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Sac. Giacomo Alberione, Primo Maestro della Pia Società San Paolo Oportet orare IntraText CT - Lettura del testo |
I. – Che cosa sia l'eternità.
Boezio la definì: «Interminabilis vitae tota simul et perfecta possessio»a. Si dice eternità in opposizione al tempo. Ed è perciò anche più facile a capirsi l'altra definizione di molti Teologi: «Duratio tota simul, sine initio et sine fine et sine successione»b. Infatti dall'eternità si esclude la successione.
Vi è diversità fra l'eternità di Dio e quella dell'anima e degli angeli. Dio non ebbe principio, né avrà fine; l'anima umana ebbe principio, ma non avrà più fine.
L'eternità di Dio non ebbe, né avrà mai successione; l'eternità per l'uomo
ha successione fino al giudizio universale, quando il corpo avrà con l'anima il
suo destino; ma dal giudizio universale, non avrà più successione. «Aeternitas non est aliud quam Deus»c, dice S.
Tommaso; e S. Agostino: «Anni Dei aeternitas est»d. L'uomo è eterno a parte
post: l'anima, perché di natura spirituale; il corpo,
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perché per divina volontà destinato a compagno dell'anima ed a formare con essa l'uomo. L'eternità è la durazione: duratio.
L'eternità è il vero nostro destino. Sulla terra siamo in prova. Gli Angeli ebbero una breve prova nel paradiso, e quelli che rimasero fedeli, sono eternamente felici. La vita presente dicesi «status viae» o «status probationis»e e tutta la grande sapienza sta nel superare la prova. «Beatus vir, qui suffert tentationem: quoniam cum probatus fuerit, accipiet coronam vitae, quam repromisit Deus diligentibus se»2.
Verrà lo status termini, il dies retributionisf, quando ognuno avrà quanto ha meritato, la mercede secondo la fatica; anzi, la durazione tota simul, intera l'eternità. In ogni istante, per dir così, essa vi è tutta, senza principio, senza successione, senza fine. Là non si contano anni, né secoli; non occorrono orologi, né mai si dice: quello che fu, o quel che sarà; non esiste né passato, né futuro, ma il solo presente. Si ricorre a vari paragoni, ma tutti sono insufficienti; il finito non ci può mai dare l'idea dell'infinito. L'eternità supera ogni numero, ogni calcolo, ogni vera comprensione, perché non ha fine.
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Tuttavia si fa qualche supposizione per aiutare la mente a considerarla alquanto. Immaginate una palla di ferro grande almeno quanto la terra; supponete che ogni anno una formica venga a passeggiarvi sopra per un'ora. Quanti anni si richiederanno perché la palla sia consumata? Si dirà: non è possibile un calcolo d'anni... Ebbene, se passassero pure tanti anni quanti ne occorrerebbero, sarebbe finita l'eternità? No, sarebbe come da principio.
Immaginate una bobina di carta, larga due metri, e lunga un miliardo; pensate che venga riempita da principio alla fine da numeri fittissimi che rappresentino tanti secoli; quale cifra immensa! non basterebbe la vita di un uomo a leggerla. Ebbene: quando fossero passati tutti quei secoli, sarebbe finita l'eternità? No, sarebbe come da principio. Che se quei secoli passassero anche mille, un milione di volte, l'eternità sarebbe proprio come da principio.
Eternità! mare senza spiaggia, fiume senza foce, abisso senza fondo, spazio senza confine, chi ti comprenderà?
Il B. Tommaso Moro, di cui ormai si sta svolgendo celermente il processo di
canonizzazione, si trovava in carcere per la fede, per il dogma del primato di
Pietro. La moglie, che
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era di cuore leggero, che aveva provato la gioia di essere sposa del primo ministro, lo sollecitava a fare un giuramento che inchiudeva il distacco dal Papa. Tommaso Moro rispose: – E quanti anni pensi che tu ed io potremmo ancora godere questi beni? E la sposa: – Credo che per altri venti o trent’anni... – Ah, sciocca mercantessa, rispose il Beato, e vuoi che per venti o trent'anni che sfuggono, rinunzi ad un'eternità felice?
Chiunque pensa all'eternità e non provvede, è pazzo: o ha perduto la fede,
o ha perduto la ragione. Mentre che a riguardo delle cose temporali ci
preoccupiamo tanto e a tutto cerchiamo di provvedere, quando poi si tratta
dell'anima, facciamo sempre fidanza di poter provvedere più tardi, in punto di
morte. Ah, se venissero fuori un momento dall'inferno i dannati, essi ci
direbbero: Per un piacere, per una soddisfazione di cinque minuti, per uno
sfogo di rabbia, per un capriccio che avevo, mi sono condannato ad una eternità
infelice, ad un'eternità di dolore. Fu breve la vita, il sacrificio durò ben
poco ed ora mi resta da soffrire per sempre: «Gustans
gustavi... paululum mellis, et ecce ego morior»3; per
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togliere l'arsura della mia lingua, mi sono condannato a morire, a perire per sempre.
Apriamo con la nostra mente le porte eternali del cielo e contempliamo Angeli, Apostoli, Patriarchi, Profeti, Martiri, Confessori, Vergini, fratelli e sorelle, cristiani d'ogni età e di ogni condizione: «Vidi turbam magnam, quam dinumerare nemo poterat, ex omnibus gentibus, et tribubus, et populis, et linguis, stantes ante thronum, et in conspectu Agni»4.
Ebbene? Sono lassù felici, non volgeranno più l'occhio indietro, non avranno più timore di nulla; e non vi sarà più morte, né lutto, né grida, né dolore. «Et mors ultra non erit, neque luctus, neque clamor, neque dolor erit ultra, quia prima abierunt»5; ma vi sarà un giorno sempre illuminato, un'eternità interminabile a godere la beatitudine di Dio stesso. Oh, come l'anima si bea e come il cuore sospira! quanto la volontà e il cuore sono tesi verso Dio!