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Sac. Giacomo Alberione, Primo Maestro della Pia Società San Paolo
Oportet orare

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a) Confessione.

            a) Confessione. Cade ammalato, ma cerca di illudersi che quella malattia forse è nulla; che



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altri ne ebbero di più gravi e le superarono; che, fra poco, coi rimedi, assistenze, cure, ritornerà alle occupazioni abituali...

            E, così illuso, è tutto intento a cercar medici, medicine e rimedi... Se avesse altrettanto zelo per la cura dell'anima! ma, forse, non ne ha avuto in vita e possiamo proprio credere che l'abbia ora? In morte si fa un po' di meno di quello che abbiamo fatto in vita. Questa è regola generale; le eccezioni sono veramente poche.

            Spera di guarire: ma in cielo è già stabilito diversamente. Che fa quell'albero che non dà frutti? «Ecce anni tres sunt ex quo venio quaerens fructum in ficulnea hac, et non invenio: succide ergo illam: ut quid etiam terram occupat?»14. Perché questa pianta se ne sta inutilmente occupando terreno prezioso, per dare foglie? Tagliamola, per far posto ad altra che dia frutti. Questo cristiano, questo religioso, questo sacerdote hanno dato tante foglie, tante apparenze, tante frasche, tante parole. I tanti propositi e i buoni desideri erano velleità, foglie, che han finito per cadere. Il Signore attende frutti; ed ha atteso forse lungamente, e non ne ha trovati, o li ha trovati scarsi: «Ut quid terram occupat?» Sostituiamola.



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E sarà messa la scure alla radice: «Jam enim securis ad radicem arborum posita est. Omnis ergo arbor, quae non facit fructum bonum, excidetur, et in ignem mittetur»15.

            Il male si aggrava, i rimedi non danno risultato, i medici si succedono, si consultano ed impiegano tutta la loro scienza; ma «non est consilium contra Dominum»16. Il malato, vedendo quel che succede, comincia ad entrare in sospetto se quel che vede e si fa intorno a lui non sia quanto vide succedere intorno ad altri che poi son morti. Una paura tremenda, che vorrebbe cacciare, lo invade sempre più.

            Chissà che sia giunta proprio la mia ultima malattia, e che Iddio già mi chiami a sé! Guai a me se succedesse questo! Che cosa mi porto al tribunale di Dio? E tutti quei propositi e quei desideri che avevo un giorno di santificarmi, che frutti han portato?

            Intanto il male progredisce; e qualcheduno comincia a pensare se non sia il caso di avvertire l'infermo perché si confessi, mentre è in condizioni di farlo: Ma... chi chiamare? Quando si tratta di un fervoroso cristiano, di un buon sacerdote, di un bravo religioso, non si ha timore che il malato si spaventi e prenda in male quell'avviso; ma se si tratta di certi



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malati, chi oserà? Si dirà: lo faccia il confessore. Ma si saprà sempre qual è? E poi il malato lo vorrà?

            Forse vi è un garbuglio in quella coscienza, che mai ha spiegato bene e che tanto lo turba.

            Oh, se si potesse rifare tutta una vita! Poiché è l'intera vita che si porta al tribunale di Dio; mica solamente le ultime ore! Supponiamo che il confessore venga e gli dica: «Vedi, è difficile una guarigione; ma, per ottenere la grazia, è bene che ti confessi, che riceva i Sacramenti». Che impressione gli farà?

            Ad un religioso fervente si dice chiaro: «Siamo vicini al paradiso: fa volentieri il sacrificio della tua vita, è il momento di guadagnare il maggior merito di tutto il tempo della vita: «Non mea voluntas, sed tua fiat»17, con Gesù». Ma ad un tiepido si parla con molta circospezione: si prevede un abbattimento morale, peggiore dell'incoscienza od ignoranza del suo stato.

            Supponiamo che si arrenda e si confessi. Come si confesserà? Le persone in vita trascurate, senza esame di coscienza, prive di vera luce interiore, se la sono passata sopra a tutto leggermente! Giudicavano scrupoli certe delicatezze e doveri; davano uno sguardo fugace



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alla loro coscienza; senza vero pentimento, facevano un’accusa sommaria. Ed in punto di morte? Fanno in morte un'accusa ancor più sommaria, perché la confessione allora riesce generalmente meno bene. Le eccezioni sono eccezioni, ma tali eccezioni capitano più ai semplici cristiani che non ai religiosi e ai sacerdoti, perché i laici ebbero minor effusione di grazie: meritano più compatimento presso Dio.

            Il confessore interrogherà su certi punti: quanto all'uso, all'amministrazione dei Sacramenti, quanto alle Messe, ai pensieri, agli attaccamenti, ai doveri del proprio stato. Darà risposte evasive: Ho tanto male, mi lasci stare! più tardi, quando guarisco, quando abbia la  testa più libera, voglio poi fare una confessione bene... Il confessore capisce che il tempo oramai stringe, che il male precipita; ed insisterà con altre domande; interrogherà sotto altra forma; ma ben presto dovrà persuadersi che l'infermo si mette ancor più sulle difese, che è meglio desistere per evitare mali peggiori. Dirà allora parole generiche: Faccia un atto di dolore generale, confessiamo tutta la vita come stiamo davanti a Dio. Espressioni queste che a chi fu diligente, sono veramente salutari; ma pel trascurato, responsabile di tante omissioni ed insufficiente nelle accuse e nel dolore



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in tante confessioni, rimangono senza frutto. Si darà un'assoluzione. Il confessore, più premuroso che il penitente, prega nel suo cuore: Angeli del Signore, ottenete da Dio che sia sciolto in cielo ciò che io ho sciolto sulla terra! Che la mia assoluzione venga confermata!

            Infatti, quel sacerdote, quel religioso, quel cristiano tiepido, ai doveri essenziali non ha neppur pensato; sfuggiva dal riflettere seriamente agli obblighi del proprio stato. Se fu religioso o sacerdote tiepido, trascurava di pensare se compiva tutto il bene che gli era possibile; non si esaminava sulle omissioni. Se fu semplice cristiano, passava sopra a certi pensieri e sentimenti: eppure forse vi era consenso, si metteva in certe occasioni; quelle sensibilità non erano innocenti. Anche adesso sfugge dal pensarvi, perché non si sente, perché ha la febbre, non gli regge la testa. Però nell'insieme, su quello sfondo della coscienza vede ombre sinistre, e dove prima credeva a venialità, leggerezze, fragilità, ora sembra vedere erigersi minacciosi dei mostri, che lo vogliano accusare al tribunale di Dio.

            Che morte incerta sarà questa! E perché? Perché in vita la confessione, che era una delle sette grandi preghiere, delle sette preghiere sacramentarie, non era ben fatta. Si assicura una buona confessione, od almeno una buona



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riconciliazione in morte, chi si confessa bene in vita.

 

           




14 Luc. XIII, 7. “Ecco, son tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno?”.

15 Matth. III, 10. “Già la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco”.

16 Prov. XXI, 30. “Non c’è consiglio di fronte al Signore”.

17 Luc. XXII, 42. “Non la mia, ma la tua volontà sia fatta”.




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