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S. Alfonso Maria de Liguori
Lettere

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639. AI PADRI DELLA CONGREGAZIONE DEL SS. REDENTORE.

Prese le dovute informazioni, ritratta la sua opinione riguardo al privilegio per gli infermi.

Viva Gesù, Maria e Giuseppe!

ARIENZO, 3 APRILE 1770.

Scrivo di nuovo circa la messa nelle stanze degli infermi, e fo sapere che di nuovo mi ritratto di quel che scrissi nell'ultima mia; mentre, per meglio sincerarmi, scrissi al P. D. Stefano Longobardi, Padre vecchio ch'è stato Preposito, e ben inteso delle cose della sua Congregazione.

Egli ultimamente mi ha risposto, che anche nella sua Congregazione, quando il luogo è decente vi si alza l'altare, e vi si fa celebrare messa senza difficoltà. In altro luogo della lettera scrive: Per le messe che si celebrano per sollievo degli infermi, perché a questo fine fu fatta da noi le richiesta, affinché gl'infermi, che non potevano uscire dalla stanza, avessero questa consolazione.

Questo è quello ch'io desiderava sapere, se i Pii Operarî avessero fatta questa richiesta, specialmente per alzare l'altare nelle stanze degli infermi. E così s'intende bene quel che sta scritto nel privilegio: Ad aegrotantium preesertim solamen, cum quisquam (questo è quello che fa più forza) ex sodalibus vestris morbo decumberet; sicché le parole del Papa ora chiaramente vedo che s'accordano colla domanda: cosa che prima mi teneva sospeso, mentre le parole cum quisquam de sodalibus vestris morbo decumberet dinotano singolarmente il sollievo di quelli infermi che non possono alzarsi da letto.

Onde, acciocché il privilegio non resti inutile per gli infermi di letto, a' quali specialmente è stato dato il privilegio, ben possono avere la messa dentro la stanza.

Tanto più che ho ritrovato che i privilegi dati alle comunità, la comune de' Dottori vuole che debbono interpretarsi, non solo largamente, ma larghissimamente.

Non vale poi a dire, come dicea uno degli scritti de' Nostri, che, per la parola praesertim, possono godere anche i sani della


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messa dentro la stanza; perché, essendo data questa facoltà al Superiore Maggiore, non ha creduto mai il Papa che il Superiore concedesse l'altare anche a' sani.

Quell'altro scritto poi [che dice] che, per la parola aedes, nel privilegio s'intendono le celle, affatto non può correre; perché aedes, nel privilegio, significa le case della Congregazione in campagna, non già le celle.

Un'altra difficoltà mi era restata, se il privilegio dato a' Pii Operarî, essendo di una cosa molto straordinaria, si comunicasse anche a noi? Ma poi mi son chiarito che ben si comunichino, perché in noi corrono le stesse ragioni che corrono per li Pii Operarî, come si può leggere nei Salmaticesi, tom. 3, tract. 8 de Privileg. num. III a 118.

Prego pertanto i RR. PP. Rettori delle case a servirsi di tal privilegio con molta cautela, e che le stanze di quelli infermi, dove si avrà da erigere l'altare, siano luoghi decenti al Sacrificio, nel che, mi scrive il P. Longobardi, i Pii Operarî usano molta cautela

Del resto, stando io lontano dalle case, commetto tal facoltà a me data, a' Rettori, acciocché se ne avvalgano colla dovuta cautela, come ho scritto.

Benedico tutti e mi raccomando alle orazioni di ciascuno.

Delle RR. VV. Servo e Fratello in Gesù Cristo

ALFONSO MARIA, vescovo di S. Agata,

Rettore Maggiore.

Conforme ad un'antica copia.




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