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S. Alfonso Maria de Liguori Messa e officio strapazzati IntraText CT - Lettura del testo |
PARTE II - L'OFFICIO STRAPAZZATO
Due cose troppo grandi ed importanti si fanno da coloro che son deputati dalla chiesa a recitare il divino officio: si loda e si onora Dio, ed insieme s'impetrano le divine misericordie a tutto il popolo cristiano. In primo luogo dunque coll'officio si onora la maestà suprema del nostro Dio: Sacrificium laudis honorificabit me: et illic iter, quo ostendam illi salutare Dei3. Io mi dichiaro onorato, dice il Signore, da chi mi offerisce sagrificj di lode; ed ivi troverà egli la via di ottenere la salute eterna.
S. Maria Maddalena de' Pazzi, quando udiva il segno dell'officio, tutta si consolava e subito correva al coro, pensando ch'era chiamata a far l'officio degli angeli che sempre stanno a lodare Dio. E questo appunto è stato l'intento della chiesa, in destinare i suoi ministri a cantar le divine lodi, acciocché gli uomini in questa terra si unissero co' beati ad onorare il comun Creatore:
Sed Illa sedes coelitum Semper, exultat laudibus: Illi canentes iungimur Almae Sionis aemuli.
Dice s. Gregorio Nazianzeno che il canto de' salmi è il preludio delle lodi colle quali è onorato il Signore dai santi in cielo: Psalmorum cantus illius (coelestis) hymnodiae praeludium est1. Sicché, come dice Tertulliano, noi recitando le ore canoniche acquistiamo quasi già il possesso del paradiso, facendo lo stesso officio che fanno i cittadini di quella bella patria beata. Quindi s. Caterina di Bologna sentiva tal giubilo nel recitar l'officio, che desiderava di finir la vita salmeggiando.
In secondo luogo coll'officio si ringrazia Dio delle grazie ch'egli continuamente dispensa agli uomini, e si ottengono a' peccatori le sue divine misericordie. Dovrebbero tutt'i fedeli continuamente impiegarsi a ringraziare il Signore de' suoi beneficj; e poiché tutti in questa terra han continuo bisogno del divino aiuto per resistere agli assalti de' nemici e per conseguire l'eterna salute, dovrebber tutti continuamente colle preghiere implorare i soccorsi della sua misericordia; ma perché i secolari vivono troppo distratti negli affari del mondo, perciò la santa chiesa ha destinati i suoi ministri, che in nome di lei e di tutto il popolo cristiano preghino sua divina Maestà in tutte l'ore del giorno. Che però l'officio è diviso in sette ore canoniche, affinché in ogni ora vi sia chi preghi per tutti e preghi nel miglior modo che si possa pregare, giacché l'officio divino non è altro che un memoriale che ci ha imposto lo stesso Dio per meglio esaudire le nostre preghiere, e soccorrere alle nostre necessità, giusta quel che ne dice per Isaia: Posui verba mea in ore tuo2 A guisa d'un principe che desidera sollevare i suoi vassalli dalle loro miserie, e perciò egli stesso compone loro la supplica, onde lo preghino come si dee, e così egli possa meglio consolarli. Cento preghiere private non posson giungere al valore che ha una sola preghiera fatta nell'officio, perché questa è presentata a Dio in nome di tutta la chiesa, e gli è fatta colle stesse sue divine parole. Quindi dicea s. Maria Maddalena de' Pazzi, che a comparazione dell'officio ogni altra orazione o divozione è poco meritoria ed efficace appresso Dio. Persuadiamoci che dopo il santo sacrificio della messa non v'è nella chiesa maggior capitale e tesoro che l'officio divino, da cui possiamo ogni giorno ricavar fiumi di grazie.
Ma dice s. Gregorio che la vera orazione non consiste solamente nella pronunzia delle parole, ma anche nell'attenzione del cuore; mentre molto più vagliono ad impetrar le divine misericordie i nostri buoni desiderj, che le nostre semplici voci: Vera postulatio non est in vocibus, sed in cogitationibus cordis; valentiores namque voces apud aures Dei non faciunt verba nostra, sed desideria3
È necessario pertanto, se vogliamo piacere a Dio, orare non solo colla voce, ma collo spirito e colla mente, come facea l'apostolo: Psallam spiritu, psallam et mente1
Oh se i sacerdoti ed i religiosi dicessero tutti l'officio come si dee, non si vedrebbe certamente la chiesa nello stato deplorabile in cui si vede! Quanti peccatori uscirebbero dalla schiavitù del demonio, e quante anime amerebbero Dio con più fervore! ed i medesimi sacerdoti non si vedrebbero sempre gli stessi imperfetti, quali sempre si osservano, iracondi, golosi, attaccati all'interesse ed alle vanità. Ha promesso il Signore di esaudire ognuno che lo prega: Omnia enim qui petit accipit2 E. come poi va che quel sacerdote fa mille preghiere in ogni giorno nel solo officio divino che recita, e non è mai esaudito? è sempre così debole e facile ricadere, non solo in colpe leggiere (nelle quali è abituato, senza però che se ne prenda pena né cura d'emendarsene), ma ancora in peccati gravi contro la carità, la giustizia o la castità; onde il misero, recitando le ore, egli stesso viene a maledirsi, quando dice: Maledicti qui declinant a mandatis tuis. E quel ch'è peggio, poco rimorso ne sente, scusandosi che, ancor esso è di carne come tutti gli altri, e che non si fida contenersi. Ma s'egli dicesse l'officio non così distratto e strapazzato come lo dice, ma divoto e raccolto, accompagnando col cuore le tante preghiere che in quello porge a Dio, non sarebbe al certo così debole com'è, ma acquisterebbe spirito e forza di resistere a tutte le tentazioni e di far vita santa, degna d'un sacerdote.
Ma, dice s. Gregorio, come può il Signore esaudire le domande di colui il quale, non sa, quello che domanda, e neppur desidera d'esser esaudito? Illam orationem non audit Deus, cui, qui orat, non intendit3. E come tu puoi pretendere, soggiunge s. Cipriano, di essere inteso da Dio, quando tu non intendi te stesso? Quomodo te audiri postulas, cum te ipsum non audias4? Dicea l'apostolo che non può essere fatta con frutto quell'orazione ch'è proferita dalla sola lingua senza l'attenzion della mente: Si orem lingua, mens autem mea sine fructu est5. Sicché l'orazione fatta con attenzione ed affetto è quel fumo odoroso ch'è molto grato a Dio, e ne riporta tesori di grazie; così per contrario l'orazione indivota e distratta è un fumo puzzolente che muove a sdegno Dio e ne riporta castighi.
Di ciò appunto Iddio si lamentò un giorno con s. Brigida, dicendole che i sacerdoti perdono tanto tempo tutto giorno, trattenendosi a parlar con amici di cose di mondo, e poi si danno tanta fretta parlando con esso nel recitar l'officio, col quale in vece di onorarlo più presto lo disonorano. Perciò dicea s. Agostino che, più piace a Dio il latrato de' cani, che il canto di tali sacerdoti. Oh Dio! qual risentimento non farebbe un principe, se vedesse un vassallo che, mentre lo sta pregando di qualche grazia, sta tutto distratto, discorrendo con altri e pensando ad altre cose, e perciò non sa che si dice? Quindi scrisse l'angelico, che non può scusarsi da peccato ognuno che facendo orazione (benché senza obbligo), volontariamente si divaga colla mente, mentre
par che costui voglia disprezzare Dio, siccome fa quegli che, parlando con una persona, non attende a quello che dice: Non est absque peccato quod aliquis orando evagationem mentis patiatur: videtur enim contemnere Deum, sicuti si alicui homini loqueretur, et non attenderet ad ea quae ipse profert1.
Ohimè! di quanti sacerdoti si lagnerà il Signore, come si lagnò una volta de' giudei: Populus hic labiis me honorat, cor autem eorum longe est a me2! E di quanti potrà anche dirsi quel che scrisse Pietro Blessense: Labia sunt in canticis, et animus in patinis3! La loro bocca sta impiegata ne' salmi, ma il cuore sta nei piatti, applicato a pensare come meglio possono contentare la gola, o pure la vanità, l'ingordigia de' danari, o di altre simili cose di terra. Disse il concilio di Treveri: Quid est voce psallere, mente autem domum aut forum circuire, nisi homines fallere, et Deum irridere4? Che altro è mai il salmeggiar colla voce, e colla mente andar poi girando per le case e per le piazze, se non ingannare gli uomini, facendo lor credere ch'essi lodino Dio, quando più presto eglino lo deridono parlandogli colla bocca, ma tenendo il cuore in ogni altra cosa occupato, fuorché in lodarlo e pregarlo. Quindi (giustamente conclude s. Basilio) essendo vero che per impetrare le grazie bisogna pregare con attenzione e con fervore, colui dunque che orerà colla mente divagata in cose impertinenti, non solo non impetrerà grazie, ma provocherà maggiormente il Signore a sdegno: Divinum auxilium est implorandum non remisse, nec mente huc vel illuc evagante; eo quod talis non solum non impetrabit, sed magis Dominum irritabit5.
Disse il Signore per Malachia, che egli maledice le lodi che gli danno quei sacerdoti, i; quali colla sola voce lo benedicono, ma tengono il cuore in ogni altra cosa occupato, fuorché in dargli onore e gloria: Et nunc ad vos mandatum hoc, o sacerdotes, si nolueritis ponere super cor, ut detis gloriam nomini meo, ait Dominus exercituum.... maledicam benedictionibus vestris6. Quindi a quel misero sacerdote che dice l'officio così strapazzato avviene appunto quel che si dice nel salmo 108: Diabolus stet a dexteris eius; cum iudicatur exeat condemnatus et oratio eius fiat in peccatum. Mentre recita quelle divine lodi, or tra' denti, or dimezzando le parole, or parlando e burlando con altri, e colla mente tutta dissipata e distratta in affari e piaceri di terra, allora l'assiste a lato il demonio; la sua mercede per tale officio sarà la condannazione eterna, poiché la medesima sua orazione gli è imputata a peccato, per la maniera indegna con cui la fa, e ciò appunto significano quelle parole: Et oratio eius fiat in peccatum.
E perciò il demonio tanto si affatica, in tempo che recitiamo l'officio, a metterci innanzi gli occhi della mente tante faccende, desiderj e pensieri di mondo, acciocché noi, occupando in quelli, perdiamo ogni frutto che dall'officio potressimo ricavare, e di più ci rendiamo rei avanti a Dio del poco rispetto, con cui lo trattiamo. Ma per lo stesso caso dobbiamo noi
mettere tutta la cura per recitar le divine lodi coll'attenzione dovuta. Dicea un saggio religioso, che quando mancasse il tempo, bisogna abbreviar anche l'orazione mentale, e dar più tempo all'officio, per dirlo con quella divozione che gli si conviene. A proposito di ciò sta scritto nelle regole de' certosini: Spiritus sanctus gratum non recipit quidquid aliud, quam quod debes, obtuleris neglecto eo quod debes1. Non gradisce Dio qualunque altra cosa tu gli offerisca di divozione, se poi trascuri quello a cui sei obbligato.
Ma lasciamo ogni altra riflessione, e veniamo, alla pratica, per recitare l'officio con quell'attenzione e divozione che si dee. Prima d'ogni altra cosa, dice a. Giovan Grisostomo, che in entrare nella chiesa (o in prender in mano il breviario) per soddisfare all'obbligo dell'officio divino, bisogna lasciare avanti la porta e licenziar da noi tutti i pensieri di mondo: Ne quis ingrediatur templum curis onustus mundanis, haec ante ostium deponamus2 Ciò appunto è quel che esorta lo Spirito santo: Ante orationem praepara animam tuam3. Considera che allora t'incarica la chiesa come suo ministro di andare a lodare il Signore, e ad impetrare le sue divine misericordie per tutti gli uomini, immaginati che ivi ti stanno attendendo gli angeli, come vide una volta il b. Ermando, con turiboli alla mano, per offerire a Dio le tue orazioni qual incenso odoroso di santi affetti, secondo dice il salmista: Dirigatur oratio mea, sicut incensum in conspectu tuo4. Che perciò l'apostolo a. Giovanni vide gli angeli i quali habebant phialas plenas odoramentorum, quae sunt orationes sanctorum5. Pensa insomma che allora vai a parlare con Dio ed a trattar seco lui del bene tuo e di tutta la chiesa; e sappi che allora egli ti sta guardando con più amore, e maggiormente tiene aperto l'orecchio alle dimande che tu gli presenti.
Per tanto al principio offeriscigli quelle lodi in suo onore e pregalo che ti liberi dalle distrazioni, e ti dia luce ed aiuto per lodarlo e pregarlo come si dee; ed a questo fine recita con attenzione la solita orazione: Aperi, Domine, os meum ad benedicendum etc. In cominciando l'officio non ti dar fretta per terminarlo quanto più presto si può, come fanno taluni, e volesse Dio che non fossero la maggior parte! Oh Dio mio! già si fa la fatica, l'officio già si dice, e poi per non mettervi un poco più di tempo, che vi vuole per dirlo con divozione, vogliamo dare disgusto a Dio, e perderci le grazie ed i meriti che potremmo guadagnarci, dicendo l'officio coll'applicazione che vi bisogna
Conviene ancora mettersi in sito decente e modesto, Se non vogliamo dirlo inginocchioni o in piedi, almeno sedendo procuriamo di non istare scomposti. Narrasi che mentre due religiosi recitavano il mattutino scompostamente assisi, e quasi buttati sul letto, comparve un demonio che sparse ivi una puzza intollerabile, e poi disse per ischerno: a quest'orazione che voi fate questo incenso si conviene: Ad talem orationem tale debetur incensum6 Gioverà molto per dir l'officio con divozione mettersi
innanzi alle immagini del Crocifisso e di Maria ss.; affinché di quando in quando rimirandole possiamo rinnovar l'intenzione e gli affetti divoti.
Applicatevi intanto, mentre recitate i salmi, se volete ricavarne gran frutto, a rinnovare di tempo in tempo l'attenzione e gli affetti: Ne quod tepescere coeperat (dice s. Agostino), omnino frigescat, et penitus extinguatur, nisi crebrius inflammetur1 Acciocché la divozione che col progresso si raffredda affatto non si estingua, se spesso non si attende ad infervorarla. Già è noto che di tre sorte è l'attenzione che può mettersi all'officio; e parlo qui dell'attenzione interna, perché in quanto all'esterna è ben necessario che ci asteniamo da ogni azione ch'è incompossibile coll'interna, come sarebbe lo scrivere, il discorre con altri, o il mettersi di proposito ad ascoltare altri che parlano, e cose simili che richiedono molta applicazione della mente. E di più bisogna qui notare quel che avvertono i dottori, cioè che si pongono a gran pericolo di non soddisfare all'officio coloro che lo recitano nelle piazze o in altri luoghi molto esposti alle distrazioni. Ma ritornando all'attenzione interna, questa può aversi in tre modi, alle parole, al senso, e a Dio, come insegnano comunemente i teologi coll'angelico, il quale dice:
Triplex est attentio quae orationi vocali potest adhiberi: Una quidem, qua attenditur ad verba, ne aliquis in eis erret: Secunda, qua attenditur ad sensum verborum: Tertia, qua attenditur ad finem orationis, scilicet ad Deum et ad rem pro qua oratur2
La prima attenzione dunque è alle parole, applicandosi la persona a proferir bene le parole, cioè intiere e distinte. La seconda è al senso, attendendo a comprendere il significato delle parole, affin di congiungervi anche l'affetto del cuore. La terza, ch'è la migliore, è a Dio, stando colla mente a Dio (mentre si ora) adorandolo, ringraziandolo, o amandolo, o pure chiedendogli le sue grazie. La prima attenzione, sempre che vi è stata a principio l'intenzione di orare, basta per soddisfare all'obbligo, non astringendo la chiesa ad altro, come insegna s. Tommaso in altro luogo: Prima est attentio ad verba, quibus petimus, deinde ad petitionem ipsam: et quaecumque earum attentionum adsit, non est reputanda inattenta oratio3. Ma chi dice l'officio con questa sola e nuda attenzione alle parole, senza alcuna applicazione delle due altre attenzioni, non lo dirà mai con divozione né senza molti difetti né con molto frutto. E qual gran frutto mai può riportare dal suo officio quel sacerdote che attende solo a recitarlo colla bocca, cercando di sbrigarlo quanto può, per liberarsi presto da quel peso come chi avesse a scaricarsi da un fascio di legna che tiene sulle spalle? o pure come chi si facesse forza per inghiottir presto una pillola amara? Peggio poi, se in mezzo alla recitazione non lascia di dissiparsi or girando gli occhi d'intorno a mirar oggetti distrattivi, ed ora talvolta frammezzandovi anche parole impertinenti. Narra 5. Bonaventura4, che in Parigi, mentre un buon sacerdote dicea l'officio, un certo prelato l'interrogò
d'un affare, ma egli altro non rispose, se non che stava parlando con un personaggio più degno di lui, e perciò non potea soddisfarlo, ed inchinando la testa seguì a recitare. All'incontro, riferisce il medesimo santo1 che un altro ecclesiastico per causa delle interruzioni fatte nell'officio era stato condannato ad un gran purgatorio.
Non si dice già che dobbiamo inquietarci o affliggerci per le distrazioni involontarie che ci molestano nell'officio. Sempre che noi non le vogliamo, non v'è difetto. Ben compatisce il Signore la nostra infermità, poiché spesso i pensieri impertinenti vengono in noi senza nostra chiamata, e perciò essi non possono impedire il frutto delle orazioni che facciamo: In spiritu et in veritate orat (dice l'angelico), qui ex instinctu spiritus ad orandum accedit, etiam si ex infirmitate aliqua mens postmodum evagetur2 Ed aggiunge che anche alle anime elevate alla contemplazione avviene che non possono star lungo tempo in 'alto, ma dal peso dell'umana miseria son tirate al basso di qualche involontaria distrazione: Mens humana diu stare in alto non potest; pondere enim infirmitatis humanae deprimitur ad inferiora. Et ideo contingit, quod cum mens orantis ascendit in Deum per contemplationem, subito evagetur3
All'incontro, dice il santo dottore, che non può essere scusato da colpa, né può riportar frutto dalla sua orazione, chi orando volontariamente e di proposito si distrae in pensieri alieni: Si quis ex proposito in oratione mente evagatur, hoc peccatum est et impedit orationis fructum4. Di proposito poi s'intende, come dicono comunemente i dottori, quando la persona avverte già che sta distratta e vuol seguire a distrarsi. Contra cui s. Cipriano esclama e dice essere una impertinenza troppo insopportabile agli occhi di Dio, il veder taluno che, mentre lo sta pregando, si mette a pensare ad altro, come vi fosse cosa più importante del parlare con Dio per implorarne le sue grazie: Quae segnitia est alienari cum Dominum precaris, quasi sit aliud quod debeas magis cogitare, quam cum Deo loquaris5. Quindi scrisse s. Bernardo: Voluntas neglecta facit cogitationes indignas Deo, pia efficaces ad fructum spiritus. Siccome la volontà rende i nostri pensieri efficaci ad acquistar frutti di spirito, così la volontà trascurata li rende indegni di Dio, e perciò meritevoli, non di grazie, ma di castighi.
È celebre nelle croniche cisterciensi la visione ch'ebbe s. Bernardo, mentre una notte salmeggiava nel coro co' suoi monaci. Vide egli al lato d'ogni monaco un angelo che scriveva; alcuni angeli scriveano con oro, altri con argento, altri con inchiostro, altri con acqua, altri finalmente stavano colla penna sospesa senza scriver cosa alcuna. Indi il Signore fe' intendere al santo che le orazioni scritte con oro significavano il fervore di carità con cui erano recitate; quelle con argento dinotavano divozione, ma minor fervore; quelle con inchiostro dinotavano la diligenza in proferir le parole, ma senza divozione; quelle con acqua dinotavano la negligenza di coloro che, distratti, poco attendeano a ciò
che proferivano colla lingua; gli angeli finalmente che nulla scriveano dinotavano l'insolenza di coloro che volontariamente si distraevano. All'incontro, s. Roberto abate, stando anche nel coro, ebbe un'altra visione. Vide il demonio che, andando in giro e trovando chi stava sonnacchioso, lo dileggiava; trovando poi alcuno distratto, ne facea gran festa, dimostrando che in colui molto guadagnava.
Per tanto, sacerdote, mio, quando prendete in mano il breviario, figuratevi che da un lato vi assista un angelo che noti' nel libro della vita i vostri meriti, se dite l'officio con divozione; e dall'altro lato il demonio che scriva le vostre colpe nel libro della morte, se lo dite distratto. E con questo pensiero, eccitatevi a recitarlo colla maggior divozione che potete avere. Procurate perciò, non solo in cominciar l'officio, ma anche in principio d'ogni salmo, di rinnovar l'attenzione, acciocché possiate accompagnar col cuore tutt'i sentimenti che vi leggerete: Cum oratis Deum, scrisse Cassiano, hoc versetur in corde, quod profertur in ore1. Quindi dice s. Agostino, Si psalmus orat, orate; si gemit, gemite; si sperat sperate2. Notò l'angelico, che le parole divote proferite colla bocca eccitano la divozione nella mente: Verba significantia aliquid ad devotionem pertinens, excitant mentes3. E vuol dire che perciò il Signore ci ha insegnato a pregar colla voce, affinché recitando le nostre orazioni ci applichiamo colla mente a chiedere quel che pronunziamo colla lingua. E questo appunto è quel che si legge nel celebre canone Dolentes, del V. concilio Lateranense, che l'officio si reciti studiose et devote, quantum Deus dederit: studiose, col proferir bene le parole; devote, con applicare il cuore a quel che si proferisce. Bisogna persuaderci di quel che dice s. Agostino, cioè, che l'impetrazione delle grazie che desideriamo per noi e per gli altri più si ottiene coi gemiti del cuore, che colle voci della bocca: Hoc negotium plus gemitibus, quam sermonibus. agitur4.
Riferisce Cassiano, che i monaci dell'Egitto diceano esser più utile cantar solo dieci versi con affetto e con pausa, che un intiero salmo con distrazione di mente: Utilius habent decem, versus cum rationabili assignatione cantari, quam totum psalmum cum confusione mentis effundi5. Oh quanti lumi e grazie si ricevon dai salmi, quando si, dicono con pausa e riflessione! Dice s. Epifanio: Psalmus mentem, illuminat, in coelum reducit, homines familiares Deo reddit, animam laetificat6 Il salmo illustra la mente, rallegra l'anima, l'indirizza al cielo e la rende familiare a Dio.
È vero che molti passi de' salmi sono oscuri e difficili ad intendersi senza spiegazione; ma molti altri son facili e chiari, che ravvivano la nostra fede, la confidenza, l'amore verso Dio e i buoni desiderj. Ravvivano la fede, mettendo avanti gli occhi le verità eterne dell'esistenza di Dio, della creazione del mondo, e de' novissimi, dell'immortalità dell'anima. Specialmente qual vigore non danno alla nostra fede le tante predizioni che ivi si leggono della grand'opera
della nostra redenzione, fatte tanti secoli prima ch'ella avvenisse? Predisse già Davide in tanti luoghi la venuta del Redentore: Redemisti me, Domine, Deus veritatis1. Redemptionem misit populo suo2 Copiosa apud eum redemptio3. Predisse particolarmente più cose della passione del Salvatore. Predisse il concilio de' principi de' sacerdoti, quando si congregarono per macchinar la morte a Gesù Cristo: Principes convenerunt in unum adversus Dominum, et adversus Christum eius4. Predisse la di lui crocifissione: Foderunt manus meas et pedes meos, dinumeraverunt omnia ossa mea5. Predisse la divisione che si fecero i carnefici delle sue vesti, e la sorte che posero per giocarsi la veste interiore ch'era inconsutile: Diviserunt sibi vestimenta mea, et super vestem meam miserunt sortem6. Predisse la sete di Gesù Cristo, e 'l fiele mischiato con aceto che gli diedero a bere sulla croce: Et dederunt in escam meam fel, et in siti mea potaverunt me aceto7. Predisse anche la conversione delle genti: Convertentur ad Dominum universi fines terrae, et adorabunt in conspectu eius universae familiae gentium8.
Quanti belli affetti poi di confidenza in Dio vi sono ne' salmi! In te, Domine, speravi, non confundar in aeternum9. In manus tuas commendo spiritum meum10 Quoniam in me speravit, liberabo eum11. Laudans invocabo Dominum, et ab inimicis meis salvus ero12 Protector est omnium sperantium in se13 Dominus firmamentum meum et refugium meum et liberator meus14 Vivet anima mea et laudabit te15. Misericordias Domini in aeternum cantabo16 Spiritus tuus bonus deducet me in terram rectam17. Dominus illuminatio mea et salus mea, quem timebo18 Sperantem autem in Domino misericordia circumdabit19. Fiat misericordia tua, Domine, super nos, quemadmodum speravimus in te20.
Quanti atti d'amore! Diligam te, Domine, fortitudo mea21. Quid mihi est in coelo? et a te quid volui super terram? Deus cordis mei, et pars mea in aeternum22. Sitivit in te anima mea, quam multipliciter tibi caro mea23 Satiabor cum apparuerit gloria tua24 Confiteantur tibi populi, Deus, confiteantur tibi populi omnes25. Magnificate Dominum mecum, et exaltemus nomen eius in id ipsum26 Memor fui Dei et delectatus sum27. Paratum cor meum, Deus, paratum cor meum28. Quemadmodum desiderat cervus ad fontes aquarum, ita desiderat anima mea ad te, Deus29 Quando veniam et apparebo ante faciem Dei30?
Quanti atti di ringraziamento! Quid retribuam Domino pro omnibus quae retribuit mihi31? Venite, audite, et narrabo, omnes qui timetis Deum, quanta fecit animae meae32 Quanti atti d'umiltà! Nisi quia Dominus adiuvit me, paulo minus habitasset in inferno anima mea33. Eruisti animam meam ex inferno inferiori34. Et non intres in iudicium cum servo tuo, quia, non iustificabitur in conspectu tuo omnis vivens35. Ego autem sum vermis et non homo, opprobrium hominum
et abiectio plebis1. Erravi sicut ovis quae periit, quaere servum tuum2 Quanti atti di pentimento! Iniquitatem odio habui et abominatus sum3. Exitus aquarum deduxerunt oculi mei, quia non custodierunt legem tuam4. Fuerunt mihi lacrymae meae panes die ac nocte, dum dicitur mihi quotidie, ubi est Deus tuus5? Quanti buoni propositi! Et custodiam legem tuam semper6 In aeternum non obliviscar iustificationes tuas7. Iuravi et statui custodire iudicia iustitiae tuae8. Ab omni via mala prohibui pedes meos ut custodiam verba tua9. Legem tuam in medio cordis mei10. Docebo iniquos vias tuas11.
Quasi tutti poi i salmi son pieni di mille sante preghiere. Solamente nel salmo 50. quante belle preghiere vi sono! Miserere mei, Deus, secundum magnam misericordiam tuam. Averte faciem tuam a peccatis meis. Cor mundum crea in me, Deus. Ne proiicias me a facie tua. Spiritu principali confirma me., Quante altre preghiere nel solo salmo 118. che si recita ogni giorno nelle ore picciole! Doce me iustificationes tuas. Revela oculos meos. Viam iniquitatis amove a me. Averte oculos meos ne videant vanitatem. Da mihi intellectum et discam mandata tua. Fiat misericordia tua ut consoletur me. Non confundas me ab expectatione mea. Adiuva me et salvus ero. Suscipe servum tuum in bonum. Aspice in me et miserere mei. Intellectum da mihi et vivam. Gressus meos dirige secundum eloquium tuum. Clamavi ad te, salvum me fac ut custodiam mandata tua. Vide humilitatem meam et eripe me. Intret postulatio mea in conspectu tuo. Tuus sum ego, salvum me fac. Fiat manus tua ut salvet me. Doce me facere voluntatem tuam12. Per gli altri passi poi che sono oscuri, io non dico osservi obbligo di studiare gl'interpreti; ma dico all'incontro che. un tale studio certamente è una 'delle applicazioni più divote e utili che può avere un sacerdote, siccome consigliò il concilio di Milano: Interpretationem studio adsequatur, unde mens animusque ad aliquem salutarem affectum incendatur13. A tal fine gioverebbe leggere il cardinal Bellarmino sovra i salmi.
Le preghiere poi più care a Dio son quelle che abbiamo nel Pater noster, ch'è l'orazione fra tutte la più eccellente, insegnataci dalla stessa bocca di Gesù Cristo; che perciò la s. chiesa vuole che tante volte la replichiamo nell'officio. Specialmente quanto sono belle le prime tre preghiere che sono insieme tre atti perfettissimi di amore: Sanctificetur nomen tuum: Adveniat regnum tuum: Fiat voluntas tua sicut in coelo et in terra! Nella prima, Sanctificetur nomen tuum, noi imploriamo che Dio si faccia conoscere ed amare da tutti gli uomini. Nella seconda, Adveniat regnum tuum, gli domandiamo ch'egli possieda intieramente i nostri cuori, regnando in essi colla sua grazia in questa vita e colla gloria nell'altra. Nella terza, Fiat voluntas tua etc., gli domandiamo il dono della perfetta uniformità, sì che facciamo la sua volontà in questa terra, siccome la fanno i beati in cielo. Nel replicare poi tante volte il Gloria Patri, quanti divoti affetti possiamo fare di fede,
di lode, di ringraziamento, di compiacenza della felicità e perfezioni di Dio! S. Maria Maddalena de' Pazzi ogni volta che diceva il Gloria Patri, inchinando la testa, figuravasi d'offerirla al carnefice in onor della fede. Inoltre la s. chiesa vuole che in principio di tutte l'ore dell'officio salutiamo e ricorriamo alla Madre di Dio Maria: per mezzo di cui allora quante grazie possiamo ottenere, giacch'ella è chiamata la tesoriera e la dispensiera di tutte le divine misericordie!
Termino. Molti sacerdoti, stimano, e chiamano gran peso l'obbligo del divino officio, ed io dico che han ragione di chiamarlo così quei che lo dicono strapazzatamente, senza divozione o con impegno di finirlo presto; perché in fatti han già da stentare almeno per un'ora a recitarlo senza gusto e con gran pena. Ma a coloro che lo dicono con divozione, gustando colla mente tanti divoti sentimenti che ivi sono espressi, ed accompagnando col cuore i santi affetti e preghiere che ivi si porgono a' Dio, non è già peso l'officio, ma è sollievo delizia dello spirito, come già avviene a' buoni sacerdoti: e se mai vuol dirsi peso, è peso di ale che ci solleva ed unisce a Dio.