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S. Alfonso Maria de Liguori
Lettere

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444.1 Ai Padri della casa di Ciorani.

Comportamento del suddito circa l'ubbidienza.

 

[Nocera,... 10/11. 1779].

 

Quando occorre che un Fratello tiene un sentimento direttamente opposto a quello del suo Capo, non è obbligato di uniformarsi, tenendo per certo che non può farlo senza tradir la sua coscienza; ma il rispetto dovuto al suo Superiore esigge ch'esso gli palesi le sue ragioni, e se 'l Superiore non si persuade, non deve uniformarsi, come si è detto, ma non deve persuadere gli altri a contraddire al lor Capo coll'adoperarsi cogli altri a far disubbidire al precetto del Superiore. E così poi in tal caso dee soffrire con pace quello che avverrà, senza criticare il giudizio del suo Capo, e dovrà anche ubbidire al suo precetto, quando non è certamente iniquo, il che non può dirsi, quando al giudizio del Capo si uniformano più altri soggetti assennati, e son ponderati nelle lor risoluzioni; tanto più quando questi altri son destinati per Consultori speciali del Superiore negli affari più gravi della comunità, quali Consultori si suppone moralmente che sieno i più riguardevoli della Cong.ne2.

Del resto non può negarsi, che se il precetto è di peccato certo, benché veniale, non siam tenuti ad eseguirlo secondo la dottrina comune di S. Benedetto3, di S. Bernardo e di tutti i Maestri di spirito: Quidquid vice Dei praecipit homo, dummodo non sit certum displicere Deo4, haud aliter accipiendum est, quam si praeciperet Deus5. Ma notiamo le parole: dummodo non sit certum displicere Deo. Sicché allora non siamo tenuti ad ubbidire, quando non si potesse ubbidire senza certo peccato. Dice il suddito: «A me pare certo peccato». Ma la dottrina non dice: se pare certo peccato (si videtur mihi), ma dice: non sit certum; onde per esimerci dal precetto non basta che mi sembri la cosa certo peccato, ma ha da essere certo peccato6. Come dunque può stimarsi certo peccato quel che dice il Superiore col consiglio de' suoi Consultori e di molti dotti? Il più che può dirsi che sia dubbio; ma nel dubbio siam tenuti ad ubbidire secondo la dottrina comune.

Io Fratello Fran.co Ant. o Romito attesto come ho scritto questo, dettante il nostro Padre Mons. de Liguoro.

Notizia a tergo: Quando il suddito sente l'opposto di quel che sente il Superiore.

 

Sentenza di S. Alfonso scritta dal Frat. Francesco Romito con attestazione dello stesso. La trascrizione è secondo l'originale conservato in A G.

Analisi della lettera fatta dal P. Andreas Sampers.

Pubblicata in Spicilegium Historicum, Roma, 11 (1963), pp. 39-40.

 




1 Cf. Lettere Volume III, n. 311, che manca della firma del Santo ed ha la stessa attestazione.



2 Sebbene l'argomento trattato è generale, da ciò che si dice dei consultori sembra riferirsi al restauro o all'abbattimento della cupola della chiesa di Ciorani.



3 S. BENEDETTO, Regola, cap. V. -Testo secondo CSEL 75 (Wien 1900; rec. Rud. Hanslik) 37, 15: «Quia oboedientia, quae maioribus praebetur, Deo exhibetur-ipse enim dixit: Qui vos audit, me audit».



4 Prima vi era scritto «certum peccatum»; queste parole sono cancellate e vi è sovrascritto: «certum displicere Deo».



5 S. BERNARDO, De praecepto et dispensatione liber, cap. IX n. 21. -Il testo secondo PL 182, 873 C così recita: «Quamobrem quidquid vice Dei praecipit homo, quod non sit tamen certum displicere Deo, haud secus omnino accipiendum est, quam si praecipiat Deus».



6 Cfr quello che dice S. Alfonso nella Teologia Morale, ed. crit. II, Roma 1907, 478-483. n. 47 sotto la questione: «An subditus teneatur obedire, si dubitet, utrum sit res licita quam praelatus iubet, vel iusta causa imperandi?».






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