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Sac. Giacomo Alberione, Primo Maestro della Pia Società San Paolo Oportet orare IntraText CT - Lettura del testo |
I. – Che cosa sia Meditazione abituale?
Vi è una meditazione continua. In essa potrebbe essere realizzato il
precetto: «Oportet semper orare et non deficere»3; poiché la meditazione è
preghiera, e l'abituale meditazione
è abitualmente vivere il «Sine intermissione orate»4.
Che cos'è? È la continua presenza del principio direttivo soprannaturale della nostra vita. È il lume divino che ci sta sempre innanzi per rischiararci il cammino: «Lucerna pedibus meis verbum tuum, et lumen semitis meis»5. È lo spirito di fede applicato ai nostri casi e circostanze particolari di vita. È Gesù Cristo vivente nell'anima. Di due cose ha bisogno l'anima mia, dice l'Imitazione di Cristo: e del lume per vedere la strada e dell'Eucarestia, cibo di forza, per correrla: del lume cioè delle verità del Vangelo, della fede cristiana, e dell’Eucarestia, cioè della Comunione, della Messa e della Visita al SS. Sacramento: «In carcere corporis huius detentus, duobus me egere fateor, cibo scilicet, et lumine. Dedisti itaque mihi infirmo sacrum Corpus tuum ad refectionem mentis et corporis: et posuisti lucernam pedibus meis verbum tuum. Sine his duobus bene vivere non possem; nam verbum Dei, lux animae meae, et Sacramentum tuum, panis vitae»6.
Vi sono
verità che formano il timone e rimangono a guida di tutta la nostra vita. Non
siamo come i bambini che si lasciano guidare da chiunque: «Ut jam non simus parvuli fluctuantes, et circumferamur omni vento doctrinae»7. Massime frivole, chiacchiere, vane impressioni troppo vive, sorrisi maliziosi, scherzi grossolani, un po' di rispetto umano, decidono della condotta di non pochi cristiani. Oggi, se le circostanze sono favorevoli, fan bene; domani, se le cose cambiano, compiono il male: «sicut equus et mulus quibus non est intellectus»8.
Il carattere è la luce costante di alcuni principii direttivi, con il coraggio di professarli e seguirli. Occorre carattere; non possiamo lasciarci regolare dalle impressioni; siamo gente che sta come torre che non crolla giammai la cima per il soffiar dei venti.9.
Né le lodi lusingano, né il biasimo del mondo abbattono l'uomo giusto: egli opera per il Paradiso, ogni giorno, in ogni cosa; aspetta il premio del cielo e questo, nessuna avversità, nessuna sinistra interpretazione, nessuna malevolenza degli uomini, può rapirglielo.
La meditazione abituale, o continua, non è fatta in forma come
quella che per es. si tiene al mattino nelle case religiose; ma è per lo
più frutto di essa. Si può quindi definire: la continua e attuale presenza in un'anima di certi principii direttivi, che la guidano costantemente nella via buona, e servono a tenerla in una comunione viva e vitale con Dio.
Sono creato per Dio, cioè per conoscere, amare, servire Dio sulla terra; poi andarlo a godere eternamente in cielo. Ecco il principio fondamentale per ogni uomo, massimamente per ogni cristiano.
Da questo principio segue: la vita non termina qui: «non habemus enim hic manentem civitatem, sed futuram inquirimus»10. Tutto sulla terra è ordinato alla conquista del Paradiso: così il tempo come la salute; così l'ingegno come le forze fisiche; così le avversità come le gioie; così il denaro come l'indigenza; così la salute come l'infermità. Ma i beni della terra facilmente mi lusingano, facendomi dimenticare il cielo: voglio dunque tenermi stretto a Dio: «Deum time et mandata eius observa; hoc est enim omnis homo»11. Di qui la preghiera dell'uomo saggio: «Fac nos Domine, sic transire per bona temporalia ut non amittamus aeterna»12.
Il religioso poi ha ancora altri principii su cui fonda tutta la sua vita: «Si vis perfectus esse, vade, vende quae habes et da pauperibus; et veni, sequere me»13. «Nemo est, qui reliquit domum, aut parentes, aut fratres, aut uxorem, aut filios propter regnum Dei, et non recipiat multo plura in hoc tempore, et in saeculo venturo vitam aeternam»14. Perciò le rinuncie di ogni giorno egli le ha scelte e le preferisce e ne gode più che non desideri il mondano le sue soddisfazioni; le croci sono per lui le prove che Dio l’ama; il ricordo del gran premio gli fa divenire a noia la vita. Ed è perciò che l'anima sua ha rotto i vincoli della famiglia per librarsi su verso il cielo.
Il Sacerdote ha presenti i palpiti del Cuore di Gesù e la sua gran sete
d'anime. Egli ha fatto suo il programma di Gesù stesso: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra agli uomini di
buona volontà»15. Ed ha esclamato: «Dominus
pars hereditatis meae et calicis mei: tu es, qui restitues hereditatem meam
mihi»16. Ed in queste visioni, il Sacerdote è felice di glorificare
Dio con l'offerta del sacrificio della croce e con il sacrificio di sé; zela l'onore di Dio: «zelus domus tuae comedit me»17; ha un gran desiderio della salute delle anime: «Da mihi animas, coetera tolle tibi»18.