e della Chiesa; anzi tentarne la distruzione!» E come “esempio impressionante” citava il caso de Il Santo di Antonio Fogazzaro.77 Molte erano state secondo lui le conseguenze nefaste di quelle deviazioni: la divisione del clero in correnti contrapposte di fronte all’«avanzarsi del socialismo» e al «giogo della dominante massoneria»; il «grave turbamento e disorientamento» degli spiriti;78 la conflittualità sociale e politica; l’uso settario (cioè non dogmatico) dei nuovi mezzi di informazione e della scuola.79
Dopo tanto smarrimento, annotava ancora don Alberione, «la pastorale prese un orientamento conforme all’esempio ed all’opera di Pio X, seguendo vie costruttive», poiché (si noti l’originale apprezzamento) «Pio X appariva e si presentava in una luce affascinante: il nuovo Gesù Cristo visibile fra le moltitudini».80
Dalla crisi modernista don Alberione trasse comunque una lezione pratica per il suo futuro ministero. Al riparo da ogni contestazione polemica, egli tentò di individuare i fermenti positivi del discusso movimento, e di tradurre in prassi pastorale molte delle istante proposte dai “novatori”.81 Quale direttiva programmatica per l’attività editoriale delle proprie fondazioni, egli stabilì di «dare in primo luogo la dottrina che salva. Penetrare tutto il pensiero e sapere umano col Vangelo. Non parlare solo di religione, ma di tutto parlare cristianamente; in modo simile ad una università cattolica che, se è completa, ha la Teologia, Filosofia, le Lettere, la Medicina, l’Economia politica, le Scienze naturali, ecc., ma tutto dato cristianamente e tutto ordinato al cattolicesimo. Così la Sociologia, la Pedagogia, la Geologia, la Statistica, l’Arte, l’Igiene, la Geografia, la Storia, ogni progresso umano, ecc., secondo la ragione subordinata alla fede...».82
Non è forse questa la missione pastorale della Famiglia Paolina?