8 - Lettera ossia dissertazione sopra l’abuso di maledire i morti

Edizioni contemporanee a S. Alfonso

1746*

Opera andata perduta.

In questa dissertazione S. Alfonso prova che l’abuso di maledire i morti non è una bestemmia e di conseguenza erroneamente si è classificata questa colpa tra i casi riservati in alcune diocesi del Regno di Napoli.

Il testo di questo studio è andato perduto. Tannoja (l. 2, c.26, nota) scrive nel 1798 che era giunto a ritrovarlo dopo dieci anni di ricerche nelle Puglie; ma che, con suo grande dolore, lo aveva smarrito. Le idee che vi sono sviluppate si ritrovano nella prima lettera della Corrispondenza speciale. (Lettere vol. 3, nr.1)

Questo scritto non è una lettera di S. Alfonso, bensì una nota di appunti del P. Ludovico Sabbatini d’Anfora dei Pii Operai, consultato su tale questione (questo errore fu segnalato dal P. F. Kuntz, archivista generale dal 1897 al 1905 in una delle sue preziose raccolte di note e documenti, t. 3, p. 55).

Nelle dissertazioni del 1748, 1757 e 1758 sullo stesso soggetto, si vede perfettamente che il Santo ha utilizzato questi appunti, i quali non facevano che confermare i suoi argomenti.

L’editore delle Lettere data questo pezzo al 1746; la Lettera dovette apparire in questo medesimo anno, perché nel 1748 S. Alfonso pubblicò una risposta ad una Epistola Critica, stampata in Roma, contro la sua dissertazione. Purtroppo anche questa è andata perduta: lo stesso Tannoja ci assicura (loc. cit.) di averla ritrovata e poi perduta insieme alla Lettera. Noi sappiamo soltanto che invece di rispondere agli argomenti di S. Alfonso, l’autore dell’Epistola Critica lo attacca violentemente, rimproverandogli di negare la preghiera vocale, e di insegnare che la orazione mentale è necessaria di "necessità di mezzo" e di prendersela col culto delle immagini: "chi sei tu, che uscendo dal bosco, vuoi dar legge ad altri e farla da maestro?".

Il rimprovero era totalmente immeritato. S. Alfonso, non fidandosi del proprio giudizio, aveva umilmente sottomessa la sua dottrina al giudizio delle tre congregazioni di teologi a Napoli: quella del P. Pavone, quella dell’Arcivescovado e quella di S. Giorgio.

Noi lo apprendiamo da Expiatio a nonnullis calumniis (opera nr. 10) e dal cap. 5 della Istruzione e Pratica per un confessore (Cfr. opera nr.29), dove è detto anche che il Nunzio di Napoli inviò al papa Benedetto XIV sia la dissertazione che la lettera che l’attaccava. Il Papa affidò l’esame di questi scritti al P. Sergio dei Pii Operai, consultore del Santo Ufficio, il quale approvò le conclusioni di questi teologi favorevoli alla tesi di S. Alfonso.

Lo stesso guadagnò a questa tesi anche il futuro cardinale di Napoli, Sersale, e il P. Sabbatini, divenuto vescovo di Aquila, scrivendo che tutti i missionari Pii Operai aderivano a questa dottrina: così in diverse diocesi la maledizione dei morti fu radiata dalla lista dei casi riservati.

Quanto al focoso avversario di S. Alfonso si pensa di identificarlo con il P. Gesualdo Dandolfo, il cui nome è rivelato dal Melzi nel suo Dizionario di opere anonime e pseudonime, Milano 1848, dove gli attribuisce una Dissertazione teologica-morale sopra l’abuso di maledire i morti apparsa a Napoli nel 1757 presso Gessari (non nel 1753, data riportata dal Melzi). Tannoja si limita a dire che era un religioso della Puglia; S. Alfonso dichiara che gli ripugna scendere a polemizzare con uno scrittore appartenente ad un Ordine "quem ego maxime facio atque mirum in modum veneror". Lo stesso Dandolfi nella Dissertazione citata dal Melzi si definisce "un sacerdote delle missioni sotto il titolo di S. Vincenzo Ferreri. La sua prima pubblicazione apparve a Roma senza nome di autore.

Ilario Alibrandi, difensore della causa del Dottorato di S. Alfonso, ha sottolineato in maniera particolare il merito del suo assistito e cita le parole di Benedetto XIV al teologo napoletano Jorio che lo interrogava su questa questione: "Avete il vostro Liguori, consigliatevi con esso" (Informatio, p. 16).

 

P. Maurice De Meulemeester

Bibliographie générale des écrivains rédemptoristes,

Louvain 1933, pp. 61-62