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Sac. Giacomo Alberione, Primo Maestro della Pia Società San Paolo
Oportet orare

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I. – Quale sia il nostro fine.

 

            Noi siamo creati dal Signore per conoscerlo, amarlo e servirlo fedelmente su questa terra e andarlo poi a godere eternamente in paradiso.

            Io non sono creato per restarmene quaggiù; la vita, anche se lunga, è un istante di fronte all'eternità, se pure fosse possibile paragonare il finito con l'infinito.

            Non sono creato per accaparrarmi la lode, il sorriso e la benevolenza di qualche persona, o di un piccolo circolo di persone che mi stanno attorno. Questo al giorno del giudizio conterebbe proprio zero. Tutte le approvazioni e disapprovazioni del mondo varrebbero proprio niente senza l'approvazione di Dio, che è verità e a cui è riservato ogni giudizio, e del mio interno e del mio esterno.

            Tutte le soddisfazioni della carne sono un niente al giorno del giudizio, anzi possono diventare accusa.

 



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            Tutte le ricchezze della terra, tutte le comodità e quel tanto di soddisfazione che io avessi preso e cercato, è un niente davanti alla giustizia di Dio, se io non ho operato per il Signore. «Si linguis hominum loquar, et Angelorum... Et si habuero prophetiam, et noverim mysteria omnia, et omnem scientiam: et si habuero omnem fidem ita ut montes transferam... Et si distribuero in cibos pauperum omnes facultates meas, et si tradidero corpus  meum ita ut ardeam, charitatem autem non habuero, nihil mihi prodest»1.

            Iddio mi ha creato per sé. Il buon Padre Celeste ha voluto altri esseri a partecipare alla gloria, alla sua beatitudine, alla sua felicità eterna, infinita. Come un padre il quale desidera vedere alla sua destra e alla sua sinistra, seduti alla mensa, i figliuoli che partecipano degli stessi suoi beni, così Iddio ha voluto che noi arrivassimo ad essere partecipi della sua beatitudine: oh grande degnazione di Dio!

            Grande è veramente il fine: godere della stessa beatitudine di Dio. Siamo fatti per il Signore; tutto il resto sulla terra è mezzo. È indifferente che io sia in buona salute o no, purché e nella buona salute e nella poca salute, ami e serva il Signore. E può essere che

 



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serva Iddio, e si salvi chi ha poca salute; come può essere che chi abbia una salute ottima non si salvi, perché non serve Dio e spreca così il talento che il Signore gli ha dato.

            Poco importa che io sia di molto o poco ingegno, purché possa servire il Signore e guadagnarmi il cielo. Il Curato d'Ars servì il Signore fedelmente e l'ha amato tanto, benché di meno ingegno di altri; con il molto lume soprannaturale che aveva, ha servito il Signore e si è fatto santo. E può essere che uno con molto ingegno divenga furbo, astuto per il mondo, per guadagnare di più, per godere di più, e tutto impieghi solamente per il tempo, dimenticando l'eternità.

            Quanti ne ha dannati la superbia e la vana compiacenza, la fiducia nel proprio ingegno e nella propria abilità! Ah, che è molto più bello un po' di semplicità e di amor di Dio! Poco importa se io sono in un ufficio o in un altro! Il portinaio anzi può starci davanti come un esempio quotidiano di virtù; mentre può essere che io, confessore e che apro quindi e chiudo il cielo, può essere, ripeto, che io non sia così fedele amministratore... Poco importa per noi se io sia portinaio o confessore, purché faccia le cose bene per amore del Signore! «Hic jam quaeritur inter dispensatores,



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ut fidelis quis inveniatur»2; «Sic erunt novissimi primi, et primi novissimi»3.  Poco importa l'ufficio, ciò che importa è la fedeltà.

            Poco importa che io sia o non sia lodato; poco importa che io vada soggetto a molte tentazioni o a poche, purché ami molto il Signore! Poco importa che vada soggetto ad una passione predominante o ad un'altra, purché combatta. Generalmente noi siamo tanto superbi che se siamo soggetti a qualche passione predominante bassa, la copriamo con un velo. «Beatus vir qui suffert tentationem, quoniam cum probatus fuerit, accipiet coronam vitae, quam repromisit Deus diligentibus se»4; qualunque sia la passione, bisogna essere fedeli e combatter contro quella che abbiamo. Ciò che importa si è che nella prova io sia fedele, che lotti e che da essa esca vittorioso: «Nam qui certat in agone, non coronatur, nisi legitime certaverit»5. Ciò che importa è che siamo fedeli ogni giorno, sino alla fine: «Qui perseveraverit usque in finem, hic salvus erit»6.

            Può essere che colui che è vissuto pochissimo tempo guadagni grande premio; può essere

 



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che colui che vive lungamente si carichi di responsabilità ed ogni giorno venga ad accumulare maggiori passività pel giudizio. Poco importa aver vita lunga o breve, ciò che importa è di consumarla bene. «Appensus es in statera et inventus es minus habens»7.

            Che cosa importa dunque? «Porro unum est necessarium»8, che noi serviamo il Signore. Tutte le strade menano a Roma, tutte le strade si rassomigliano; tutte le strade menano al paradiso: una vita senza dolori, senza prove non si . «Unum est necessarium»: la salvezza eterna. Dio mi vuole partecipe della sua gloria; ma per essere partecipi della sua gloria bisogna passare per la via del Calvario, per la via del rinnegamento quotidiano: «Per aspera ad astra. Per angusta ad augusta»a. Se ci rinneghiamo, noi camminiamo verso il cielo; ma quando le cose vanno secondo il nostro modo di vivere, oh, allora almeno una buona parte del merito se n'è già andato!

            Oh, quanto è infelice il sacerdote che non cerca il suo Dio! Che cosa ne fanno gli uomini di questa lampada che si estingue? di questo sale che, infatuato ed insipido, non è buono in sé e non può quindi dar sapore alle

 



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anime? di questa città umiliata, ridotta ad un cumulo di macerie e di peccati e di infedeltà?

            Oh, Gesù, salva tu queste anime! Non castigarle per i peccati del tuo ministro! però la grazia, spazio di penitenza e di misericordia anche a quest'uomo umiliato! Che cosa ne fa il cielo di questo sacerdote? Oh, in che mani è posto il Sacramento di amore! In che mani è posto il Sacramento della misericordia del Signore! In un individuo fiacco, superbo, vanerello, superficiale! In che mani vi siete messo, o mio Dio! Ebbene, datemi almeno la grazia di riparare, voi che foste tanto misericordioso con Pietro!

 

           




1 I Cor. XIII, 3. “Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli…(ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna). E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne… (ma non avessi la carità, non sono nulla). E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova.

2 I Cor. IV, 2. Ora, quanto si richiede negli amministratori è che ognuno risulti fedele.

3 Matth. XX, 10[16]. “Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi.

4 Jac. I, 12. Beato l’uomo che sopporta la tentazione, perché una volta superata la prova riceverà la corona della vita che il Signore ha promesso a quelli che lo amano.

5 II Tim. II, 5. “Anche nelle gare atletiche, non riceve la corona se non chi ha lottato secondo le regole.

6 Matth. X, 22. “Chi persevererà sino alla fine sarà salvato.

7 Dan. V, 27. “Sei stato pesato sulle bilance e sei stato trovato mancante.

8 Luc. X, 42. “Ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno.

a “Attraverso avversità (si giunge) alle stelle. Attraverso difficoltà si giunge a realtà sublimi”. Si tratta di espressioni, spesso usate da autori classici, divenute proverbiali. Il tutto equivale al detto italiano: “in paradiso non si va in carrozza”.




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