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S. Alfonso Maria de Liguori
Lettere

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545. ALL'AVVOCATO D. GAETANO CELANO.

Gli fornisce succintamente le risposte per confutare le accuse del barone Sarnelli.

[NAPOLI, MESE DI AGOSTO 1767].

Per quel che pare, tutte le ragioni che fa il Barone per aver la vigna si riducono alle contravvenzioni da noi fatte agli ordini regali; per le quali pretende che la vigna si debba a lui come erede ab intestato del fratello D. Andrea, senza aversi alcuna ragione delle donazioni fatte della vigna, prima al P. D. Alfonso de' Liguori, e poi all'arcivescovo di Salerno. Egli dice che, per causa di dette contravvenzioni, sono nulle tutte le donazioni fatte della vigna in beneficio de' Padri.

La prima contravvenzione (ch'è la principale) dice il Barone che fu quella di aver io cercato di acquistare la vigna nel 1735 colla donazione di D. Andrea; e perciò si è affacciato a provare, con diverse scritture, che negl'istromenti compariva la vigna donata a me, ma in effetto s'intendea di farla acquistare dalla Comunità, a cui sta proibito l'acquisto. Onde dice che per tale contravvenzione i Padri si sono resi indegni dell'approvazione fatta dal Re nel suo dispaccio, così della donazione


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fatta a me da D. Andrea, come dell'altra fatta poi nel 1752 da me a' Padri.

Si risponde che in ciò non vi fu, per ombra alcuna, contravvenzione. È vero che, dopo la dichiarazione del Re, la Comunità non fu più capace di acquisto, ma prima di questo dispaccio del 1752 a' 15 di dicembre, i Padri credeano in buona fede che ben potesse acquistare annue rendite la loro Comunità. E questa lor buona fede evidentemente si prova dall'avere i Padri accettato, con pubblici istromenti, da' Fondatori de' collegî altri stabili ed annue rendite, come avvenne per la casa d'Iliceto, di Caposele e di Nocera. E specialmente per Nocera avvenne che il Fondatore, dopo aver donata a' Padri una massaria ed una casa, imprese che la loro Comunità non era capace di acquistare annue rendite, ma facendosi la causa in Consiglio, i Padri ebbero la sentenza favorevole, come oggi apparisce dagli atti che sono nel S. C.; ma uscito poi il dispaccio, ove furono dichiarati incapaci di acquistare annue rendite, ebbero a cedere i nominati stabili, de' quali già avean preso possesso. E così dove sta la contravvenzione, quando dal S. C., prima del dispaccio, furono dichiarati capaci di acquistare? Passiamo alle altre contravvenzioni.

La seconda contravvenzione dice essere stata nell'avere i Padri amministrate le rendite della vigna, anche dopo il dispaccio, in cui si ordinò che i beni si amministrassero dagli economi destinati da' Vescovi.

Già si è risposto che gli economi hanno amministrate le rendite, e che da' Padri si sono mandati i Fratelli alla vigna ad assistere, acciocché quella fosse coltivata; ma ciò si è fatto non già per amministrare, ma per ricavare e non perdere il sussidio del tarì assegnato loro dal Re.

La terza contravvenzione dice essere stata di avere i Padri convenuto coll'arcivescovo di Salerno di dare ad essi tutte le rendite della vigna, benché superassero gli annui ducati 500, a me da D. Andrea e da me donati poi alla Comunità.


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Si risponde che questa convenzione coll'Arcivescovo non fu fatta da' Padri, ma dal medesimo D. Andrea, il quale volle far questa convenzione per meglio stabilire la nostra casa nella terra di Ciorani. E questa convenzione fu conforme alla volontà del Re, che già avea disposto che dall'Arcivescovo fosse somministrato un tarì, al giorno, a ciascun soggetto di quella casa, dalle rendite della vigna.

Avrebbe potuto opporsi questa contravvenzione, se la vigna avesse renduto più degli annui ducati 500 a me donati da D. Andrea, e poi da me donati alla Comunità; ma questo caso non si è dato, né si darà; perché la vigna non è capace di dar maggior rendita, che di 300 o, al più, 400 ducati.

Il Barone poi pretende dimostrare essersi acquistati più de' 500 ducati; perché 500 ne avea donati [D. Andrea Sarnelli] già nel 1752, dal che non potea recedere, e 300 altri se ne riservava per sé, sicché sarebbero 800. Nell'acquistar dunque l'intiera vigna, i Padri acquistarono più de' ducati 500 approvati dal Re.

Si risponde primo che i 300 ducati, riservati per sé da D. Andrea, si doveano scemare da' ducati 500.

Si risponde per secondo che la vigna si può apprezzare, e si scorgerà che adesso, ch'è tutta coltivata, non rende ducati 500 e molto meno dar li potea allora ch'era incolta.

Si risponde per terzo, data per vera la rendita pretesa dal Barone e per consequenza la contravvenzione, questa si è fatta da D. Andrea e dall'Arcivescovo, e non da' Padri.

La quarta contravvenzione dice essere stata in essersi i Padri obbligati, nell'istromento a transazione nell'anno 1755, di pagare al Barone ducati mille per le pretensioni, che avea sopra detta vigna.

Si risponde che i Padri si obbligarono a detti ducati mille, non già per fare acquisto della vigna, ma affinché l'Arcivescovo, tolte di mezzo le pretensioni del Barone, avesse potuto somministrarci il sussidio del tarì, assegnato dal Re.


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Si oppone di più che i Padri tengono noviziato, Regole, e numero di soggetti.

Si risponde: Essendosi il Re dichiarato desideroso che l'Opera si mantenga nel primo fervore, non può mai credersi abbia voluto proibire che si ricevano nell'Adunanza altri soggetti, in supplemento di coloro che muoiono e si licenziano dall'Adunanza; altrimenti l'Opera finirebbe, o almeno mancherebbe. E posto ciò, tanto meno può credersi che il Re abbia voluto proibire che i giovani, i quali vengono a congregarsi, non siano sperimentati per qualche tempo nello spirito e nell'abilità, per impiegarsi nell'Opera delle missioni, e che poi siano diretti secondo le nostre costumanze nel modo di con vivere fra di noi: altrimenti le nostre case diventerebbero ridotti di contrasti e confusioni.

Avendo il Re permesso a noi di convivere, senza dubbio dee supporsi che non solo permette, ma vuole che si viva con ordine e con soggezione a' direttori dell'Opera.

Dice che il dispaccio fu una grazia particolare e personale per quei soli Padri che viveano, quando uscì il dispaccio: onde estinti quei Padri, la grazia ancora è finita.

Ma il Re si dichiarò (come abbiamo notato di sopra) desidero che si mantenga l'opera sempre e nella sua nativa fervorosa qualità. Queste parole del Principe son contrarie all'interpretazione del signor Barone.

Dice che il superfluo delle rendite, somministrato il tarì a ciascun soggetto, dovea darsi a' poveri, e ciò non si è fatto. Risponde che, secondo la tenuità delle rendite che vi sono, elle non bastano, né han bastato mai a somministrare neppure cinque grana a ciascun soggetto.

Dice che, per la terra di Ciorani, vi basta un Padre e mezzo.

Dunque un Padre e mezzo basta per coltivare tutta la gente del paese, e per fare le missioni che dobbiamo mantenere.

Conforme al manoscritto originale, che si conserva nel nostro archivio generalizio di Roma.




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