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S. Alfonso Maria de Liguori
Apparecchio alla Morte

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Introduzione di O. Gregorio C.Ss.R.

1. Redazione

 

S. Alfonso non progettò a tavolino l’Apparecchio alla morte; sapeva che di trattati sui Novissimi, tra buoni e mediocri, ne circolavano abbastanza in Italia. Il libro gli nacque sostanzialmente sul pulpito durante le missioni rurali. Ma le spinte alla stampa vennero dal di fuori: probabilmente non ci sarebbe stata, se sacerdoti e laici avessero omesso le istanze svelateci nell’intento dell’opera.

Da circa un trentennio il Santo evangelizzava con ritmo inarrestabile i paesi più depressi del Regno di Napoli, insistendo sopra le verità eterne, come del resto si praticava in gran parte dell’Europa (1). I Novissimi con una predica specifica intorno al paradiso stavano al centro ed erano il nerbo della sua predicazione, che si proponeva di ridestare il senso del peccato e la speranza della felicità eterna più che di “scuotere le folle meridionali esplosive, ignoranti e ghiotte di funzioni spettacolari”, come si insinua con informazioni sospette (2). Attuò, migliorandolo, il metodo comune dei missionari più classici, consapevoli delle inquietudini delle coscienze, con le quali intavolavano il dialogo. Si fa un torto al loro zelo illuminato accusandoli in blocco di essersi tenuti su una linea negativa con atteggiamenti grotteschi di Passavanti in ritardo. E pare ingiustificato asserire che accentuando il moralismo antropocentrico e la coreografia abbiano annunziato un cristianesimo dimezzato (3). Si capisce, non mancavano gli abusi spiacevoli.

S. Alfonso, che per temperamento non era un conformista, avendo sperimentata salutare la tattica in vigore, se ne servì per avviare alla salvezza le anime più abbandonate. Anzi, sfrondando l’apparato esterno, la codificò con accorgimenti personali (4). Il tono coraggioso, spoglio di retorica, proveniva anche da una specie di reazione a quell’epoca riboccante di minuetti (5). Comunque, non voleva accaparrarsi i complimenti delle damine sentimentali e dei cicisbei secondo pretendeva qualcuno con i cosiddetti “poemi sciolti” (6). S'industriava di guadagnare le resipiscenze dei più frivoli, prospettando con colori taglienti la morte, il giudizio, l’inferno (7). Tali temi, che risuonano frequenti nella sua predicazione, stanno ad indicare il senso drammatico che della vita aveva il Santo spesso frainteso come un dolciastro. Tutt'altro; ma esulano dal suo dire le luci torbide e violente. Mai si attardava su tetre posizioni quasi per produrre il clima della paura, scavando un abisso senza ponte tra Dio e l’uomo. Il timore della esclusione dal regno escatologico per il peccato è sempre addolcito dalla speranza della promessa beatitudine eterna (8).

Si dimentica che sottolineò replicatamente il primato della carità, motore e forma di tutta la vita cristiana. Notava nel 1760 con fine psicologia:

Quelle anime che lasciano il peccato, mosse dal solo timore de' divini castighi, finita la missione, e cessato lo spavento, appresso facilmente ritornano agli antichi vizi; ma quelle che restano ligate a Dio coll’amore facilmente perseverano (9).

 

Ispirò a questo canone la vasta sua attività apostolica di ricupero e ne imbevve quella letteraria ed epistolare. Sin dal 1744, tracciando un regolamento ai propri discepoli fondati nel 1732 sulla costiera di Amalfi, li ammoniva:

Procurino i Padri in tutte le prediche di far sempre menzione dell’amore a Gesù Cristo e del ricorso a Maria SS., poiché in ciò sta la salute di tutti, in amar davvero G. Cristo e in ricorrere spesso alla sua SS. Madre Maria (10).

 

Più che ad imbottire le teste di speculazioni teologiche si preoccupava di colmare i cuori di amore celeste, badando non a suscitare effimere emozioni ma a convincere durevolmente. Con questi criteri pubblicò verso il 1728 il libriccino delle Massime eterne, che in certa maniera può considerarsi il germe remoto dell’Apparecchio alla morte.

A grado a grado accrebbe i temi, adeguandosi con strategia all’ambiente, che soleva prendere di assalto: può essere che li abbia portati ad una trentina. I Redentoristi del '700 avevano nel proprio zibaldone, su per giù, 25-30 “prediche grandi” (11) o meditazioni per soddisfare ad una missione prolungata per un mese nei borghi più popolosi. Non dubitiamo che s. Alfonso, loro capo, fosse ben attrezzato. A noi son pervenuti soltanto alcuni schemi o frammenti della copiosa fatica, sufficienti tuttavia ad orientarci nelle ricerche.

Nel 1757 o poco prima cedendo alle pressioni di quanti persistevano a domandargli un manuale di meditazioni o un prontuario oratorio intorno agli ultimi fini, si piegò sugli scritti per imbastire l’opera desiderata.

L’impresa non fu facile per andare incontro alla duplice esigenza: non si trattava di trascrivere le prediche o di accomodarle con un restauro superficiale. Accingendosi alla redazione cominciò con ripensare i soggetti ripetuti tantissime volte sui pergami dei paesi vesuviani, pugliesi ed irpini. Distribuì in 3 punti ciascuna predica ch’era generalmente divisa in due. Ne ampliò il disegno; riepilogando in una più pagine, eliminò i tratti descrittivi o parenetici, fedele al sistema che nel giugno 1757 manifestò a Remondini: “Quest’altre operette mie, è vero che sono picciole, ma sono tutte faticate e piene di cose, perché io non sono amico di parole, e per far queste operette, ho letto centinaia di libri, e ne ho ricavato il fiore” (12).

Non era una vanteria ingenua, ma ormai un costume.

Dal carteggio lo sorprendiamo verso il 17 gennaio 1757 intento a sfogliare I prodigi della grazia inviatigli dal p. Caldarera dell’Oratorio di Napoli (13). Poco dopo, il 27, scriveva a Remondini: “La prego ad avvisarmi se tenesse il libro della Santità e doveri della vita monastica del p. Rancé della Trappa. Questo libro in Francia ha avuto un grande applauso; ma non so se è tradotto dal francese. È certo che se si facesse tradurre, avrebbe un grande smaltimento” (14). Il Santo parla dell’ab. Rancé nella consid. XXXIII, I. Allega poi esplicitamente i Disinganni nella consid. IX, 2. Il 29 aprile 1758 raccomandava a Tannoia maestro dei novizi di far leggere “a tavola li Disinganni sino che finiscono, ma le sole vite, non le riflessioni” (15).

Naturalmente non furono le uniche fonti, ma alcune delle diecine consultate in quel periodo per corredare l’esposizione “di testi di Scritture e di passi di santi Padri, benché brevi, ma spiritosi” (16). Leggeva assai per dire in succinto e con chiarezza ciò che precedenti autori avevano espresso prolissamente in una elocuzione infrascata. Anche allora si amava legger poco e saper molto (17).

Dal poco superstite delle sue “prediche grandi” autografe, abbozzate o stese, può arguirsi l’impegno occorso nella stesura. Il Santo ebbe davanti il repertorio, ma poté utilizzare scarsi elementi. Sovente ne fece a meno, riandando con la memoria a concetti ovvi o componendo da capo con materiale fresco meglio selezionato o appena affastellato. Ciò spiega perché qualche testo è più esatto nel manoscritto che nella stampa, come per Salviano. Leggiamo nella cons. XII, I: “Come va, dice Salviano che i cristiani credono esservi giudizio, inferno, eternità, e poi vivono senza temerli? Quid causae est, quod christianus si futura credit, futura non timeat?”. Nel brano manoscritto dice:

Si meraviglia Salviano e domanda donde avviene, dice egli, che tutti i cristiani vedono, e confessano, quanto il Signore ci ha rivelato: all’incontro tanti pochi temono le minacce, che il Signore ha fulminate contro de' peccatori. Quid causae est si christianus credit quae dixit Deus, non timeat quae minatur Deus? (18).

La citazione manoscritta corrisponde meglio al testo originale: cfr. PL 53, 220: “Quid ergo causae est ut si christianus credit quae dixit Deus, non timeat quae minatur Deus?”.

 

Soggiungiamo tre schemi autografi senza apportarvi alcun ritocco ortografico.

 

A. Certezza della morte (19).

 

I. La morte è certa, dunque dobbiamo apparecchiarci.

II. L’ora è incerta dunque dobbiamo star sempre apparecchiati. Statutum est.

Non importa robusto, Principe, giovine, ricco. Sei uomo ecc. Tutti condannati ecc. Da ce conceputo condannato ecc. Da che uscisti al mondo, uscì la giustizia per te, e tu sei ecc. e 'l giorno dell’esecuzione già sta destinato. Quanti passi dai, più t’accosti al pericolo, e tanto ci vuole ecc. quanto ad arrivare ad un patibolo.

Onde dici bene, vado alla chiesa, alla casa, ecc.

Giob.: Finis universorum, et dies perditionis.

Il giorno della perdita degli amici, panni, robe, ecc. Va metti affetto ecc.

Che gioverà allora ecc. Stulte hac nocte ecc.

Errico 8.: Amici, perdidimus omnia.

7 demonii si accostano, il I mi parto, ma ne lascio 6, e così l’ultimo: Io mi parto, ma me lo porto, e quello spirò.

1. S. Gregorio: Qui poenitentibus veniam, peccantibus crastinum diem non promisit.

2. Giesuchristo: Estote parati, quia qua hora non putatis, Filius hominis veniet.

3. E. S. Paolo: Sicut fur in nocte, ita veniet.... Il ladro non avvisa ma aspetta..... spensierati e addormentati. Si sciret paterfamilias qua hora fur veniret, vigilaret utique: per quanto tempo solamente avrebbe da vigilare ecc. ma non l’ora, a' sempre da vigilare, accioche ecc. così bisogna sempre ecc.

 

I. Perciò dicono i Santi gran misericordia esserci dappresso la morte, acchioche così stassimo altrimenti..... sarebbe causa di maggior negligenza. Se non sapendo ecc. e pure.

II. Una delle maggiori tentazioni, con cui il demonio inganna è farci scordare ecc. promettendo l’emendazione in altro tempo. Finito quel negozio, quella lite, accomodata la casa, collocata quella figlia, frattanto ecc.

Alcuni spunti di questo scritto informe s'incontrano nella IV cons. (Certezza della morte) e altri nella V (Incertezza dell’ora della morte). È tangibile la rielaborazione radicale delle 2 considerazioni con citazioni bibliche e patristiche nuove: la leggenda dei 7 diavoli è abbandonata e l’aneddoto di Enrico VIII è trasportato alla cons. XX, punto 2.

 

 

B. Distacco. (20)

 

Risonanze della predica sul “distacco”, diretta propriamente ai sacerdoti, si percepiscono nella cons. XIII (Vanità del mondo), dove si ritrovano gli stessi episodi, qui appena accennati.

 

Che onori, che canonicati, che mondo!

Che mondo? Che far..... noi col mondo? Sacerdoti miei! Elegi vos de mundo. Giesù ci à cacciati dal mondo accioche..... santi.

Ah pensiamo ora, e immagginiamoci di vedere il mondo, conforme ci comparirà in morte. Oh come picciolo il mondo, quando ci sarà data la nova ch’è finito il mondo per noi.

Finito l’oglio a la lampa. Finita la scena ecc.

Che a quella chiusa sta tutto ecc.

E allora si parla d’altro modo. Mo si stima felice, chi tiene carozza, che vescovado, beneficio (....).

Ma in morte ci si crede, perché si vede ecc. ogni cosa fumo, brenna.

E allora si confessa la verità.

Anche Re, Papi ecc. parlano altrimenti.

Filip. Re di Spagna: Meglio fossi stato cuoco di qualche religione, che monarca di sì grande monarchia.

Fil. III figlio: Predicate..... questo spettacolo che vedete, e quel, ch’io dico, che non serve l’essere stato Ré che per sentirne la pena in morte. Oh questi 20 anni di Regno fossi stato in un Eremo, che ora andrei con più confidenza a comparire al tribunale di Giesuchristo.

Onorio 3. Papa: Oh fossi stato a lavare i piatti nel mio monastero.

Leone XI: Oh fossi restato a tener le chiavi del mio monastero, che tener le chiavi di S. Pietro.

Eh allora ecc. A quel lume di candela come compariranno le cose ecc. tutte vanità, fumo, pazzia!

 

Ma che servono allora questi desiderii, sospiri, se non per accrescere il rimorso, e la pena di non potersi più rimediare.

Perche allora non è più tempo. Quel ch'è fatto. Venit nox in qua nemo potest operari. Non ci si vede più. Ah Sacerdoti miei è vero questo? Non ci vogliono troppe Scritture e SS. Padri a provar questo punto.

 

C. Le pene dei dannati (21).

 

Più interessante si rivela questo autografo sfruttato nella consider. XXVI (Delle pene dell’inferno). L’esposizione sciolta dalle consuete scene barocche, grossolane e terrificanti come nel Manni, ha sapore moderno per l’accento posto in prevalenza sulla pena del danno “questo farà l’inferno il non potere amare Dio”. Sant'Alfonso nella stampa compendia le riflessioni emotive, lascia cadere gli esempi di Lisimaco e di sant’Ignazio né usa un testo di santa Teresa “o tormento senza fine” né l’altro di santa Caterina da Genova circa la goccia di amore divino. La predetta considerazione più densa di concetti ha movimento più rapido nello svolgimento: il predicatore può attingervi un materiale assai ricco.

 

Odierà tutte le virtù, la fede, perche non l’à servita a salvarsi, la Speranza, perch'esso sen'è liberato per peccare più liberamente, anzi avendo temerariamente sopra la speranza fondato la libertà di peccare, vedrà che questa sua presunzione gli è stata causa di dannarsi; odierà sopratutto l’amore, perch’esso con tutti i dannati son privi d’amore di Dio, e conoscono che questo fa il loro inferno, così disse..... un demonio una volta che dimandato, chi era: “Io sono, io sono”. “Chi sei?” “Io sono (rispose) la creatura priva d’amore”. Ah! se quelle povere anime potessero amare Dio, e se patiscono potessero baciare quella mano, che giustamente li castiga: l’inferno non sarebbe inferno. Ma ciò non gli è permesso, son condannati ad odiare Dio, e perch’essi vedono, che Dio non merita quest’odio, perch’è infinitamente buono, rivolgono quest’istesso odio contro di loro.

Odiarà quantunque tutto il Paradiso. Odierà tutti gli Angeli, e specialmente l’Angelo suo custode, stimandolo per il suo maggior noemico fra tutti gli Angeli. Odierà tutti i Santi, e specialmente i suoi santi Avvocati, bestemmiandoli sempre; odierà, et averà da bestemare quella, che più di tutti appresso Dio l’ave amato, et aiutato, Maria Vergine. Ah dilettissimi, se tu sei divoto di Maria, mo la chiami Regina tua, la Mamma tua, la speranza tua, sappi che se ti danni, l’ai continuamente da biastemare, l’ai da maledire, e l’ai da odiare come la tua maggior nemica.

E in fine il povero dannato odierà Dio medesimo biastemando sempre tutta la SS. Trinità, biastemando il Padre, che l’à creato, il Figlio che l’à redento, lo Spirito Santo, che l’ave illuminato, e specialmente avrà da odiare quello che specialmente dovrebbe amare l’amante Redentore Gesuchristo, perche vedrà, che questo Signore è sparso il Sangue, e daa la vita per salvarlo, e ch’egli per sua malizia non sen’à voluto servire, onde odierà sopra tutto il Sangue di Gesuchristo.

Caro fratello mio, ti fidi d’odiare il caro Signore, quello, che t’à redento, quello ch’è morto per te? si, che se ti danni, ai da bestemmiare il Sangue di Gesuchristo, ch’à sparso per te, ai da odiare tutte le pene, ch’à patito per amor tuo, le sue piaghe, i chiodi, che l’anno trapassato, i flagelli, che l’anno lacerato le carni, le spine, che l’anno forata la sacra testa. Ah se ora in tutti li tuoi guai ricorri a Gesù, e Maria,e  se ora la maggior tua consoalzione, è nel nominare Gesù, e Maria, se ti danni questi t’anno da essere li nomi più odiati e bestemmiati da parte dell’istessi demonii.

Ah ch’io miserabile, che ora provo una gran divozione al nome di Gesù, e Maria, se io disgraziato mi danno (che meglio per me, e non ci fussi nato) se vado nell’inferno, ivi in vece di dire sia lodato sempre il nome di Gesù, e di Maria avrò da dire: Sia maledetto sempre il nome (Ah Signore no, non lo voglio dire), io voglio lodarvi sempre Gesù mio, Maria mia; lascio beastemarvi a quelli miseri dannati, io voglio lodarvi, finché posso lodarvi, e se mai avessi a dannarmi, ora cerco io questa sola grazia, di non avere ad odiarvi e di andare a bestemmiare il dolcissimo nome di Gesù, e di Maria.

Patirà l’intelletto nel conoscere il gran bene, che s’a perduto, e 'l gran male, che l’aspetta, conoscendo in sé, com’è la bruttezza del peccato, e la giusta pena, che l’aspetta per tutta un’eternità. Dal che ne nasce, che 'l dannato patisce non solo per un’eternità, ma patisce tutta l’eternità in ogni momento. Vi s’aggiunge tutta la disperazione per l’eternità. Questo pensiero gli farà desiderar la morte. S. Teresa: O tormento senza fine, o pena eterna come non ti temono coloro, che temono dormire in un letto nudo per non affliggere il corpo loro....

Ma sopra tutto  patirà la volontà, quella volontà ch’è stata la principale nel commettere il peccato, quella sarà tormentata più di tutte l’altre. Or la volontà sarà punita co 'l non potere amare Dio; nel volere quello, che mai non avrà, che saria sfuggire l’inferno, e nel non volere, quel che proprio avrà, che sarà la sua eterna pena.

L’amore fa il paradiso, l’amore fa l’inferno. Perche se i dannati nell’inferno ancorche non lo vedessero potessero amarlo almeno e rassegnati nella sua volontà, l’inferno non sarebbe inferno. Oh se potesse dire ciascuna di quelle povere anime: Dio mio ecc. Ma no, perché Dio non è più suo, et ella non è più di Dio, perche Dio è nemico suo, et ella è nemica di Dio.

 

Quindi la volontà averà tutto quel, ch’è male, onde amerà sempre il peccato, e ciò farà che Dio sempre l’abbi ad odiare.

Lisimaco.....

Et odierà tuttociò, ch’è buono, odierà per I. tutti i sacramenti, e specialmente il battesimo, perché essendo fatto cristiano avrà maggior pena, il sacramento della penitenza, poiche con una confessione poteva salvarsi; l’Eucaristia, odierà il SS. Sacramento, perche gli farà vedere l’amore, che Dio gli à portato.

Il non essere amato da Dio, il non potere amare Dio. Il Profeta chiama l’anima dannata non già dannata: perduta: abbandonata. Nò, ma come: Voca non dilectam. Haec amantibus poena est, non contemnentibus. Ma come i dannati amano Dio. Non amano Dio, ma non perderanno l’amor naturale, e crescerà loro la cognizione quanto è amabile Dio, ma non potranno amarlo.

O se cadesse nell’inferno una stilla ecc. Non sarebbe più inferno, se potessero penare, ma amando Dio.

Signori, questo mi (fa) tremare, e mi farbbe morire ecc. Non puoi amare Dio.

Onde diceva la B. Caterina da Genova (22) che se dell’amore del suo Core ne cadeva una goccia nell’inferno, i demonii diventerebbero Angeli, le pene care che coll’amore di Dio non può star pena. Onde la medesima non poteva sopportare né meno sentire dire, che un’anima dovesse essere in eterno senza Dio senza poterlo amare.

E S. Ignazio a tutto sapeva rassegnrasi, quando...... or questo Signore non mi fido, di dovervi odiare.

Questo farà l’inferno, il non potere amare Dio, anzi il dovere odiare un così buonp, e questo porterà l’odiare tutto quello ch’è buono, perche all’ora la volontà ben pervertita amerà tutto quello ch’è male come il peccato, e odierà tutto quello ch’è buono, e odiando pipù di tutto Dio che conosce essere stato così buono con essa. Odierà appresso Dio, quelli da cui ricevé maggiori beneficii che Dio ecc. E quelli, che più l’avran amato appresso Dio, sicche li sacramenti.

 

Può essere che la prima parte della predica sopra le pene dei dannati, giuntaci incompleta,  sia da ricercarsi nello schem autofrafo, ora a Milano, che riproduciamo: alcuni concetti di questo scritto si riscontrano nel I punto della cons. XXVI. Il brano tratta della pena del senso.

Nel centro della terra vi è una caverna chiusa d’ogni parte etc. destinata a' nemici di Dio.

hostes, et deriserunt sabbata eius, cioé le cose sacre.

I demoni anderan osservando nell’inferno tutti li battezzati, cresimati, e ordinati, e derideranno i loro caratteri: O tu stai qua. E che t’à servito questa cresima etc.

S. Teresa: Non mi ricordo mai avendo alcun dolore, che non mi paia niente quanto si può soffrire in questa vita in comparazione di qualunque pena dell’inferno, e d’un momento di quel patire, che quivi io passai.

Vedremo I. la pena, che patirà il dannato nel corpo. 2. la pena, che patirà nell’anima.

Punto I. La pena de' dannati non può spiegarsi, basta dire, che sarà pura pena, senza consolazione, senz’alcun bene.

E per I. La vista patirà per le tenebre cagionate così da non esseri lume, poiche il fuoco bruggerà senza far lume, come dal fumo, che ivi dentro si chiuderà, che li farà sempre piangere. Onde i dannati stanno sempre in tenebre, e se qualche volta vi sarà qualche lampoj, sarà per maggior pena farli vedere la fedormità de' demonii, e de' dannati.

II. Patirà l’udito per l’urli continui di tutti i demonii, e di tutti i dannati; noi non possiamo sopportare per una notte un bambino, un cane che grida et l’Imperador Domiziano fece fare una fossa per potervi sminuire le grida de' poveri sventurati.

Per III. L’odorato poicche ivi anderà l’immondezza di tutta la terra; ivi staranno tutti i cadaveri de' dannati in un luogo sempre chiuso. Si racconta di quel dannato, che col fetore uccise un monaco a cui comparve, tutti gli abitanti del monastero, e lo rese inabitabile.

IV. Il gusto. Vi sarà una fame canina, e una sete ardentissima, sicche l’Epulone cercò solamente una stilla d’acqua.

V. Il tatto, il fuoco solo basterebbe a far l’inferno.

VI. La pena dell’immobilità.

VII. La strettezza (23).

 

Dai saggi addotti consta che le fatiche sostenute da S. Alfonso per arrivare al libro non furono lievi sia in quanto al contenuto che allo stile.

Il 7 settembre 1773 raccomandava al p. Capuano: “Quando V. R. scrive il sermone, si guardi di ogni parola ampollosa e gonfia, e che non sia familiare, ed intelligibile anche ai villani” (24). Non voleva fiorami né vocaboli goffi, e soggiungeva: “Segneri è stato un gran predicatore, ma in questo ha difettato; benché noi leggiamo le sue prediche scritte, e nello scrivere sempre si scrive un poco più pulito” (25).

Crediamo che il Santo, coerente col proprio insegnamento letterario, non scrivesse come predicava; quando impugnava la penna, alzava il tono.

Sul pulpito si permetteva frasi in vernacolo e un porgere dimesso per tener desta l’attenzione della massa e per farsi capire persino dalle donnicciuole analfabete. Ma il libro era un’altra cosa.

Non è esatto che allo scrittoio non s’impegnasse. Si sorvegliava anche dettando a qualche giovane suo allievo (26). Non era certamente sciatto come si suole ripetere per preconcetto. Mai considerò il libro come un semplice accessorio, né d’altra parte nutrì la minima pretesa di diventare un “homme de lettres”. Ne è forse garante l’Apparecchio alla morte. L’analisi delle prediche appena abbozzate con lo stampato mostra la via della sudata elaborazione per conseguire maggiore densità d’idee in un linguaggio più efficace senza la ricerca bizantina degli aggettivi e dei participi.

 

 

2. PRIMA EDIZIONE E SUSSEGUENTI CORREZIONI

 

Sembra che s. Alfonso avesse preparato e poi inoltrato nella stamperia napoletana di Giuseppe di Domenico il grosso manoscritto dell’Apparecchio alla morte con 40 considerazioni: almeno così segnalava a Remondini il 16 luglio 1758 (27). Né si risparmiò nella revisione: mirando all’essenziale tagliò e ne ridusse il numero con un piano più svelto.

Il volume uscì nel seguente ottobre con 35 considerazioni, suddivise in 105 punti con altrettanti “Affetti e preghiere”: seguivano 9 discorsi sui flagelli, atti divoti, protesta per ben morire, regolamento di vita e virtù da esercitarsi. Gli ultimi due opuscoletti non eran paginati, probabilmente perché aggiunti al termine della stampa. Il 31 del suddetto mese annunziava al tipografo veneto:

Per ora già ho compito il libro della morte, o sia delle Massime eterne, buono a' secolari per meditare, ed ai sacerdoti per predicare. È riuscito di molto gradimento a tutti, che appena stampato, me lo strappano dalle mani: ma poche copie ne ho stampato, perché ho pochi denari (28).

 

Spendendogli un esemplare, l’esortò il 15 febbraio 1759 a sistemare nella ristampa in modo diverso le operette dell’appendice:

Avverto, in fine del libro, dopo i discorsi de' flagelli e certe dottrine appartenenti a' flagelli, nella p. 523, troverete una nota (delle opere) date da me alla luce. Dopo vi stanno gli atti per ogni giorno, la protesta per ben morire, ed in fine il regolamento di vita che è un foglio aggiunto. Fate così: metteteli in miglior ordine: mettete prima il regolamento, dopo mettete gli atti, e la protesta, ed in fine mettete la nota delle mie opere (29).

 

Escluse l’opuscoletto circa le virtù.

Verso la fine di aprile l’edizione a Venezia era già allestita secondo le vedute dell’autore (30). Remondini in maggio ne inviò 50 copie a Pagani.

Nel 1760 il tipografo Raimondi con il concorso finanziario dell’ambiguo Migliaccio, un libraio senza scrupoli, mise fuori a Napoli la II edizione ad insaputa dell’autore che non si era munito del privilegio di stampa. Anche il veneziano Antonio Zatta avrebbe voluto lanciare sul mercato una nuova ristampa, ma non essendo stato autorizzato dal Santo se ne astenne (31), come pare.

Nell’autunno del 1761 s. Alfonso, avendo ideato la collezione dei propri scritti ascetici, rivide l’Apparecchio alla morte e a penna cancellò, aggiunse, corresse una copia della prima edizione napoletana. Tra la considerazione XXII e la XXIII ne inserì un’altra sugl’inganni che il demonio mette in mente ai peccatori. La copia postillata giace attualmente incompleta presso la biblioteca del Museo civico di Bassano (126. A. 2.), come abbiamo riferito nella introduzione generale (32). Degno di rilievo: l’autore vi abbreviò l’intento dell’opera e staccò i 9 discorsi e gli altri opuscoli per stamparli a parte.

Nel 1762 curò a Napoli la III ed. “corretta ed accresciuta”: le considerazioni da 35 divennero 36, numero restato fisso posteriormente. La distribuzione delle operette del 1758 non venne variata come si nota pure nelle ristampe napoletane successive che vanno dal 1766 al 1787.

Esonerato dal vescovato di s. Agata dei Goti e rientrato nel quieto collegio di Pagani, il Santo proseguì ad occuparsi dei suoi libri: pare che verso il 1776 abbia rivisto un’altra volta l’Apparecchio alla morte, come depongono le varianti esibite dall’edizione del 1777 (ed. VI, Orsini) e più del 1780 (ed. VII), ambedue curate a spese di M. Stasi. Questi sin dal 1771, ottenutane la privativa (33), impedì che altri riproducessero l’opera affermatasi velocemente. L’autore dovette subirne le conseguenze e passò a lui, forse a malincuore, le ultime correzioni. Dopo quegli anni non ritornò più sul testo, assorbito dalle vicende burrascose della sua Congregazione e anche per l’età avanzata.

Remondini (34) nel 1767 accolse la nuova considerazione del 1762 conservando l’ordine del 1759; né trasse profitto dalle correzioni autografe del 1761. Certi anacronismi del 1767 sparirono nelle edizioni seguenti (35) particolarmente in quella del 1782.

 

I due testi, napoletano e remondiniano, compirono indipendentemente il cammino, generando sovente confusioni che si riversarono nelle traduzioni attraverso le ristampe ottocentesche apparse a gettito ininterrotto senza controllo: molto istruttivo il cambio di s. Antonino in s. Antonio, divenuto poi s. Agostino (cons. XXVII, 2) con il relativo sviamento degli annotatori più recenti (36).

 

 

3. DESCRIZIONE BIBLIOGRAFICA DELLE EDIZIONI CURATE VIVENTE L’AUTORE

 

a. Edizione di Domenico 1758:

Apparecchio / alla morte / cioé Considerazioni sulle Massime eterne. / Utili a tutti per meditare, ed a' Sacerdoti / per predicare. / Opera / del Rev. Padre / D. Alfonso de Liguori / Rettor Maggiore della Congregazione / del SS. Redentore. / In fine vi sono aggiunti nove Discorsi / per predicare in occasione di flagelli. / In Napoli MDCCLVIII. / Nella Stamperia di Giuseppe di Domenico. / Con licenza de' Superiori / (In-12; pp. XII-528 + 24) (37).

 

Al frontespizio è preposta l’illustrazione tipica di un sacerdote settecentesco presso il etto di un morente, il quale si dibatte tra l’angelo e il demonio: nel pianto inferiore si scorge un cadadvere in decomposizione con l’epigrafe: “Oh momentum, a quo pendet aeternitas” (38). Le prime 12 pagine non numerate contengono: dedica del libro, richieste del tipografo, approvazione ecclesiastica e regia, protesta dell’autore, indice dei capitoli, intento dell’opera.

 

Approvazione ecclesiastica:

Eminentissimo Signore. Giuseppe di Domenico pubblico stampatore desidera stampare un libro del Rev. P. D. Alfonso de Liguori, intitolato: Apparecchio alla morte, ecc. Supplica pertanto V. E. a commetterne la revisione, e l’avrà (ecc.).

Adm. Rev. D. Io. Baptista Coppola S. Th. Professor, et S. Mariae Virginum Parochus revideat, et in scriptis referat. Datum Neap. 10 Martii 1758. Episc. Philadelph. Vic. Gener. Ioseph Sparanus Can. Dep.

Eminentissimo Signore. In esecuzione degli ordini di V. E. le riferisco come il libro del R. P. D. Alfonso de Liguori, intitolato Apparecchio alla morte ecc. che l’E. V. si è degnata di commettermi a rivedere, è pieno di massime cristiane, ed utilissimo ad ogni genere di persone. Che però stimo di potersi stampare, se vi darà il beneplacito V. E. Napoli da S. Maria delle Vergini, 17 agosto 1758. Umiliss. devotiss. ed obbligatiss. Serv. Gio. Battista Coppola Par. di S. Maria delle Vergini. Attenta relatione D. Revisoris, imprimatur. Datum Neap. die 4 septemb.1758. Ioseph Sparanus Can. Dep.

 

Approvazione regia:

S. R. M. Signore. Giuseppe di Domenico pubblico stampatore desidera stampare un libro del Rev. P. D. Alfonso de Liguori, intitolato Apparecchio alla morte, ecc. Supplica pertanto V. M. a commetterne la revisione, e l’avrà, ecc.

Adm. Rev. Utriusque (iuris) D. Ignatius Calcius in hac Regia Un. Studiorum Professor revideat, et in scriptis referat. Datum Neap. die 4 Maii 1758. Nicolaus de Rosa Episcopus Puteol. C (appellanus) M (aior).

Illustrissime et Reverendissime Domine. Opus inscriptum, Apparecchio alla morte, ecc. singularem clarissimi et nobilissimi Auctoris integritatem et innocentiam usququaque redolet, nudum quidpiam complecitur, quod vel minimum Regiis iuribus adversetur. Quapropter, ut divini amoris studium in legentium cordibus magis magisque incendatur, ea quam ocissime, Serenissimi Regis Maiestate non abnuente, typis vulganda censeo. Neap. V id. August. 1758. Ignatius Calcius.

Die 25 mensis Sept. 1758 Neap. Viso Rescripto S. R. M. sub die 22 currentis mensis et anni, ac relatione R. S. Ignatii Calcii de commissione Rev. Regii Cap. Maioris, praevio ordine S. R. M. Regalis Camera Sanctae Clarae providet, decernit atque mandat quod imprimatur. Verum in publicatione servetur Regia Pragmatica: Hoc suum etc. Castagnolus - Fraggianni - Romanus.

Illustriss. Marchio Danza Praesidens S. M. tempore subscriptionis impeditus; et R. Cons. Gaeta non intervenit. Reg. fol. 80. Athanasius. Carulli.

 

Protesta dell’autore:

Per ubbidire a' decreti di Urbano VIII mi protesto, che a quanto si dirà nel libro di miracoli, rivelazioni, o d’altri fatti, non intendo di attribuirgli altra autorità che umana; e dando ad alcuno titolo di Santo, o Beato, non intendo darlo se non secondo l’opinione, eccettuate quelle  cose e persone, che sono state già approvate dalla S. Sede Apostolica.

 

Il testo abbraccia XXXV considerazioni (pp. 406). Seguono: Nove discorsi da farsi in tempo di flagelli (pp. 407-517); Autorità di Scritture e SS. Padri (pp. 517-522); Opere date in luce dall’autore (pp. 523-524); Atti divoti (pp. 525-526); Protesta per ben morire (pp. 526-528). L’autore appose Fine a p. 522:  a stampa quasi completa fece altre aggiunte; oltre quelle segnalate incluse due opuscoletti non paginati: Regolamento di vita d’un cristiano (pp. 14) e Virtù in cui dee esercitarsi un’anima per far vita perfetta (pp. 10).

 

b. Edizione Remondini 1759:

Apparecchio / alla/ morte,/ cioé Considerazioni/ sulle Massime eterne. / Utili a tutti per meditare, ed a' Sacerdoti/ per predicare. / Opera/ del Rev. Padre / D. Alfonso de' Liguori / Rettor Maggiore della Congregazione / del SS. Redentore. / In fine vi sono aggiunti nove Discorsi / per predicare in occasione di flagelli. / In Venezia / MDCCLIX. / Nella Stamperia Remondini. / Con licenza de' Superiori, e Privilegio. (In/ 12; pp. XII/523).

 

Le prime 12 pagine non numerate contengono oltre una illustrazione come sopra e il frontespizio la dedica, la protesta dell’autore, l’indice, l’approvazione e l’intento dell’opera. Riportiamo l’approvazione:

Noi Riformatori dello Studio di Padova. Avendo veduto per la fede di revisione, ed approvazione del P. Fra Gio. Paolo Zapparella Inquisitor generale del santo Officio di Venezia nel libro intitolato Apparecchio alla morte, cioé considerazioni sulle massime eterne ecc. opera del R. P. D. Alfonso de Liguori etc. non v’esser cosa alcuna contro la santa fede cattolica, e parimente per attestato del segretario nostro, niente contro Principi, e buoni costumi, concediamo licenza a Giambattista Remondini Stampator di Venezia che possi essere stampato, osservando gli ordini in materia di stampe, e presentando le solite copie alle pubbliche Librerie di Venezia, e di Padova.

Dat. li 13 Marzo 1759.

Gio. Emo Proc. Reff. Z. Alvise Mocenigo IV Reff.

 

Registrato in libro a carte 2 al num. 7. Gio. Girolamo Zuccato Seg.

Addì 15 Marzo 1759.

Reg. nel Mag. degli Esec. contro la best. Gio. Pietro Dolfin Seg. (39).

 

Il testo delle 35 considerazioni (pp. 406) è seguito dai nove discorsi sui flagelli (pp. 407-516), autorità di Scritture e SS. Padri (pp. 517-522), regolamento di vita d’un cristiano (pp. 523-529), elenco di opere dell’autore (pp. 534-535). A p. 533 si legge Il Fine.

L’esemplare, pare unico, di questa edizione giace a Tropea (Catanzaro) nella biblioteca dei pp. Redentoristi.

 

c. Edizione Raimondi 1760:

Apparecchio / alla/ morte – cioé / Considerazioni / sulle Massime eterne..... (come nell’ed. precedente). In Napoli MDCCLX. Presso Giuseppe Raimondi. Con licenza de' Superiori. A spese di Cristoforo Migliaccio, e dal medesimo si vendono nella sua Libreria a S. Biagio de' Librari. (In-12; pp. XII-516).

 

Alle 12 pagine preliminari senza numerazione fanno seguito le XXXV considerazioni (p. 385), i discorsi (pp. 386-489), le autorità (pp. 490-495), l’elenco bibliografico (pp. 495-497), gli atti divoti (pp. 497-498), la protesta (pp. 498-500), il regolamento (pp. 500-510), le virtù in cui dee esercitarsi un’anima (pp. 510-516).

A proposito di questa ristampa s. Alfonso notificò a Remondini il 10 febbraio 1759: “Ho pensato di mandarle subito il libro dell’Apparecchio alla morte, perché questo libro ha pigliato gran nome in Napoli in modo che essendo da poco uscito ma senza privilegio, come sento, già lo vogliono ristampare in Napoli; ma io procurerò d'impedirlo” (40). L’astuto libraio Migliaccio, munitosi dell’approvazione regia, che collocò dopo l’indice “Die 22 februarii 1760. Reimprimatur. Fraggianni. Carulli”, riprodusse senza variazioni il testo dell’ed. del 1758.

 

d. Edizione del Museo di Bassano (1761):

Apparecchio – alla – morte / cioé Considerazioni / sulle Massime eterne / utili a tutti per meditare, ed a' Sacerdoti / per predicare. (In-12; pp. 406).

 

Come abbiamo esposto nella Introd. generale (41), l’autore avendo ideato l’Opera omnia, rivide nel 1761 l’Apparecchio alla morte sopra una copia del 1758. Semplificò il frontespizio e scrittolo di proprio pugno l’incollò all’Intento in modo da espungere dedica, approvazioni, protesta, elenco di opere ed indice; nel nuovo disegno stabilì di porre l’indice al termine del volume. Dopo la cons. XXII ne inserì un’altra manoscritta circa gl’inganni che il demonio mette in mente ai peccatori; la cons. XXIII sul giudizio particolare divenne XXIV, e così le considerazioni vennero portate da 35 a 36. Le due considerazioni XXIII e XXIV sono andate smarrite come si osserva nella copia originale, mancante delle pp. 241-250, custodita nel  Museo Civico di Bassano (126. A. 2).

In questa revisione rimasta in parte inedita, s. Alfonso eliminò pure i 9 discorsi sui flagelli con i successivi opuscoletti, pensando di sistemarli in altra sezione della progettata collezione, che non fu realizzata.

 

e. Edizione di Dimenico 1762:

Apparecchio – alla – morte / cioé Considerazioni / sulle Massime eterne. / Utili a tutti per meditare, ed a' Sacerdoti / per predicare. / Opera del Rev. Padre / D. Alfonso de Liguori/ Rettor Maggiore della Congregazione/ del SS. Redentore. / In fine vi sono aggiunti nove Discosi/ per predicare in occasione de' flagelli. / Terza edizione./ Corretta ed accresciuta dall’autore. / In Napoli MDCCLXII / Nella Stamperia di Giuseppe di Domenico / Ed a spese di Michele Stasi, e dal medesimo / si vendono a S. Biagio de' Librari. / Con licenza de' Superiori. (In-12; pp. XII-556).

 

Le prime 12 pagine non numerate contengono frontespizio, dedica, protesta, elenco di opere, indice e intento. Segue il testo delle XXXVI considerazioni (p. 417), dei nove discorsi (pp. 418-528), delle autorità bibliche, atti divoti, protesta per ben morire, regolamento, virtù in cui dee esercitarsi un'anima (pp. 528-556).

Sant’Alfonso, prescindendo dalla copia riveduta per l’Opera omnia, ritornò sulla prima ed. napoletana, la corresse ed accrebbe di un’altra considerazione, la XXIII, intitolata: Inganni che il demonio mette in mente dei peccatori, probabilmente uguale a quella inviata manoscritta a Remondini. Non variò l’ordine degli opuscoletti né tolse alcun tratto; chiamò questa ristampa “terza edizione” in rapporto alla I napoletana e all’altra veneta, non tenendo conto, presumiamo, di quella messa in commercio nel 1760 da Raimondi.

 

f. Edizione de Santis 1766:

Apparecchio / alla / morte / cioé / Considerazioni.... (come nell’ed. antecedente). Quarta edizione. Corretta, ed accresciuta dall’Autore. In Napoli MDCCLXVI. Nella Stamperia di Felice de Santis. Con licenza de' Superiori. (In-12; pp. 552).

È una semplice ristampa del testo del 1762, sembra, senza previa intesa dell’autore, del quale è omesso nel frontespizio il titolo di vescovo: il 20 giugno del 1762 era stato elevato alla cattedra episcolale di Santa Agata dei Goti.

 

g. Edizione Remondini 1767:

Apparecchio / alla / morte / cioé / Considerazioni / sulle Massime eterne. / Utili a tutti per meditare, ed a' Sacerdoti / per predicare. / Opera dell’Illustriss. e Reverendiss. Mons. / D. Alfonso de' Liguori / Vescovo di Santagata de' Goti, / e Rettor Maggiore della Congregazione del / SS. Redentore. / In fine vi sono aggiunti nove Discorsi per / predicare in occasione di flagelli. / Nella Stamperia di Bassano, / MDCCLXVII. / A spese Remondini. / Con licenza de' Superiori, e privilegio. (In-12; pp. 560).

Vi è una sola numerazione: le prime 12 pagine contengono dedica, protesta, indice, approvazione e intento. A p. 13 comincia il testo delle XXXVI considerazioni (pp. 13-429) seguito dai discorsi, autorità, regolamento, atti divoti, protesta per ben morire, altra protesta della morte, orazione per la buona morte, opere date in luce dall’autore (pp. 430-560). In fondo alla pag. 558 si legge: “Corretto da D. Sebastiano Menchetti,e  D. Francesco Gualtieri” (42).

 

Riportiamo l’approvazione che giace a p. 9:

Noi Riformatori dello Studio di Padova concediamo licenza a Gio. Battista Remondini stampator di Venezia di poter ristampare il libro intitolato: Apparecchio alla morte, ecc. Opera dell’Illustriss. e Reverendiss. Mons. D. Alfonso de' Liguori, ecc., osservando gli ordini soliti in materia di stampe, e presentando le copie alle pubbliche Librerie di Venezia, e di Padova.

Dat. li 30 Marzo 1767, Sebastian Zustinian Rif., Andrea Tron Cav. Rif., Girolamo Grimani  Rif. Registrato in Libro a carte 311 al num. 2083. Davidde Marchesini Segr.

 

h. Edizione di Bisogno 1769:

Apparecchio / alla / morte / cioé / Considerazioni....(come nell’ed. del 1766). Quinta edizione. Corretta, ed accresciuta dall’autore. In Napoli MDCCLXIX. Nella Stamperia di Giuseppe di Bisogno. Con licenza de' Superiori. (In-12; pp. XII-552).

Questa ristampa non differisce dalla napoletana del 1766 se non forse per i caratteri, che appaiono più nitidi. Non dovette venire autorizzata da sant’Alfonso, del quale è ignorata nel frontespizio la dignità vescovile (43).

 

i. Edizione Stasi 1772:

Apparecchio / alla / morte / cioè / Considerazioni.... (come sopra). Quinta edizione corretta, ed accresciuta dall’autore. In Napoli MDCCLXXII. A spese di Michele Stasi, e dal medesimo si vendono a S. Biagio de' Librari. Con licenza de' Superiori, e privilegio. (In-12; pp. XII-552).

È conforme alla precedente edizione anche nel numero delle pagine (44).

L’autore non dovette essere estraneo, avendo permesso che Stasi ottenesse il privilegio di stampa.

 

l. Edizione Orsini 1777:

Apparecchio / alla / morte / cioé / Considerazioni / .... (come sopra). Sesta edizione..... In Napoli MDCCLXXVII. Nella Stamperia di Vincenzo Orsini. A spese di Michele Stasi, e dal medesimo si vendono a S. Biagio de' Librari. Con licenza de' Superiori, e privilegio. (In-12; pp. XII-552).

Non differisce dalla ed. precedente se non per qualche lieve ritocco.

 

m. Edizione Remondini 1778:

Apparecchio / alla / morte / cioé / Considerazioni- .... (come sopra). In Bassano MDCCLXXVIII. A spese di Remondini di Venezia. (In-12; pp. 560) (45).

 

n. Edizione Stasi 1780:

Apparecchio / alla / morte / cioé / Considerazioni- ...... (come sopra). Settima edizione corretta ed accresciuta dall’autore. In Napoli MDCCLXXX. A spese di Michele Stasi, e dal medesimo si vendono a S. Biagio de' Librari. Con licenza de' Superiori e privilegio. (In 12; pp. XII-552).

La disposizione della materia è uguale all’ed. del 1762: il testo però presenta diverse varianti. Le fonti delle citazioni bibliche e patristiche sono chiuse tra parentesi tonde con un’accuratezza che non si riscontra nelle precedenti ristampe napoletane e remondiniane (46).

 

o. Edizione Stasi 1782:

Apparecchio / alla / morte / cioé / Considerazioni / .... (come sopra). Ottava edizione. Napoli MDCCLXXXII. A spese di M. Stasi. (In/ 12; pp. 552).

È uguale alla ristampa del 1780 (47).

 

p. Edizione Remondini 1782:

Apparecchio / alla / morte / cioé / Considerazioni / .... (come sopra). Opera dell’Illustriss. e Reverendiss. Mons. D. Alfonso de' Liguori già Vescovo di Santagata de' Goti e Rettor Maggiore della Congregazione del SS. Redentore....... In Bassano MDCCLXXXII. A spese Remondini di Venezia. Con licenza de' Superiori, e privilegio. (In-12; pp. 502).

Corrisponde all’ed. del 1767 nella disposizione della materia con la omissione del solito elenco bibliografico. Il testo ha qualche variante.

A p. 9 si legge l’approvazione seguente:

Noi Riformatori dello Studio di Padova concediamo licenza a Giuseppe Remondini, stampator di Venezia di poter ristampare il libro intitolato: Apparecchio alla morte, cioé Considerazioni ecc. di Monsignor D. Alfonso de' Liguori ecc. ristampa, osservando gli ordini soliti in materia di stampe, e presentando le copie alle pubbliche Librerie di Venezia, e di Padova.

Dat. li 22 luglio 1782.

Niccolò Barbarigo Rif., Alvise Contarini II Cav. Proc. Rif. Registrato in Libro a carte 50, al num. 477. Davidde Marchesini Segr. (48).

 

q. Edizione Soffietti 1785:

Apparecchio / alla- morte / cioé / Considerazioni / ..... [come sopra]. Torino MDCCLXXXV. Presso Ignazio Soffietti Stampatore. Giuseppe Rameletti Libraio (In-12; pp. 444) (49)

Il testo viene dall’ed. remondiniana del 1782.

 

r. Edizione Remondini del 1782

Apparecchio / alla / morte / cioé / Considerazioni- ..... [come sopra]. In Bassano MDCCLXXXVII. A spese di Remondini di Venezia. (In- 12; pp. 502).

È uguale alla ristampa del 1782.

 

 

Stasi, che godeva della privativa di stampa, continuò a Napoli a riprodurre il libro secondo il testo del 1780, come nell’ed. IX del 1791.

Anche Remondini mise fuori nuove ristampe nel 1788, 1792, 1796, 1807, 1812? 1817, 1821, 1826, 1831, attenendosi invariabilmente al testo del 1782. Nelle edizioni del 1842-1847 sistemò l’indice al termine del volume.

Antonelli ristampò a Venezia l’Apparecchio alla morte in due tometti nel 1832-1833, ritenendo solo le 36 considerazioni del testo remondiniano, precedute dalla dedica e dall’intento dell’opera; rimandò il resto ad altri tometti.

Mentre a Napoli il Gabinetto letterario riproduceva nel 1837-1841 l’edizione di Stasi, Poggioli a Roma si atteneva a Remondini nel testo e nell’ordine degli opuscoletti. Per tal via si andarono affermando le due tradizioni testuali; ciascuna andò avanti per conto proprio.

Nella seconda metà dell’Ottocento i tipografi ristamparono indifferentemente Remondini o Stasi, non badando alle correzioni apportate dall’autore.

Marietti di Torino poi ritoccò il testo con gusto letterario discutibile, distribuendo gli opuscoletti con vedute personali: nel II vol. della Collezione delle Opere Ascetiche (Torino 1887) fece seguire la dedica, l’intento e le 36 considerazioni dalla preghiera per la buona morte di altro autore (pp. 5-176); pose i  nove Discorsi sui flagelli nel III vol. (pp. 618-666); gli Atti divoti in un testo più prolisso nel I vol. (pp. 863-864), ed ivi anche la Protesta per ben morire (873), l’altra Protesta (873-875), il Regolamento di vita (887-891) e il Ristretto delle virtù in cui deve esercitarsi un'anima per far vita perfetta e farsi santa (893-897).

Il titolo dell’ultimo opuscoletto appare alterato: s. Alfonso stampò in appendice della Pratica di amar G. Cristo (Napoli 1768) il Ristretto delle virtù dichiarate nell’opera che dee praticare chi ama G. Cristo, e nell’Apparecchio alla morte le Virtù in cui dee esercitarsi un’anima per far vita perfetta. Sono due brani distinti.

San Giovanni Bosco ebbe assai caro l’Apparecchio alla morte e lo propagò ampiamente; per renderlo proficuo ad un numero maggiore di anime fece trasportare a pie’ di pagina le citazioni latine, introducendo nel testo la versione relativa (50). Nel sec. XX tale metodo è stato adottato nelle varie ristampe paoline, di cui la migliore è la IX (Pescara 1961).

 

Recentemente, nel 1956, l’Editrice Gregoriana di Padova ha inserito nel testo la traduzione italiana delle citazioni latine senza riportarle in fondo alla pagina, ed ha ammodernato parole e frasi antiquate con premura di lasciare intatto il senso voluto dall’autore.

 

 

4. APPARECCHIO ALLA MORTE PICCOLO.

 

Né sembra superfluo rilevare che S. Alfonso pubblicando l’Apparecchio alla morte, nel medesimo 1758 curò un'edizione ridotta del libro che appellò Apparecchio alla morte picciolo, a proposito del quale De Meulemeester scrive: “D’après Romano (p. 156) (51), S. A. fit publier une édition abregée ne contentant que les dix premières méditations sous le titre de Apparecchio alla morte picciolo. Nous n’en avons retrouvé aucun exemplaire”. (52).

Più fortunati siamo stati noi, avendone rintracciata una copia, che è forse l’unica superstite e si trova nella biblioteca generale redentorista di Roma (X. 133. a.):

Apparecchio / alla / morte / Operetta divota / dell’Illustriss. e Rev. Mons. / D. Alfonso de Liguori / Vescovo, e Rettor Maggiore / della Congregazione del / SS. Redentore. / In Napoli 1791. / Con licenza de' Superiori”- pp. 264, in-24).

Contiene le prime 10 considerazioni del libro grande (pp. 5-184): 1. Ritratto d’un uomo da poco tempo morto; 2. Colla morte finisce tutto; 3. Brevità della vita; 4. Certezza della morte; 5. Incertezza della morte; 6. Morte del peccatore; 7. Sentimenti d’un moribondo; 8. Morte de' giusti; 9. Pace d’un giusto che muore; 10. Mezzi per apparecchiarsi alla morte.

Seguono: Sette meditazioni sulla Passione di G. Cristo (pp. 184-226); Atti da farsi ogni mattina (226-228); Atti cristiani per la sera (228-231); Atti prima e dopo della Confessione (231-234); Atti prima e dopo della Comunione (234-243); Atti nel visitare il SS. Sagramento (243-245); Atti nel visitare Maria SS. in qualche sua immagine (245-247); Regole per ben vivere (247-249); Modo di sentir la Messa (249-251); Orazioni a Maria SS. per ogni giorno della settimana (251-263); Indice (263-264).

 

Come si constata, s. Alfonso compilò l’Apparecchio alla morte piccolo come una specie di “filotea” per coltivare nelle anime la vita cristiana.

Il testo di queste dieci considerazioni, eccetto lievi omissioni, che non possiamo stabilire se provengono dall’autore o dal tipografo, risponde sostanzialmente a quello conosciuto del volume grande.

 

 

5. ELENCO DI EDIZIONI ITALIANE

 

1. 1758, Napoli (Giuseppe di Domenico).

2. 1759, Venezia (Giovanni Remondini).

3. 1760, Napoli (Giuseppe Raimondi, a spese di Cristoforo Migliaccio).

4. 1762, Napoli, III ed. (G. di Domenico, a spese di Michele Stasi).

5. 1766, Napoli, IV ed. (Felice de Santis).

6. 1767, Bassano (G. Remondini).

*7. 1769, Napoli, V ed. (Giuseppe di Bisogno).

*8. 1772, Napoli, V ed. (Michele Stasi).

9. 1777, Napoli, VI ed. (Vincenzo Orsini, a spese di M. Stasi).

*10. 1778, Bassano (G. Remondini).

*11. 1780, Napoli, VII ed. (M. Stasi).

*12. 1782, Napoli, VIII ed. (M. Stasi).

13. 1782, Bassano (G. Remondini).

*14. 1785, Torino (Ignazio Soffietti).

15. 1787, Bassano (G. Remondini).

*16. 1788, Bassano (G. Remondini).

17. 1791, Napoli, IX ed. (M. Stasi).

*18. 1792, Napoli, X ed. (G. di Bisogno).

19. 1792, Bassano (G. Remondini).

*20. 1796, Napoli, XI ed. (tip. Gregorio Magno).

*21. 1796, Bassano (G. Remondini).

*22. 1801, Venezia (Giuseppe Rossi).

*23. 1802, Napoli, XII ed. (tip. Gregorio Magno).

24. 1807, Bassano (G. Remondini).

25. 1809, Torino (Pomba).

26. 1812, Bassano (G. Remondini).

27. 1814, Roma (Vincenzo Poggioli).

*28. 1817, Bassano (G. Remondini).

29. 1817, Napoli (Giovanni De Bonis).

30. 1819, Milano (Agnelli).

*31. 1820, Torino (Pomba).

32. 1821, Bassano (G. Remondini).

33. 1821, Lucca (Baronio).

34. 1822, Brescia (Passini).

35. 1824, Napoli (G. De Bonis).

36. 1825, Monza (Luca Corbetta).

37. 1825, Torino (Giacinto Marietti).

38. 1826, Bassano (Remondini).

39. 1827, Milano (Bonfanti).

40. 1829, Roma (Bourlié).

41. 1829, Napoli (G. De Bonis).

42. 1831, Milano (Pogliani).

43. 1831, Bassano (Remondini).

44. 1831, Torino (Marietti).

*45. 1832, Bassano ( G. Remondini).

46. 1832-33, Venezia (Antonelli).

47. 1835, Venezia (Molinari).

48. 1835. Milano (Vismara).

49. 1836, Milano (Agnelli).

50. 1836, Torino (Canfari).

51. 1836, Bassano (Remondini).

*52. 1837, Napoli (Gabinetto letterario).

53. 1837, Roma (tip. S. Maria degli Angeli).

54. 1839, Monza (Corbetta).

55. 1840, Novara (Crotti).

56. 1841, Napoli (Gabinetto letterario).

57. 1842, Bassano (Remondini).

58. 1842, Ancona (Pietro Aureli).

59. 1842, Bergamo (Mazzoleni).

*60. 1843, Ancona (Aureli).

61. 1843, Napoli (Gabinetto letterario).

62. 1844, Brescia (Gilberti).

63. 1844, Brescia (Minerva).

64. 1844, Torino (G. Marietti).

65. 1844. Novara (Crotti).

66. 1844, Vigevano, II ed. (Vitali).

67. 1845, Torino (G. Marietti).

68. 1846, Torino (G. Marietti), II ed. stereotipa.

69. 1847, Lodi (Wilmant).

*70. 1847, Bassano (Remondini).

71. 1851, Roma (tip. Belle Arti).

72. 1852, Roma (Gaetano Bertinelli).

*73. 1852, Milano (Bonfanti).

74. 1853, Roma (G. Bertinelli).

75. 1853, Milano (Giocondo Messaggi).

76. 1854, Bassano (Remondini).

*77. 1854, Napoli (Gaetano Nobile).

78. 1855, Roma (tip. Tiberina).

*79. 1856, Brescia (Gilberti).

80. 1856, Roma (tip. Tiberina).

81. 1856, Bassano (Remondini).

82. 1856, Napoli (G. Nobile, edizione stereotipa.

83. 1856, Torino (Marietti).

*84. 1858, Milano (G. Messaggi).

*85. 1860, Milano (Mariano Salvatore).

*86. 1863, Napoli (G. Pelella).

87. 1864, Milano, ed. II. (Pogliani).

*88. 1864, Milano (G. Messaggi).

*89. 1864, Roma.

90. 1864, Modena ( tip. Immacolata Concezione).

*91. 1867, Torino (Marietti).

92, 1871, Napoli (Uffizio dei libri ascetici).

*93. 1873, Torino (Marietti).

94. 1876, Milano (Messaggi).

*95. 1877, Milano (Messaggi).

*96. 1877, Torino (Marietti).

97. 1877, S. Pier d’Arena (tip. S. Vincenzo).

98. 1879, Torino, ed. III (Libreria Salesiana) con traduzione dei passi latini.

99. 1879, Roma, ed. III (tip. Propaganda Fede).

*100. 1880, Torino (Marietti).

101. 1881, Milano (Pogliani).

102. 1885, Napoli (Rondinella).

103. 1886, Napoli, ed. II (Rondinella).

*104. 1887, Torino (Marietti).

105. 1889, Casale, ed. V (Pane).

106. 1890, Roma (tip. Propaganda Fede).

*107. 1890, Napoli (Festa).

*108. 1890, Napoli (Cimmaruta).

109. 1891, Torino (Libreria Salesiana).

110. 1893, Napoli (Festa).

*111. 1895, S. Pier d’Arena (Libr. Salesiana).

112. 1903, S. Pier d’Arena (Libr. Salesiana).

*113. 1905, S. Pier d’Arena (Libr. Salesiana).

*114. 1907, Napoli (Festa).

115. 1910, Napoli (Festa).

116. 1912, S. Pier d’Arena (Libr. Salesiana).

*117. 1918, Torino (Libr. Salesiana).

118. 1919, Torino (Scuola tip. Salesiana).

119. 1921, Torino (Libr. Salesiana).

120. 1926, Mantova (Begnozzi).

121. 1930, Alba (Società S. Paolo).

122. 1933, Torino (Società Editrice Internazionale).

*123. 1937, Alba (Soc. S. Paolo).

124. 1943, Alba (Soc. S. Paolo), copie 10.000.

125. 1956, Padova (Editrice Gregoriana).

126. 1956, Pescara, ed. VII (Soc. S. Paolo).

127. 1957, Pescara, ed. VIII (Soc. S. Paolo).

128. 1961, Pescara, ed. IX (Soc. S. Paolo).

 

L’asterisco collocato al lato sinistro indica le edizioni (n. 39) mancanti nella Bibliographie del p. M. De Meulemeester, vol. I (Louvain 1933), pp. 96-97, e nel supplemento incluso nel vol. III (Louvain 1939), p. 207.

A proposito delle ristampe ottocentesche il citato bibliografo (I, 97) ammette una edizione fatta a Torino nel 1847 dalla Libreria Salesiana ed un'altra, detta II, a S. Pier d’Arena (Tip. S. Vincenzo) nello stesso anno. Ma queste due edizioni non sono esistite, perché l’ospizio Salesiano di S. Pier d'Arena in Genova ebbe inizio l’11 novembre 1872 e poco dopo vi fu annessa la Tip. S. Vincenzo con la scuola tipografica degli Artigianelli. Nel 1877 sorse a Torino la Libreria Salesiana, che si rese tanto benemerita della diffusione dei libri di S. Alfonso. L’intestazione di S. Pier d'Arena, Tip. S. Vincenzo o Libreria Salesiana non significa ristampe diverse: la sede ch’era a Torino organizzava il lavoro, facendolo eseguire a S. Pier d’Arena o altrove.

Notizie circa le ristampe del 1905 e del 1918 sono fornite dall’Elenco delle opere pubblicate dalla Tip. Salesiana dal 1882 al 1926, manoscritto conservato a Torino nell’archivio del Capitolo superiore della Soc. Salesiana, che ci ha cortesemente additato il rev. don. Pietro Stella, S D B, esperto in materia.

Il menzionato bibliografo riporta pure una ed. VI di Orsini (Napoli 1877) e un’edizione di Soffietti (Torino 1885): sono evidenti anacronismi; la VI di Orsini è del 1777 e l’altra del Soffietti è del 1785.

Riteniamo incompleta anche la nostra lista: non ci è riuscito di rintracciare parecchie edizioni certamente curate, come per es. delle 5 apparse a Casale  ignoriamo le prime 4.

Sovente di tutta una edizione, specie del '700 e della prima metà dell’Ottocento, ci è giunta casualmente una sola copia. Per mancanza di dati sicuri non abbiamo catalogato qualche ristampa, come quella comparsa intorno al 1789 a Torino presso il libraio Francesco Prato (53) e l’altra uscita in Catania verso il 1782  (54).

 

 

6. CRITERI PARTICOLARI

 

Venendo all’applicazione delle norme delineate per la restituzione del testo additiamo i criteri che più da vicino riguardano l’Apparecchio alla morte, di cui è mancata sino ad oggi una edizione valida.

 

A. - Apparato critico.

Nelle numerose ristampe succedutesi con scopi pratici si scopre agevolmente una duplice tradizione testuale, mista per giunta: alcuni tipografi dell’ottocento e un po’ del novecento han riprodotto il napoletano di Domenico del 1762, altri invece Remondini del 1759 oppure del 1767 con le deficienze inerenti. Accade di leggere in edizioni non remote espressioni che l’autore aveva magari aggiustate od espunte sin dalla III ristampa. Ed è colto per tal via in contraddizione con se stesso per colpa degli incauti editori, che si sono del tutto disinteressati del problema critico.

Il nostro sforzo mira nella varietà delle lezioni a giungere al testo che s. Alfonso intese divulgare come definitivo.

Non possedendo né il manoscritto né le prime bozze di stampa, muoviamo dalla I edizione del 1758, vagliandone passo passo l’evoluzione con paziente collazione. Teniamo presenti le postille autografe del 1761, incorporate parzialmente nella III ristampa del 1762, che secondo la valutazione bibliografica rappresenta una tappa significativa.

Non sono lasciate in disparte le ristampe remondiniane del 1759, del 1767 e del 1782, nelle quali occorre sceverare quanto appartiene ai correttori designati dai riformatori dello studio di Padova. Trascuriamo però quelle napoletane intermedie come Raimondi 1760, de Santis 1766, Bisogno 1769, che ripetono appena l’ed. del 1758 o quella del 1762, quando non le peggiorano per la fretta a causa della clandestinità con cui furono curate.

Per diversi suoi aspetti è da ritenersi fra tutte positiva la VII ed. napoletana del 1780, che mettiamo a base del nostro apparato critico. È la più esatta come abbiamo sottolineato nel paragrafo delle correzioni e in quello della descrizione bibliografica. Stasi col privilegio esclusivo della stampa del libro si era creato a Napoli un monopolio. Il Santo non poté servirsi che di questo tipografo per apportare secondo il suo costume ulteriori miglioramenti al volume. Né osta l’età senile: s. Alfonso nel 1780, ottantatreenne, era ancora efficiente dal lato intellettuale, come provano abbastanza le peripezie religiose, alle quali tenne dietro con sagace fermezza, e la sua corrispondenza epistolare.

Non ci appoggeremo però sull’ed. del 1780 con cieca fiducia: quando non ci riuscirà di avere un’assoluta certezza del testo, almeno secondo la tradizione tipografica, la seguiremo cautamente.

Le varianti corrispondono alle correzioni sicure o probabili dell’autore; passiamo in silenzio quelle di niun valore e le semplici trasposizioni di parole; gli errori evidenti vengono trasandati ma non le alterazioni, che destano qualche interesse letterario. Accenniamo senza indulgere troppo alle modificazioni degli stampatori, come a gastigo  per castigo; gastigare e derivati per castigare, che Stasi introdusse sistematicamente in tutto il volume. S. Alfonso, come risulta da altre stampe e dagli autografi, scriveva: castigo (55). È parimenti alfonsiano cercare, che Remondini cambiò quasi sempre in chiedere (56).

Riduciamo alla grammatica del Santo quei termini che s’incontrano stampati differentemente, come deve per dee, inoltre, per in oltre, per il invece di per lo, ecc. In questi e consimili casi è d’altronde palese la volontà dello scrittore contro l’iniziativa dei tipografi, non di rado discordi tra loro (57). S. Alfonso non tollerò né ammise questi adattamenti linguistici neppure in Remondini.

 

B. - Citazioni.

Sotto l’apparato critico corrono le citazioni e le note storiche o giustificative dell’editore.

Quando consta o è sorto il sospetto circa il testo di seconda mano, abbiamo interrogato innanzi tutto le Selve, i Sentenziari,  e le Biblioteche predicabili, risalendo da queste alle fonti originarie (58). Non bisogna tuttavia credere che la massa dei testi e degli aneddoti scaturisca di lì. Con la debita cautela abbiamo cercato di battere l’intricato itinerario alla luce costruttiva degli studi preliminari, non nascondendoci le insufficienze di un  tale settore. Il Santo si avvaleva dei libri che aveva sotto mano, ma tante volte gli riusciva meno scomodo il ricorso alla fonte principale come per s. Bernardo, s. Teresa, s. Francesco di Sales, ecc. Senza dubbio alcune espressioni di questi autori si ritrovano in due, tre e più libri del Seicento e del primo Settecento oltre che in Florilegi, Raccolte, Diari sacri ed Alfabeti: ciò non dispensa da una verifica minuziosa. Ogni citazione in quanto alla forma mediata o immediata presenta una sua questione, che non si dirime con teorie prefabbricate. Occorre non perdere d’occhio le norme dello scrittore e decifrarne le abitudini senza apriorismi per sfuggire a sorprese incresciose. Gli abbagli sono sempre possibili in questo campo irto di difficoltà, mai affrontate con serietà per l’addietro.

 

Nei limiti contingenti sono state frugate le edizioni custodite nelle librerie di Ciorani e di Pagani, che furono gli strumenti familiari del lavoro redazionale di s. Alfono. Quantunque manomesse nel periodo dei rivolgimenti politici (1799) e poi durante la soppressione dei religiosi (1866), forniscono ancora notevoli sussidi per esplorazioni oggettive (59). In esse, per esempio, si conservano due opere piuttosto rare, da cui estrasse appunti per l’Apparecchio alla morte: il Santero (cons. IX, 2) e il Gisolfo (cons. XXII, I) (60). Non sono al solito indicati i luoghi precisi, ma è chiara la lettura personale.

Dove la citazione è vaga, accumuliamo più testi per accertare la fonte più vicina, per quanto è possibile.

Se lo scrittore, fidandosi della memoria, riporta il concetto d’un autore con le parole di un altro, mettiamo ambedue le fonti, come nella cons. XXII, 3 è citato s. Bernardo con una frase di s. Agostino.

Talvolta è dato in italiano, parafrasato, un pensiero patristico con appena un paio di parole latine: ridiamo intero il brano, come nella cons. XVII, 2 a proposito di s. Gregorio Magno. Sono segnalate anche le sviste come a proposito del famoso testo attribuito a s. Agostino: “Quot cives, tot reges” (cons. XXIX, 2).

Capita d’imbattersi davanti a fusione di elementi disparati in unica citazione: riportiamo due o più fonti probabili che li comprendono, come nella cons. XI, I circa l’anonima benedettina e il merito d’un’Ave Maria.

Altre volte il testo è stato sicuramente ricavato dalla propria fonte, ma s. Alfonso lo allega in forma indiretta per non spezzare, supponiamo, il filo del discorso: tipico il caso di una citazione della autobiografia di s. Teresa, che apprendiamo incidentalmente da una nota autografa.

 

S. ALFONSO

(Agr, Sam, III, 266)

S. TERESA

(Vita, c. 36; Op. spir., I: Venezia 1678, 145; 1680, 145):

 

S. Teresa scrive p. 145 che si sentiva consolare, quando sentiva suonare l’orologio, parendole che s’accostasse a vedere Dio per esser passata quell’ora di vita. - Parole sue.

 

Signore, o morire, o patire, non vi chiedo io altra cosa per me. Sento consolarmi, quando odo suonare l’orologio parendomi che mi accosto un pochino più a vedere Dio, per esser passata quell’ora di vita.

 

 

È evidente che s. Alfonso non ha preso il testo da fonte di seconda mano, ove può leggersi ugualmente, come per esempio in De Barry, Trattenimenti di Filagia, tratt. 43, Bologna s. a., 469; oppure nella Pratica di aiutare a ben morire, Firenze 1735, 72. La visione delle Opere spirituali di s. Teresa è stata invece immediata; ma egli ha accomodato le parole nel riferirle (cons. VIII, 2). La pag. 145 inserita nel menzionato appunto risponde alle ristampe venete: l’ed. del 1678 è a Ciorani, quella del 1680 a Pagani.

Nello stesso foglio autografo 266 trovasi un’altra citazione che proviene da lettura diretta: “March. 21 ottobre: Gesuchristo rivelò a s. Matilde: che quante Messe avesse inteso tanti Santi l’avrebbe mandati ad assistere alla morte”. Il riferimento è certamente laconico e un po’ enimmatico. Orbene non si tratta del p. Domenico Marchese domenicano che pubblicò in sei volumi a Napoli nel 1668-1681 il Sagro Diario Domenicano, ma del p. Francesco Marchese oratoriano, autore del Diario sacro mariano in 4 volumi e del Pane quotidiano dell’anima cioé esercitii divoti per ciascun giorno in sei volumi, Roma 1681, ognuno dei quali comprende 2 mesi con propria paginazione: nel V, p. 183, 21 ottobre, si legge: “Stante che il Signore promise a Santa Metilde che le haverebbe mandato tanti Santi del Paradiso ad assisterle alla morte, quante Messe avesse divotamente udite”. S. Alfonso nel suo appunto ha compendiato, prendendo dal Marchese soltanto gli elementi essenziali.

Il medesimo testo si legge in G. Sarnelli (La via facile, e sicura del paradiso, tratt. sopra la Messa, cons. VII; II, Napoli 1738, 286): è possibile che s. Alfonso l’abbia passato, come in altre occasioni, al discepolo, il quale però ampliandolo l’ha alterato: “Così disse il Signore a S. Metilde: Sappi figliuola, ch’io manderò tanti santi per assistere a' divoti della messa in morte, acciò li difendano, e gli aiutino a ben morire, per quante messe avranno divotamente ascoltate”. Ma circa la collaborazione di s. Alfonso e del vener. Sarnelli vedi in questo volume la premessa delle Massime eterne.

Ci siamo applicati intensamente per identificare i libri posseduti dal Santo, aiutandoci con l’epistolario, che forse non è stato sinora apprezzato come si richiede. Non è privo di significato il fatto che gran parte delle opere citate nell’Apparecchio alla morte sussistono ancora nelle biblioteche di Ciorani e di Pagani.

L’autore, formidabile leggitore, spesso in un inciso spassoso ci permette d’intravedere i libri avuti sul tavolo, comunicandone una stringata recensione ai destinatari della propria corrispondenza. Ci limitiamo a segnalare gli scrittori che figurano in questo volume.

Scriveva delle opere di s. Pier Damiani: “non sono gran cose”; e di quelle di s. Tommaso da Villanova: “sono belle assai” (61). Lodava Rodriguez e Saint-Jure (Sangiuré): “questi libri sono propri per fare una persona santa” (62) e di Nepveu affermava: “tratta divinamente anche dell’amor di Gesù Cristo” (63). Al vecchio babbo Giuseppe de Liguori consigliava di leggere Le verità eterne di Rosignoli e le Massime eterne di Cattaneo, ecc. (64).

È vero, la messe non è abbondante, perché l’autore non voleva far colpo sulla immaginazione degli amici come erudito, e molte lettere sono smarrite. Gli addentellati contribuiscono a spianare la via per approfondire il tema della documentazione in maniera concreta. Non parlava per sentito dire: uomo discreto e di buon senso scansava di pronunziare pareri su scrittori senza un previo contatto. Per noi quelle allusioni sono indici di fonti confrontate, anche se le citazioni non compaiono organizzate tecnicamente. Su questo lato, che è il più vulnerabile della stesura delle sue opere ascetiche, non ubbidiva ad una disciplina severa come da tempo è stato posto in rilievo, per cui ci costringe ad enormi investigazioni, a volte sterili, per rintracciare in debita sede i singoli luoghi.

Tale in sintesi è il procedimento, che subirà opportuni cambiamenti qualora l’esiga la posizione: le complicazioni nuove non difetteranno nella sterminata serie di citazioni sunteggiate, arrotondate o falsamente attribuite.

Non abbiamo la pretesa di aver risolte tutte le questioni affiorate nel ginepraio; permangono incertezze di fonti e testi inafferrabili, come “Videbit unusquisque quod fecit” di s. Girolamo (cons. XXIV, 2). Non ostante diuturni riscontri e discussioni con specialisti in materia sono riuscite negative le ricerche per assicurare la paternità di qualche frase, che molti ripetono con disinvoltura, come quella posta sulle labbra di Elisabetta regina d’Inghilterra (m. 1603), che avrebbe rinunziato al paradiso per 40 anni di regno (cons. XXVIII, 3). Qualcuno pensa che sia quasi inutile domandare ai libri tale testo, stimando che provenga dalle prediche ascoltate dal Santo in giovinezza nelle chiese dei Gesuiti o dei Lazzaristi. L’ipotesi è ingegnosa. Noi riteniamo che egli l’abbia ricavato dalle Considerazioni di G. Barbieri (m. 1731), siccome noteremo al proprio luogo o dalla tradizione carmelitana, basta sopra una visione di s. Maria Maddalena de' Pazzi.

A pie’ di pagina si vedono criticamente ricostruite le citazioni secondo le fonti primarie con i tratti concernenti; però se s. Alfonso cita ad litteram un testo, collochiamo il semplice riferimento mancante per evitare ingombri.

Richiamiamo l’attenzione sopra certe note approssimative: non avendo rintracciato un testo presso l’autore additato in modo generico dal Santo né altrove, abbiamo riportato un concetto simile che lo riecheggia, come per  s. Tommaso circa i rimorsi del dannato (cons. XXVIII, 2); ed è stato l’unico testo irreperibile dell’Aquinate nonostante l’aiuto prestato dal p. Garrigou-Lagrange (m. 1964).

Non ci siamo appagati insomma di citazioni sommarie o addirittura  sibilline senza le parole; ci è parso che un tal sistema, oltreché non scomodo, possa trarre in errore gli sprovveduti, che contenti dell’asserito non si interessano di fare un controllo.

Dalle lacune risulta che le nostre indagini, almeno qualche volta, sono andate a vuoto. I lettori avranno così una palestra per esercitare la loro intelligenza; e pescando ciò che ci è sfuggito diverranno preziosi collaboratori di questa collezione.

Avvertiamo in fine che in pochi casi non avendo potuto usufruire di edizioni precedenti il 1758, siamo stati costretti a rivolgerci a ristampe posteriori, come per s. Tommaso da Villanova: Conciones, Mediolani 1760, e qualche altra.

 

 

C. - Ortografia e interpunzione.

Nell’ortografia seguiamo l’ed. del 1780, allontanandocene nei passi certamente errati ed impuntabili allo stampatore. S. Alfonso ebbe un’ortografia progressiva; non restò ancorato a quella che adibì nelle prime operette (1734-1749) (65). Verso il 1758 già le aveva conferito un aspetto abbastanza preciso, scartando arcaismi, che continuarono ad adoperare scrittori devoti coevi.

Nel suo dizionarietto determinò: Sagro, non sacro, ed indicò una preferenza: Sabato meglio che sabbato (66). Lasciò una certa libertà per qua  e qui che “alcuni le scrivono senza accento, ma più universalmente si trovano accentate” (67). Oggi l’accento è abolito.

È caduto pure l’j:  “Si noti che in toscano de' due ii  se ne fa uno lungo: operaj savj. Ma in singolare si dice: necessarissimo e non necessarjssimo” (68). In pratica si tenne legato all’uso toscano, come può vedersi nelle ristampe napoletane e venete, in ciò concordi. Seguiamo l’uso corrente.

Più difficile la questione delle lettere maiuscole, di cui nei Brevi avvertimenti ha un capitoletto (69). A Napoli soprabbondavano le “lettere maggiori”, a Venezia c’era più parsimonia. Ci atteniamo alla norma odierna, purché l’omissione non generi ambiguità e non sia contraria all’uso comune.

I dubbi ortografici che si presentano saranno sciolti con le avvertenze grammaticali dell’autore per non affidarci ad interpretazioni arbitrarie. L’ed. bassanese del 1761 sarà di guida nelle oscillazioni testuali. Le sfumature dovute alla ispirazione del momento saranno mantenute, come in sovra e sopra; labro  e labbro, ecc. Ogni autore anche modernissimo ha i suoi alterni gusti lessicali. D’Annunzio usava senza preoccupazione meraviglia  e maraviglia.

Abbiamo ammodernata l’interpunzione ridondante del secolo XVIII della quale l’autore stesso, anche perché contrario a certo artificio, si mostrò scontento in linea di massima, riprovando i periodi costellati di virgole (70).

Ad eliminare sbagli lampanti soccorrerà la sua grammatichetta e possibilmente qualche testo autografo omogeneo più accurato. Né si dimentichi che nell’epistolario e stendendo appunti non s’incasellava in norme fisse, per cui la autorità di questi scritti è relativa.

 

 

7. FORTUNE DEL LIBRO.

 

Il tema della morte riecheggia in tutta la letteratura cristiana: da s. Cipriano a s. Roberto Bellarmino, dall’Idiota letto dal D’Annunzio al Savonarola, al Bartoli e al teatino Travasa (1698-1774) centinaia di scrittori ecclesiastici e profani hanno svolto simile argomento, in prosa e in poesia. Il '600 ne fu colmo; la morte lo dominò con la sua presenza universale, colpita o dipinta.

Le biblioteche rigurgitano di opere che recano sul frontespizio i titoli: De bono mortis, De contemplatione mortis, De arte bene moriendi, Atrium domus aeternitatis seu Praxis praeparationis ad mortem sancte obeundam, La morte del giusto, L’arte di ben morire, La morte cristiana, La morte disarmata, Morte dolce e santa, Scuola della buona morte, La morte felice a chi ben vive, Orologio della morte, La preparazione alla morte, Vero apparecciho per la buona morte, ecc. (71).

L’Apparecchio alla morte comparso nel 1737 a Firenze (pp. LIX-168) è un manualetto che suggerisce le industrie da esercitare coi moribondi per disporli al transito.

Più particolare interesse desta la Preparazione alla morte in un ritiro d’otto giorni (Napoli 1756, Tip. Sansimoniana): è traduzione di un libro dell’oratoriano P. Quesnel, il cui titolo originale è: Le bonheur de la mort chrétienne. Retrait de huit jours (Paris 1686). Mons. Angelo Fabroni, incoraggiato da mons. G. Bottari, s’incaricò di tradurlo e divulgarlo nel Regno napoletano per mezzo dei circoli gianseniti locali (72).

Può essere che questa opera di Quesnel sparsasi nelle comunità religiose abbia indotto s. Alfonso ad affrettare la stesura del suo Apparecchio alla morte vivamente desiderato. Ed egli che non andava a caccia di novità sensazionali ripropose la materia col suo modo inconfondibile, adoperando un titolo già liso. Né si discostò dai metodi preesistenti, che arricchì, mantenendosi equidistante tra uno sdolcinato ottimismo e un pessimismo sconsolato vestito di macabre figure, come in G. Manni, Vari e veri ritratti della morte (Bologna 1610).

 

Non si erge sopra un piedistallo per inveire con procellose tinte escatologiche contro gli spensierati della vita. Apre la serie delle considerazioni col ritratto di un cadavere in decomposizione: è la fine del pellegrinaggio terreno dal lato biologico. Non insiste su questo oscuro problema, oggetto di quotidiana verifica sotto ogni cielo. Basandosi sul concetto della Rivelazione che ogni uomo muore perché peccatore, medita la brevità della vita umana, la certezza della morte, il valore del tempo e, segnalata la malizia del peccato con la sua pazzia, trasporta il lettore con la descrizione del giudizio particolare ed universale al di là del sepolcro, mettendolo di fronte alla responsabilità future, senza eufemismi. Avvenuta la separazione dal corpo, l’anima entra in uno stadio definitivo di gioia o di dolore, di luce o di tenebre. La morte, fenomeno naturale e conseguenza della colpa, è il più importante avvenimento di ciascun uomo: avvenimento di salvezza o di perdizione, sancita dalla sentenza irreformabile: “Venite, benedicti” o “Discedite, maledicti”: inferno con l’eternità delle pene e dei rimorsi o paradiso con i gaudi supremi. Il transito mette fine al dialogo col mondo per iniziare quello diretto con Dio.

Moderando il rigore teologico con la soavità della misericordia, dipinge poi la visione amorosa di Dio, che possiamo conseguire fedeli alla grazia con la preghiera, la perseveranza nel bene, la frequenza dei sacramenti, specie della Comunione eucaristica, e la confidenza nel materno patrocinio della Madonna attraverso l’uniformità alla volontà del Padre celeste.

È quasi un itinerario di perfezione con un punto di partenza e un punto di approdo: la vita è un viaggio alla eternità (cons. XIV). Non si tratta di una costruzione strettamente logica; il procedimento è psicologico con una esposizione lauta delle verità eterne. Gli argomenti non appaiono agglomerati, ma distribuiti con un nesso che permette di seguire una linea di sviluppo.

Le riflessioni, frutto di matura esperienza, si snodano limpide, calde, incisive senza fomentare presunzioni né pusillanimità. Il tono avvince con la concretezza familiare ed inclina a sguardi introspettivi. Qui forse bisogna scorgere la forza del libro, che eclissati moltissimi altri omonimi, anche scintillanti di alti concetti, passò nel dominio comune con mirifiche conversioni (73).

 

L’autore confidava nel 1759 a Remondini che l’opera aveva “pigliato gran nome” a Napoli (74), e ad un discepolo in Puglia scriveva nello stesso anno: “Questo libro della morte, chi l’osserva bene, certamente se lo piglia” (75).

Non erano semplici motti reclamistici.

Tannoia nella biografia del Santo racconta quale testimone: “Tra questo tempo restrinse in un’opera, che chiamò Apparecchio alla morte, le massime più importanti di nostra santa religione. Con quest’opera si può dire, tanto fu lo spaccio che si ebbe da per tutto, che si fece una general missione nel Regno, e altrove” (76).

Il libro ebbe accoglienze lusinghiere anche al di là delle Alpi. Il canonico Enrico Hennequin (m. 1803) da Liegi scriveva a s. Alfonso il 20 febbraio 1776: “Subito che il tempo me lo permetterà, spero di mettere le mani ad un’opera di V. S. Ill.ma non meno importante (delle Visite al SS. Sacramento ), anzi più necessaria della prima, quale è l’Apparecchio alla morte, o sia Massime Eterne, libro veramente divino e necessarissimo in questi tempi calamitosi, ove pare che non ci si crede più niente” (77).

A guisa di un breviario spirituale si diffuse nei settori sociali più disparati, specialmente in Italia. Né la monotonia che si riscontra negli “Affetti e preghiere” scoraggiò i lettori; del resto l’autore li aveva messi sin dall’inizio sull’avviso per evitare delusioni nei leziosi.

Le fortune non svanirono sulle soglie ottocentensche al vento che soffiava ovunque carico di tempeste contro la cultura religiosa e il destino eterno di ogni uomo.

S. Antonio Gianelli (1789-1846), vescovo di Bobbio, valorizzò il libro divulgandolo in Liguria sotto gli occhi degl’illuministi più feroci, e spesso lo lesse personalmente in cattedrale ai diocesani, aiutandoli a meditare (78).

Il parlamentare irlandese Daniele O' Connel (1775-1847) l’aveva abitualmente presso di sé siccome un “vademecum”. Il p. Gioacchion Ventura nel tesserne l’elogio funebre osservò:

Ho veduto io stesso, ho avuto io stesso nelle mie mani il prezioso esemplare dell’opera di s. Alfonso de Liguori intitolata: Apparecchio alla morte, usato da lui, postillato di sua propria mano: prova evidente che in mezzo alle grandi agitazioni della sua vita, si preparò sempre alla morte, e che regolava la sua azione nel tempo al lume sincero delle grandi massime dell’eternità (79).

Il principe Alessandro Torlonia (1809-1886), che con lavoro titanico prosciugò il lago abruzzese Fucino, fece tirare a sue spese un paio di edizioni nel 1852-55 e ne dispensò le copie, annettendovi un influsso morale straordinario.

 

Non amò meno il volumetto alfonsiano il mite pontefice Pio IX (1792-1878), che non si stancava di consigliarne la meditazione ai seminaristi di Roma (80).

Fu poi particolarmente caro alla veggente di Lucca s. Gemma Galgani (1878-1903), che nei giorni supremi in preda ad angosciose aridità di spirito lo scorreva con sollievo (81).

Ne trasse pure profitto il filosofo Francesco Acri (1836-1913), professore a Bologna, ricordando Tropea dove l’aveva sfogliato (82).

Né dispiacque a Papini che, forniti alcuni brani in esame, dà il giudizio seguente:

 

Alfonso oltre che predicatore ed apostolo fu teologo e mistico. Il suo stile pur risentendo dei difetti del tempo, ha la grazia persuasiva e commovente di s. Francesco di Sales, mentre talvolta nelle descrizioni della morte assurge alla potenza espressiva di Jacopone (83).

 

De Meulemeester ha compilato, documentandola, la statistica di 318 edizioni, di cui un terzo nel testo originale e il rimanente in lingue straniere: francese, inglese, tedesca, olandese, spagnuola, polacca, catalana, maiorchina, ceca, slovacca, ungherese, rumena, araba, turca, armena, indiana, singalese, filippina, cinese, vietnamita, tigrina e recentemente giapponese (84). L’addizione di quelle sfuggite alle investigazioni del chiaro bibliografo belga e di altre curate dopo il 1939 ci porta ad oltre 350 ristampe. La cifra elevata celebra l’effettivo successo più di una lunga dissertazione.

Niun libro devoto di tal genere, quantunque scritto da prosatori insigni, ha ricevuto negli ultimi due secoli sì considerevole fortuna.

Sebbene l’intestazione cominci a spaventare i lettori odierni, che preferiscono i manicaretti infarciti, il libro ha resistito parecchio ai fluidi palati. Né si è logorato da doverlo riporre in vetrina come cimelio. Antologie recenti ne riportano squarci (85): ne ha ospitato anche Rusca, osservando che sono “di un verismo che ricorda certi modi cari ai pittori caravageschi e di cui l’autore si serve per scrollarci di dosso l’inerzia ed obbligarci alla meditazione” (86).

I predicatori desiderosi di cibo sano e non d’intingoli esotici richiedono tuttora l’Apparecchio alla morte, le cui ultime ristampe nel testo italiano sono quelle di Padova (Gregoriana 1956) e di Pescara (IX ed. Paolina, 1961).

 

La presente edizione critica, attesa da anni, giunge opportuna per reagire alle cresciute deviazioni del concetto del peccato, ridotto ad un residuato storico in troppa narrativa contemporanea. Pio XII nel Radiomessaggio al congresso catechistico di Boston celebrato nel 1946 disse: “Forse il più grande peccato  del mondo è che gli uomini hanno cominciato a perdere il senso del peccato” (87). In questo indebolimento gli scrittori ed oratori cattolici hanno pure le loro gravi responsabilità, essendosi indugiati con vedute unilaterali ed ottimiste su talune verità cristiane. Le coscienze ne hanno subito l’influsso adagiandosi su certi morbidi atteggiamenti.

 

S. Alfonso con l’Apparecchio alla morte ricorda l’indirizzo classico, che scansando gli equivoci del giansenismo e del quietismo sempre risorgenti, ridà alle anime sbandate la vera idea del peccato sin nei suoi aspetti complementari e ne regola i rapporti interiori. Come constata mons. Palazzini (88), il Dottore zelantissimo riesce nelle sue pagine a ben armonizzare i Novissimi e gli slanci dell’amore confidente, ispirandosi al piano salvifico della redenzione senza il minimo compromesso.

 

ORESTE GREGORIO, S. Alfonso, Opere ascetiche, edizione critica, Roma 1965, Edizioni di Storia e di Letteratura, pp. IX-LXIV

 

 

_________________________

 

(1) Cfr. BREMOND H., Histoire du sentiment religieux en France, V, Paris 1925, 82 ss.

(2) HITZ P., L'annonce missionnaire de l’Evangile, Paris 1954, 141, 145.

(3) Chan. GRAVIS, La mission de Charleroi, in Evangeliser, 2 (Liège 1947-48), 461: “N’oublions pas que nos bagages d’éloquence sacrée ont été fabriqués à une époque déterminée de l’histoire par les Rédemptoristes de la campagne napolitaine ou les prédicateurs des grandes missions de la restauration française. Certes, ils expriment la doctrine éternelle, les grandes vérités, comme on dit, non sans équivoque ces grandes vérités sont souvent un christianisme terriblement mutilé”. C. MARCORA in Orientamenti pastorali, 5 (Milano, dicembre 1957), 46 risponde: È stato scritto che i Missionari di S. Alfonso nella loro predicazione proponevano un Cristianesimo “terriblement mutilé”. Queste accuse si vanno ripetendo con frequenza, quasi ignorando che s. Pietro dava come programma ai cristiani "ut peccatis mortui iustitiae vivamus" (I Petr., 2, 24)..... L’accusa che la missione sia una predicazione di un Cristianesimo mutilo e terrificante piena del pensiero del giudizio di Dio, cade quando si pensi che la Chiesa stessa invoca e prega per i suoi fedeli l’amore e il timore di Dio: "sancti nominis tui, Domine, timorem et amorem fac nos habere" (Missal. Ambros., Dominica post Ascens., oratio super Syndonem) e non si dimentichi che anche il timore di Dio “initium sapientiae” è annoverato tra i doni dello Spirito Santo. Si osservi però che questi predicatori dopo le prediche, diremmo di terrore, invitano ed eccitano all’amor di Dio.”

(4) GREGORIO O., Cinque secoli di Quaresima viaggiante, in Ecclesia, 17 (1958), 108 ss.

(5) (TANNOIA A.), Della vita ed istituto del vener. servo di Dio Mons. Alfonso M. Liguori, l. II, c. 54; I, Napoli 1798; 325: il biografo riporta una confidenza del Santo circa il modo di predicare a Napoli al principio del sec.XVIII: “Ho io assistito, ci disse, una volta essendo secolare a questi panegirici; né mi ricordo averci fatto un atto buono. Usciva dalla chiesa come da un’accademia; e posso dire aver ritratto più frutto del teatro, sentendo un’opera sacra, e non dalla chiesa, ascoltando i migliori panegiristi”.

(6) NATALI G., Il Settecento, II, Milano 1950 3 , 1128: il Giacchi cappuccino (1672-1745) considerò il panegirico come una “specie di poema sciolto” e le orazioni sacre siccome “trasporti di fantasia credula pietà riscaldata”. Era detto il Monti del pulpito, come Tornielli gesuita comasco il Metastasio del pergamo. Cfr. SANTINI E., Storia dell’eloquenza italiana, I, Palermo 1923, 188-89. È utile conoscere ciò che dice TITTA MADIA, Storia dell’eloquenza, Milano 1959, 436: “Accanto a questi oratori senza rinomanza, ne sorge qualcuno che solca la nebbia: sant’Alfonso M. de Liguori. Alfonso è tramandato ai posteri non solo per la santità, ma anche per la sua oratoria, tanto più esperta in quanto era stato avvocato..... Alfonso è certamente un dotto; ma la cura, nell’eloquenza, è proprio quella di andare controcorrente: spogliarsi dell’erudizione e ritrovare la parlata familiare.... Lui abolisce il tuono e la parola scelta. È, invero, l’oratoria di Alfonso una libera comunicatica, scarna, ben lontana dalle scapricciate elocubrazioni del tempo, ma anche lontana dalla vigorosa eloquenza di Paolo Segneri. Una semplicità che in lui è viva d’efficacia, ma che diventa povertà o artificiosità negli imitatori: P. Antonio Valsecchi, P. Bernardo Giaco, P. Sebastiano Paoli.”

(7) A proposito dei Novissimi è bene aver presente un brano dell’allocuzione che Pio XII rivolse il 23 marzo 1949 ai parroci e predicatori quaresimalisti romani: “La predicazione delle prime verità della fede e dei fini ultimi non solo nulla ha perduto della sua opportunità ai nostri tempi, ma anzi ç divenuta più che mai necessaria ed urgente. Anche la predica sull’inferno. Senza dubbio si deve trattare un simile argomento con dignità e saggezza. Ma quanto alla sostanza stessa di queste verità, la Chiesa ha, dinanzi a Dio  e agli uomini, il sacro dovere di annunziarla, d’insegnarla senza alcuna attenuazione, come Cristo l’ha rivelata, e non vi è alcuna condizione di tempi che possa far scemare il rigore di quest’obbligo. Esso lega in coscienza ogni sacerdote a cui, nel ministero ordinario e straordinario, è affidata la cura di ammaestrare, di ammonire e di guidare i fedeli. È vero che il desiderio del cielo è un motivo in se stesso più perfetto che non il timore delle pene eterne; ma da ciò non consegue che esso sia per tutti gli uomini anche il motivo più efficace per tenerli lontani dal peccato e convertirli a Dio” (cfr. Acta Apostolicae Sedis, 41 (1949), 185).

(8) POURRAT P., La spiritualité chrétienne, IV, Paris 1930 6, 462: “St. Alphonse avait reçu de Dieu le don d’émouver les âmes, quand il parlait des fins dernières de l’homme... La pensée du grand nombre de pêcheurs qui se damnent répand la tristesse dans son âme et jette un peu de pessimisme sur sa doctrine. Mais ne faut-il pas inspirer la crainte à ceux qui voudraient oublier qu’ils ont une âme à sauver?”.

(9) A. DE LIGUORI, Breve istruzione degli esercizi di missione, c. VII, par. 6; Napoli 1760, 150. Cfr. anche Sermoni compendiati, Lettera II ad un vescovo novello, Napoli 1771, 258.

(10) S. ALFONSO, Lettere, III, 540-41; vedi pure III, 549. Il p. Lorenzo Negri (1736-1799), che nel 1757 scrisse sotto dettatura l’Apparecchio alla morte, depose nel processo canonico che s. Alfonso gli confidò un giorno: “Nelle missioni sono buone le prediche del giudizio, dell’inferno per cacciar la figura dell’anima dannata, e cose simili: queste cose impauriscono e fanno rumore, ma le conversioni che provengono dal timore poco durano; sono cose che si scordano, perché poco dopo si fanno una scotolata (=alzata) di spalle, e finisce tutto. Ho fatto pittare quest’immagine di Gesù Crocifisso, acciò nella vita divota precedente la meditazione della sua Passione la dimostriate al popolo, e quando al popolo si vede l’immagine del Crocifisso morto per esso, non può non intenerirsi, e le lagrime che escono alla vista del Crocifisso escono dal cuore ferito dall’amore della sua Passione; e che si converte per via d’amore di Gesù Crocifisso, la conversione è più forte e durevole. Quello che non fa l’amore, non lo fa il timore, e quando uno si affezione a Gesù Crocifisso, non ha paura” (cfr. Summarium super virtutibus, Romae 1806, 270). Per la bibliografia del redentorista Negri vedi MB (De Meulemeester, Bibliographie...), II, 293.

(11) DI CAPUA F., La “predica grande” dei Redentoristi e la “modulatio oratoria” degli antichi, in Spicilegium historicum C. SS. R., I (Roma 1953), 234 ss.

(12) S. ALFONSO, Lettere, III, 59.

(13) Ibid., I, 367: “Tanto la ringrazio d’avermi mandato a leggere il I tomo de' Trappesi. Quando può, la prego di mandarmi a leggere gli altri. Io sono andato spesso per Napoli trovando le vite di questi religiosi, e non l’ho potuto mai trovare”. Il titolo dell’opera è: I prodigi della grazia espressi nella conversione di alcuni grandi peccatori, morti da veri penitenti nel monastero della Trappa, Milano 1715.

(14) S. ALFONSO, Lettere, III, 53.

(15) FRANCESCO DELLA CROCE, Disinganni per vivere e morir bene, I, Napoli 1687. S. Alfonso di nuovo cita i Disinganni, parola III, par. VI (III, Napoli 1689, 402) nel VII discorso sui flagelli apparso insieme all’Apparecchio alla morte (Napoli 1758, 494). Cfr. S. ALFONSO, Lettere, I, 391.

(16) Cfr. Apparecchio alla morte, Intento del'l opera. Nel 1776 il Santo scriveva che oltre i libri furono fonti “le tante prediche intese da predicatori, che predicavano Gesù Cristo Crocifisso; e me l’ho notate, arrivato a casa, e poi le ho stampate. E queste cose le ho poste tutte le Domenicale  e nel libro dell’Apparecchio alla morte” (Lettere, II, 381)./

(17) A. DE LIGUORI, Breve istruzione degli esercizi di missione, Napoli 1760, Introduzione.

(18) AGR, SAM, III: Copiae authenticae Manuscriptorum S. Alphonsi, 89.

(19) AGR, SAM, III, 291. Un foglio autografo del Santo intitolato “Morte buona”, di cui vari testi si riscontrano nella cons. VIII, giace presso il religioso p. Egidio Miranda nel Carmine maggiore di Napoli.

(20) AGR, SAM, III, 363-370.

(21) AGR, Sam, III, 263-268.

(22) La beata Caterina da Genova fu canonizzata nel giugno del 1737 dal Papa Clemente XII: il sermone può essere anteriore a quell’anno, come si rivela anche dall’analisi interna.

(23) Biblioteca Ambrosiana (Milano), Ms. 188, S. Alfonso.

(24) S. ALFONSO, Lettere, II, 248.

(25) Ibid., II, 249. Cfr. GREGORIO O., La prosa alfonsiana, ne L’osservatore romano, 12 febbraio 1964, p. 5.

(26) Ibid., III, 76: nell’agosto del 1758 il Santo palesava a Remondini che l’Apparecchio alla morte era  “opera molto faticata”. Il menzionato amanuense Negri narrò nel processo informativo del Santo: “Indicibile poi era la sua carità verso i nostri infermi. Lo sperimentavo in me stesso: scrivendo io sotto la sua dettatura, essendo in sacris, l’Apparecchio alla morte, mi sopravvenne per detta fatica un vomito quasi continuo, che io occultava. Ma saputosi dal mio santo direttore il fu p. Margotta (m. 1764), a cui lo dissi, subito il medesimo ne fé parola al nostro servo di Dio, il quale l’intese con grave dispiacere, e perché io non aveva avuto lo spirito di confidarcelo, mi fece una dolce, ed amorosa correzione. Ordinò in seguito al detto p. Margotta che mi avesse subito condotto in Napoli per parlare col celebre medico di que' tempi don Carmine Ventapane, siccome si eseguì, e mi ristabilii nella salute con respirare l’aria di Napoli in un luogo detto Pizzofalcone per un mese e più, e con prendere i medicamenti dal detto medico prescrittimi” (cfr. Process. ord. Nucerimus, IV, f. 1784).

(27) S. ALFONSO, Lettere, III, 73-74.

(28) Ibid., III, 84.

(29) Ibid., III, 88.

(30) Ibid.,  III, 94. I riformatori dello studio di Padova affidarono la revisione di quest’opera a Gianfrancesco Pivati (1689-1764), scrittore erudito, che compilò la prima enciclopedia italiana completa alfabetica: Nuovo dizionario scientifico e curioso, sacro e profano, in 10 volumi, Venezia 1746-1751.

(31) S. ALFONSO, Lettere, III, 82.

(32) GREGORIO O., Restituzione del testo in IG, Roma 1960, 55.

(33) Ibid., 83, ss.; vedi pure pp. 67-68 a proposito della poca fiducia che Stasi M. ispirava al Santo.

(34) L’ab. Giacomo Rebellini, che nel 1762 col camaldolese Angelo Calogerà iniziò Minerva ossia Nuovo giornale dei letterati d’Italia contro il Baretti, ebbe l’incarico di rivedere le bozze di questa ristampa dai riformatori dello studio di Padova.

(35) Non è improbabile che tra il 1767 ed il 1778 Remondini abbia fatto qualche altra edizione, di cui non abbiamo rintracciato ancora alcuna copia: si sa che le richieste del libro erano continue.

(36) Cfr. Introduzione Generale, pp. 99-100.

(37) Un esemplare completo di questa edizione, forse unico, è custodito nella Biblioteca Universitaria di Napoli.

(38) Questo testo che si ripete anonimo proviene probabilmente da una massima di mons. Guglielmo di Grimberghe (m. 1609): vedi L. SINISCALCHI, La scienza della salute eterna ovvero Esercizi spirituali di s. Ignazio, med. 8, punto III; Venezia 1786 7, 189: “È vero o no quello che Guglielmo Gramberghi arcivescovo di Cambrai fece scrivere con grandi caratteri nel suo gabinetto: A filo vita, a vita mors, a morte pendet aeternitas”;

(39) Arch. di stato di Venezia, Riformatori dello studio di Padova, Filza 313, n. 7; vedi anche Filza 341, Registro di mandati di licenze di stampe, n. 7. Per la nuova sistemazione di questa ed. cfr. S. ALFONSO, Lettere, III, 88.

(40) S. ALFONSO, Lettere, III, 87.

(41) Cfr. IG, 19.

(42) Arch. di stato di Venezia, Riform. dello studio di Padova, Filza 317, n. 2083: “Addì 28 marzo 1767. Faccio fede io sott. di aver veduto e approvato il libro stampato in Venezia presso il Remondini col mandato degli Ecc.mi Riformatori sin dal marzo 1759, in cui niente avvi contro Principi, e i buoni costumi. Il titolo del medesimo è il seguente: Apparecchio alla morte ecc., opera del R. P. D. Alfonso de Liguori, ecc. In fede. Giacomo Rebellini pub. rev. Correttore D. Sebastiano Menghetti”.

(43) Ed. non segnalata in MB (De Meulemeester, Bibliographie...).

(44) L’ed. del 1772 è omessa in MB. (De Meulemeester, Bibliographie...) Sul frontespizio è detto erroneamente: “Quinta edizione...... In Napoli MDCCLXII.... A spese di Michele Stasi”. Non può essere del 1762, perché contiene nell’elenco bibliografico la Pratica di amar G. Cristo, che s. Alfonso pubblicò nel 1768, e i Sermoni stampati nel 1771.

(45) L’ed. veneta del 1778 non è elencata in MB. (De Meulemeester, Bibliographie...)

(46) Anche la ristampa del 1780 non si trova in MB. (De Meulemeester, Bibliographie...)

(47) L’ed. napoletana del 1782 non è segnalata in MB. (De Meulemeester, Bibliographie...)

(48) Ci è giunto di questa ed. l’attestato della revisione: cfr. Arch. di stato di Venezia, Riform. dello studio di Padova, Filza 321, N. 477: “Addì 12 giugno 1782. Fo fede io sott. d’aver veduto e approvato per ciò che riguarda i Principi e i buoni costumi il libro stampato intitolato: Apparecchio alla morte, cioé Considerazioni etc. di Mons. D. Alfonso Liguori. In fede. Cosimo Mei publ. revisore”. “Addì 17 giugno 1782 Venezia. Faccio fede io sott. Prior. attuale della Università de' Librai e stampatori di aver veduto il libro dall’infrascritto stampato intitolato: Apparecchio alla morte di D. Alfonso Liguori, e che la pubblicazione di esso non offende alcun Privilegio annotato nei Registri della nostra Università. Giuseppe Remondini, libraro di Venezia e stampatore di Bassano. Io Marc’Antonio Manfré Priore att.”. “Addì 17 giugno 1782. Attesto io sottoscritto Priore dell’Università de' Librari e stampatori, come il sig. Giuseppe Remondini non ha alcun debito di tassa, taglione, luminarie, ed altro spettante alla nostra Università, in fede di che Marc'Antonio Manfré Prior”.

(49) Questa ed. sfuggita in MB (De Meulemeester, Bibliographie...) ha dopo le 36 considerazioni le Meditazioni per 8 giorni di esercizi spirituali in privato.

(50) Mi riferisco all’ed. III uscita nel 1879 a Torino. Don Bosco consigliò particolarmente ai giovani l’Apparecchio alla morte: vedi Il giovane provveduto, art. VI, Lettura spirituale e parola di Dio; Torino 1885 101, p. 17, e se ne servì nella elaborazione del Mese di Maggio (Torino 1858), per cui osserva il rev. Stella: “Confrontando ad esempio gli argomenti di Don Bosco con i 36 dell’Apparecchio alla morte di s. Alfonso, risulta che ben 12 son uguali, quasi con la stessa formulazione” (PIETRO STELLA, I tempi e gli scritti che prepararono il “Mese di Maggio” di Don Bosco, in Salesianum,  20 (Torino 1958), 675).

(51) C. ROMANO, Delle opere di s. Alfonso M. de Liguori. Saggio storico, Roma 1896.

(52) MB (De Meulemeester, Bibliographie...), I, 96.

(53) Questa ristampa insieme con altre opre di s. Alfonso è segnalata in modo impreciso in una Nota di libri posta in appendice dei Sermoni sacri-morali di mons. Casati, vescovo di Mondovì (vol. III, Torino 1789, Francesco Prato, p. 293 ss.).

(54) Cfr. IG, 62.

(55) AGR, SAM, III, III: castigo (lett. del 1756); 376: castigare (1756), ecc.

(56) Remondini fa il cambiamento di cercare in chiedere sin dall’inizio del volume.

(57) GREGORIO O., Restituzione del testo, in IG, 46-47.

(58) A. DE LIGUORI, Breve istruzione degli esercizi di missione, c. VII, par. I; Venezia 1760, 341: “A ciò molto giovano le Biblioteche predicabili, di tante che ve ne sono, come quella del Mansi, del Teatro della vita umana, del Lohner, dello Spanner, dello Houdry, e d’altri”. BEYERLINCK M., Magnum theatrum vitae humanae, I-VIII, Lugduni, 1665.

(59) GREGORIO O., La biblioteca teologica di S. Alfonso, Pagani 1941. Lo studio benché soltanto indicativo è utile per approfondire le ricerche.

(60) S. Alfonso oltre l’episodio narrato nell’Apparecchio alla morte (cons. XXII, I) riporta nella Predica stesa della chiamata (AGR, SAM, III, 353-360) l’aneddoto del giovine morto impenitente per l’illusione di vivere ancora (GISOLFO P., La guida de' peccatori, p. I, disc. I, n. 3; I, Napoli 1677, 14-15; I, Napoli 1694, 22-23).

(61) S. ALFONSO, Lettere, I, 233.

(62) Ibid., II, 208.

(63) Ibid., I, 246.

(64) Ibid., I, 86.

(65) GREGORIO O., S. Alfonso grammatico, Materdomini 1938.

(66) S. ALFONSO, Brevi avvertimenti per la lingua toscana, c. IV; in IG 110.

(67) Ibid., c. V; in IG, 111.

(68) Ibid., c. IX; in IG, 114.

(69) Ibid., c. VII, in IG, 112.

(70) S. ALFONSO, Lettere, III, 21.

(71) CACCIATORE G., Fonti e modi di documentazione, in IG, 212. Vedi anche il tipico libro di Sebastiani, Filolete o vero l’amante della morte, Roma 1716.

(72) DAMMIG E., Il movimento giansenista a Roma nella seconda metà del sec. XVIII, Città del Vaticano 1945, 321.

(73) Il lazzarista piemontese p. Alasia, confessore del principe di San Nicandro e degli altri reggenti di Ferdinando IV a Napoli, attestava che l’Apparecchio alla morte  aveva prodotto e continuava a produrre conversioni inaudite (cfr. R. TELLERIA, San Alfonso M. de Ligorio, I, Madrid 1950, 666).

(74) S. ALFONSO, Lettere, III, 87. Il libro raggiunse presto sino i paesi dell’Appennino lucano. Alla lettura fattane nel 1760, il giovane Pasquale Lacerra (1742-1807) di Abriola (Potenza) ebbe la vocazione di missionario redentorista. Lasciò scritto: “Mi vennero nelle mani non so come il libretto della Visita e l’Apparecchio alla morte...... Una sera, leggendo una meditazione dell’App. alla morte, sotto un gran sasso assieme con quel sacerdote che ho detto, mi venne un lume con un desiderio grande che mi diceva: Partiti dimani mattina per Caposele, senza farne accorgere tuo padre, ecc.” (cfr. F. KUNTZ, Ms. Annales C. SS. R., VI, 266). Entrò nel 1761 nel noviziato e in seguito divenne un illustre personaggio della Cong. del SS. Redentore.

(75) S. ALFONSO, Lettere, I, 413. Nel 26 gebbraio 1771 il Santo raccomandava ai suoi discepoli “di fare la meditazione per lo più sopra l’Apparecchio alla morte (ibid. II, 163). Il non pensare alla morte appariva a Pascal cosa mostruosa (Pensées, 194.)

(76) (A. TANNOIA), op. cit., l. II, c. 45: I, Napoli  1798, 285. Il p. Di Costanzo, consultore generale redentorista, che fu confessore del Santo, attestò nel processo di beatificazione che il medesimo diede “alla luce un’altra opera intitolata Apparecchio alla morte, con cui espone in tante meditazioni le dottrine e massime del Vangelo, specialmente i Novissimi, con le quali commove i cuori de' leggitori al disprezzo del mondo, ed alla stima delle cose eterne” (cfr. Summarium super virtutibus, 178). Rilevò anche : “Però chi vuol conoscere l’eroismo di questa santa speranza nel servo di Dio, può leggere gli affetti e le preghiere poste in piedi di ciascun punto delle meditazioni del libro intitolato Apparecchio alla morte “ (ibid., 316).

(77) AGR, I. D. 51. Cfr. M. DE MEULEMEESTER, Deux correspondants liegeois de saint Alphonse, in Spicil. historicum C. SS. R., 9 (Roma 1961), 239.

(78) FREDIANI G., Il santo di ferro: S. Antonio M. Gianelli, Roma 1951, 373: “Nell’ultima decade di gennaio 1845 con una Pastorale (Gianelli) ordinò e stabilì nelle parrocchie la pratica della meditazione quotidiana, da farsi sulla sera, dopo la corona della Madonna, da un sacerdote, il quale da un luogo elevato doveva leggere posatamente una considerazione dell’Apparecchio alla morte  di S. Alfonso.... Egli stesso praticò personalmente il devoto esercizio in cattedrale (di Bobbio), e lo vide estendersi con profitto alla sua cara diocesi”.

(79) VENTURA G., Elogio funebre di Daniele O' Connell, Roma 1847, 106. A p. 114, nota 4: “Era anche molto dedito alla orazione mentale. L’esemplare dell’opera Apparecchio alla morte..... tutto logoro e ripieno di segni e di note di suo pugno ad ogni pagina, ne è una prova senza replica”. Senza esito favorevole abbiamo ricercato tali annotazioni, ed ignoriamo dove siano andate a finire.

(80) D’ORAZIO B., La nostra vittoria sulla morte, Norcia 1957, 228: Il card. (Respighi) raccontò: “Quando io ero alunno di questo seminario (di Roma), Pio IX ci diede come libro di meditazione l’Apparecchio alla morte. Ogni volta che esso era finito di leggersi , si tornava dal Papa per chiedere un altro libro. Ma il santo Padre rispondeva sempre: “Ricominciate a leggerlo “. Una volta il Rettore di allora p. Tommaso Tosa avendogli fatto osservare che i giovani lo sapevano ormai a memoria, Pio IX insisté: “Lo rileggano, lo rileggano ancora, perché sapendolo anche a memoria, c’è sempre frutto da riceverne”.

(81) ZOFFOLI E., La povera Gemma, Roma 1957, 445: “Ella poco leggeva i libri devoti, informa Eugenia Giannini, perché molto occupata, e data la sua cultura, più che meglio amava elevarsi con l’anima a Dio, riconcentrandosi seco stessa.... Nel periodo di aridità poi, che fu l’ultimo della sua vita, leggeva con sommo trasporto un volumetto dei libri santi contenente i Salmi e il Vangelo, e l’Apparecchio alla morte di s. Alfonso M. de Liguori”.

(82) CARLINI A., Acri Francesco, in Enciclopedia Italiana, I, Roma 1929, 424. Ricordiamo un altro lettore assiduo del libro alfonsiano il p. Castelli torinese (1846-1926), di cui scrive Mezza: “Due mesi prima di morire volle, accompagnato da un chierico condursi ancora una volta in devoto pellegrinaggio, e sempre pregando, a Pagani, sulla tomba di s. Alfonso; ed avendone quel giovane acquistato lì una copia dell’Apparecchio alla morte, egli, quasi per associazione d’idee, disse queste testuali parole: Questa è l’ultima visita che fo a s. Alfonso. Ed avrebbe potuto aggiungere: La mia vita di ottant’anni sta tutta nel titolo di questo libro, perché questo appunto è stata la vita mia: un apparecchio alla morte”. Cfr. MEZZA F., O. S. B., Il servo di Dio p. Giulio Castelli dell’orat., Badia di Cava 1950, 353.

(83) PAPINI G., Dizionario dell’omo salvatico, I, Firenze 1923, 128.

(84) MB (De Meulemeester, Bibliographie...) I, 96-97 e 335.

(85) PAPINI G. - DE LUCA G., Prose di cattolici italiani d’ogni secolo, Torino 1941, 386-388.

(86) RUSCA L., Il breviario dei laici, Milano 1958, ed. II, 715: il brano riportato non proviene dal libro Del gran mezzo della preghiera, come vi è indicato, ma dall’Apparecchio alla morte. Cfr. anche G. FALLANI, Letteratura religiosa italiana, Firenze 1963, 338-341: Brevità della vita (dalla cons. III).

(87) PIO XII, Discorsi e Radiomessaggi, VIII, Città del Vaticano 1947, 288.

(88) Nella prefazione dell’Enciclopedia: Il peccato, Roma 1959, 6 si legge: “Oggi nelle riviste di spiritualità, nella predicazione, nel confessionale non si parla mai da alcuni del giudizio di Dio, che attende l’uomo dopo la sua morte, dei castighi dovuti al peccato, dell’inferno e del purgatorio. Com’è lontana l’ascetica di S. Alfonso Maria de Liguori, che sapeva così bene legare il richiamo di queste ultime verità e l’esortazione all’amore e alla confidenza! Occorre ritornare al senso vero del peccato che è quello tradizionale. Occorre ritornarci perché altrimenti non si spiega la storia, né si orienta la vita”.

 




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