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S. Alfonso Maria de Liguori
Lettere

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60. AL SIG. GIUSEPPE REMONDINI.

Datosi principio alla 41 edizione della Morale, si affretta a farne togliere alcuni periodi in certi luoghi, e perché, e dicendo ancora della vendita e del prezzo d'altri libri, fa sapere che ne sta terminando un altro nuovo.

 

Viva Gesù, Giuseppe e Maria!

NOCERA, 14 NOVEMBRE 1759.

 

Illmo Sig. Sig. e Pne colmo.

Ho goduto sommamente di sentire che sta sotto il torchio la Morale, già capitata. Spero non però che stia sul principio. Onde la prego di vedere alla pagina 8, parlando della opera mia, dopo i Prolegomini del P. Zaccaria (dico alla pagina 8. del libro ); veda al num. marginale 42 che comincia: Quaeres inde [an liceat occidere invasorem famae vel honoris] e finisce: Vide dicenda 1. 3. n. 381: la prego a togliere tutto questo periodo, e mettere il detto numero marginale 42 al versetto seguente che comincia: Sic pariter. Così anche la prego di vedere poi al lib. 3 al num. 381 pag. 132, al verso che comincia da capo: Quaeritur igitur [an liceat viro honorato occidere invasorem inJustum sui honoris in re gravi] dopo il testo di Busembao: la prego tutto questo periodo, cogli altri due susseguenti sino al num. 382, di toglierli tutti; perché qui si tratta se si può uccidere l'invasore dell'onore.

La sentenza nostra, che ivi sta, è comune ed è probabilissima; nulladimeno, essendo succeduto questo fracasso in Portogallo contro i Gesuiti, e dicendo la gente che i Gesuiti si sono serviti di questa sentenza per consigliar la congiura contro del Re, è bene che si tolga tutto questo punto.1


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Sto aspettando con ansia le Istruzioni latine, e manderò adire subito al nostro Fratello, in Napoli, che stia attento a vedere quando vengono per pigliarle, e smaltirle.

La ringrazio poi del regalo delle cinquanta.

In quanto al prezzo non però, non lo ritrovo notato: forse lo scrittore se l'avrà dimenticato. Basta: mi regolerò secondo la mole e secondo il prezzo delle Pratiche volgari; e circa gli altri suoi libri, mi regolerò secondo il prezzo che si vendono in Napoli.

Avverto poi che, in quanto agli altri 17 ducati che mandai prima (17 o 18 forse, non mi ricordo bene) questi io ce l'inviai molti mesi sono; mi meraviglio che 'l Sig. Aurisicchio non ce ne ha dato conto.


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La prego ad avvisarmi se tiene un corpo di Cornelio a Lapide, e d'avvisarmi il costo.

Sto in fine del libro della Selva per esercizî a' preti. Subito che l'ho compito, ce l'invierò per via del Sig. Agazzi.

Se avessi avuto prima le Pratiche latine, ora avrei avuta una buona congiuntura di fare una certa diligenza; del resto, vedrò di far tutto quel che posso per lo smaltimento. Viva Gesù e Maria!

Di V. S. Illma

Umo e divmo servitore vero

ALFONSO DE' LIGUORI, della C. del SSmo Redentore.

 

[P. S.] In caso che fosse già stampato il foglio del primo luogo citato, almeno si lasci di mettere e stampare il secondo luogo (come di sopra) del lib. 3.

Conforme all'originale che si conserva nel nostro archivio generalizio di Roma.

 




1 Qui siamo ad un caso molto simile all'accennato più innanzi, lett XXXVI pag. 64. Il giorno 3 di settembre 1758, il re di Portogallo Giuseppe Emmanuele I, nel tornare di notte, incognito, dalla casa dei marchesi Tavora (dove egli teneva commercio di amore colla giovane marchesa) al proprio palazzo, nella carrozza del Texeira, suo ciambellano favorito e in compagnia di lui, venne assalito da appostati sgherri con archibugiate. Queste (come più tardi si conobbe) miravano al Texeira, per vendetta privata del duca d'Aveiro, stato da lui villanamente offeso; non già al Re, la cui presenza gli assalitori ignoravano. Ma, com'era naturale, corse subito per tutto la voce d'una congiura contro la vita del Sovrano, e molti ne facevano autori i Tavora, che avessero in tal guisa voluto difendere e vendicare l'onore della casa, contaminato dai regi amori. Pombal, primo ministro, nemico giurato di quei signori, non solo si studiò di fomentare ed ingrandire quei falsi rumori, ma ne prese un appiglio per accusare e rovinare d'un sol colpo tutti i suoi nemici: vale a dire, i primari signori della Corte, quali erano il Mascarenhas, duca d'Aveiro e i Tavora, di cui ardea di vendicarsi; e senza pruove giuridiche, li fé tutti condannare alla più barbara morte.

Di più, profittando di questa occasione, volle dare l'ultimo colpo ai Gesuiti, cui da gran tempo aveva giurato l'ostracismo. Fé di tutto per dare a credere che il consiglio dell'attentato fosse da essi partito, mettendo in mezzo, tra gli altri pretesti, che da loro s'insegnassero dottrine che fomentavano come il regicidio, così l'omicidio, per difesa dell'onore ecc. La sentenza morale, che serviva a pretesto, è appunto quella a cui accenna S. Alfonso e che vuole, quantunque comune e probabilissima, sia tolta dalla sua Morale, per allontanare brighe inutili e proibizioni dannose, da parte dei governi d'allora. E il Santo aveva tutte le ragioni a temere; mentre non solo si proscrissero i libri morali dei Gesuiti, ma essi pure furono banditi dal Portogallo; con quanta pena di Alfonso, si è potuto vedere nella lettera CCCXIX, vol. I, pag. 423, al suo amico, il P. D. Pasquale de Matteis, dove rimandiamo i nostri lettori.






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