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S. Alfonso Maria de Liguori
Novena del Santo Natale

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DISCORSO VI - Il Verbo Eterno da suo si è fatto nostro.

Parvulus... natus est nobis, [et] Filius datus est nobis.

(ISAIA IX, 6).

Dimmi, barbaro Erode, perché mandi ad uccidere e sagrificare alla tua ambizion di regnare tanti bambini innocenti? Dimmi di che ti disturbi? che timore hai? temi forse che il Messia già nato abbia da spogliarti del tuo regno? Quid est, parla S. Fulgenzio, quod sic turbaris, Herodes? Rex iste qui natus est non venit reges pugnando superare, sed moriendo subiugare (Serm. 5, de Epiph.). Questo Re di cui temi, dice il santo, non è venuto a vincere i potenti della terra combattendo coll'armi, ma è venuto a regnare ne' cuori degli uomini col patire e morire per loro amore: Venit ergo, conclude S. Fulgenzio, non ut pugnet vivus, sed ut triumphet occisus.1 È venuto l'amabile nostro Redentore non a far guerra in sua vita, ma a trionfare dell'amore degli uomini, per quando avrà lasciata la vita sul patibolo di una croce, com'egli stesso disse: Cum exaltatus fuero, omnia traham ad me ipsum (Io. XII, 32).2 Ma lasciamo Erode da parte, o anime divote, e veniamo a noi. Dunque il Figlio di Dio perché è venuto in terra? per darsi a noi? Sì, ce ne assicura Isaia: Parvulus... natus est nobis [et] filius datus est nobis. A ciò l'ha condotto l'amore che ci porta questo amante Signore, e 'l desiderio che ha d'essere


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amato da noi. Da suo si è fatto nostro. Vediamolo; ma prima cerchiamo luce al SS. Sacramento, e alla divina Madre.

Il maggior pregio di Dio, anzi il tutto di Dio, è l'essere suo, cioè l'essere da sé, e non dipendere da niuno. Tutte le creature, per grandi ed eccellenti che sieno, in fatti sono niente, perché quanto hanno tutto l'hanno da Dio che l'ha create e le conserva; in modo tale che se Dio lasciasse per un momento di conservarle, subito perderebbero il loro essere e ritornerebbero al niente. Dio all'incontro, perch'è da sé, non può mancare, né può esservi chi lo distrugga, o diminuisca la sua grandezza, la sua potenza, o la sua felicità. Ma S. Paolo dice che l'Eterno Padre ha dato il Figlio per noi: Pro nobis omnibus tradidit illum (Rom. VIII, 32). E che 'l Figlio medesimo si è dato per noi: Dilexit nos, et tradidit semet ipsum pro nobis (Ephes. V, 2) - Dunque Dio dandosi per noi, egli si è fatto nostro? Sì, dice S. Bernardo: Natus est nobis, qui sibi erat;3 quegli ch'era tutto a se stesso, ha voluto nascere a noi e farsi nostro. Triumphat de Deo amor.4 Questo Dio che da niuno può esser dominato, l'amore, per dir così, l'ha vinto e ne ha trionfato, sì che da suo l'ha fatto nostro. Sic... Deus dilexit mundum, ut Filium suum unigenitum daret (Io. III, 16): Sino a questo segno, disse Gesù Cristo, Dio ha amati gli uomini, che loro ha donato il suo medesimo Figlio. E 'l Figlio stesso anche per amore ha voluto donarsi agli uomini, per essere da loro amato.

In più modi avea già procurato Iddio di cattivarsi i cuori degli uomini, ora con benefici, ora con minacce, ora con promesse; ma non era giunto a conseguire l'intento. Il suo infinito amore, dice S. Agostino, trovò il modo di farlo dare per mezzo dell'incarnazione del Verbo tutto a noi, per obbligarci così ad amarlo con tutto il nostro cuore: Modum tunc, ut se proderet, invenit amor (Serm. 206, de temp.).5 Poteva egli mandare


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un angelo, un Serafino a redimere l'uomo; ma vedendo che l'uomo, se fosse stato redento da un Serafino, avrebbe avuto a dividere il suo cuore, amando con parte di quello il Creatore, e con parte il suo Redentore; Dio, che voleva tutto il cuore e tutto l'amore dell'uomo, voluit esse nobis, dice un divoto autore, Creator et Redemptor;6 siccome egli era il nostro Creatore, volle farsi ancora nostro Redentore.

Ed eccolo già venuto dal cielo in una stalla, da bambino nato per noi e dato tutto a noi: Parvulus... natus est nobis [et] Filius datus est nobis. E ciò appunto volle significare l'Angelo quando disse a' pastori: Natus est vobis hodie Salvator (Luc. II, 11). Come dicesse: uomini, andate alla grotta di Betlemme, adorate ivi quel bambino che vi troverete, steso sulla paglia, dentro una mangiatoia, che trema di freddo e piange; sappiate che quegli è il vostro Dio, che non ha voluto mandare altri a salvarvi, ma ha voluto venire egli stesso, per così acquistarsi tutto il vostro amore. Sì, perciò è venuto in terra il Verbo Eterno a conversare cogli uomini per farsi amare. Cum hominibus conversatus est (Baruch III, 38). Un re, se dice una parola di confidenza ad un vassallo, se gli fa un sorriso, se gli dona un fiore, oh quanto quel vassallo si stima onorato e fortunato! Quanto più poi se il re lo cercasse per amico! se lo tenesse con sé ogni giorno a mensa; se volesse che abitasse nel suo medesimo palagio, e che gli stasse sempre vicino! - Ah mio sommo re, mio caro Gesù, voi non potendo portare l'uomo prima della Redenzione in cielo, che gli era chiuso per cagion del peccato, siete venuto voi in terra a conversar con l'uomo qual loro fratello, e a darvi tutto all'uomo per l'amore che gli portate.- Dilexit nos et tradidit semet ipsum pro nobis. Sì, dice S Agostino, questo amorosissimo e pietosissimo Dio, per l'amore che porta all'uomo, non solo ha voluto donargli i suoi beni, ma anche se stesso: Deus piissimus prae amore hominis, non solum sua, verum se ipsum impendit.7


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Dunque tanto è l'affetto che questo sommo Signore conserva per noi vermi miserabili, che si contenta di darsi tutto a noi, nascendo per noi, vivendo per noi, sino a dare per noi la vita e tutto il suo sangue, per apparecchiarci un bagno di salute e lavarci da tutti i nostri peccati: Dilexit nos, et lavit nos... in sanguine suo (Apoc. I, 5). Ma, Signore, dice Guerrico abbate, questa par che sia una soverchia prodigalità che fate di voi stesso, per questa grand'ansia che avete di essere amato dall'uomo: Oh Deum, si fas est dicere, prodigum sui prae desiderio hominis! E come no, soggiunge, come non ha da dirsi prodigo di se stesso questo Dio, che per acquistare l'uomo perduto non solo le sue cose, ma anche se medesimo? An non prodigum sui, qui non solum sua, sed se ipsum impendit, ut hominem recuperaret?8

Dice S. Agostino che Dio per cattivarsi l'amore degli uomini, ha scoccate diverse saette d'amore ai loro cuori: Novit Deus sagittare ad amorem; sagittat, ut faciat amantem (In psal. 119).9 Quali sono queste saette? Son tutte queste creature che vediamo, poiché tutte l'ha create Dio per l'uomo, acciocché l'uomo l'amasse; onde dice lo stesso santo: Caelum et terra, et omnia mihi dicunt ut amem te.10 Pareva al santo che il sole. la luna, le stelle, i monti, le campagne, i mari, i fiumi gli parlassero e dicessero: Agostino, ama Dio, perché Dio ha creati noi per te, acciocché tu l'amassi. - S. Maria Maddalena de' Pazzi, quando teneva in mano un bel pomo o un bel fiore, diceva che quel pomo, quel fiore l'era come una saetta al cuore, che la feriva d'amore verso Dio; pensando che Dio da un'eternità aveva pensato a creare quel fiore, acciocch'ella scorgesse


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il di lui affetto, e l'amasse.11 S. Teresa ancora dicea che tutte queste belle creature che noi vediamo, le marine, i ruscelli, i fiori, i frutti, gli uccelli, tutti ci rinfacciano la nostra ingratitudine a Dio, poiché tutti sono segni dell'amore che Dio ci porta.12 Narrasi ancora di un certo divoto romito, che andando per la campagna, e trovando l'erbette e i fiori, gli sembrava che quelli gli rimproverassero la sua sconoscenza, e perciò l'andava percuotendo col suo bastoncello, loro dicendo: Tacete, tacete, v'ho inteso, non più; voi mi rimproverate la mia ingratitudine, mentre Dio v'ha creati così belli per me, acciocché io l'amassi, ed io non l'amo; tacete, v'ho inteso, non più non più. E così andava sfogando l'affetto che sentiva accendersi nel cuore verso Dio da quelle belle creature.13


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Erano dunque saette d'amore tutte queste creature al cuor dell'uomo, ma Dio di queste saette non fu contento; elle non erano già bastate a guadagnarsi l'amore degli uomini. Posuit me sicut sagittam electam, in pharetra sua abscondit me (Is. IL, [2] ). Dice Ugon cardinale su questo passo, che siccome il cacciatore tien riserbata la saetta migliore per l'ultimo colpo a fermare la fiera; così Dio fra tutti i suoi doni tenne riserbato Gesù, sino che venne la pienezza de' tempi, ed allora inviollo come per ultimo colpo a ferire d'amore i cuori degli uomini: Sagitta electa reservatur; ita Christus reservatus est in sinu Patris, donec veniret plenitudo temporis, et tunc missus est ad vulneranda corda fidelium.14 Gesù dunque fu la saetta eletta e riserbata, al colpo della quale predisse già Davide che doveano cader vinti popoli intieri: Sagittae tuae acutae, populi sub te cadent (Ps. XLIV, [6]). Oh quanti cuori feriti io vedo ardere d'amore avanti la mangiatoia di Betlemme! Quanti a' piedi della croce nel Calvario! Quanti alla presenza del SS. Sacramento su gli altari!

Dice S. Pier Grisologo che 'l Redentore per farsi amare dall'uomo volle prendere diverse forme: Propter nos alias


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monstratur in formas, qui manet unica suae maiestatis in forma (Serm. 23).15 Quel Dio ch'è immutabile volle farsi vedere or da bambino in una stalla, or da garzone in una bottega, or da reo su d'un patibolo, or da pane su d'un altare. Volle Gesù dimostrarsi a noi in queste varie sembianze, ma in tutte queste comparse sempre la comparsa d'amante. Ah mio Signore, ditemi, v'è più che inventare per farvi amare? Notas facite (gridava Isaia) ...adinventiones eius (Is. XII, 4). Andate, o anime redente, dicea il profeta, andate da per tutto pubblicando le invenzioni amorose di questo Dio amante, ch'egli ha pensate ed eseguite per farsi amare dagli uomini, mentre dopo che ha dati loro tanti suoi doni, ha voluto dare se stesso, e darsi loro in tanti modi. Si vulneris curam desideras, dice S. Ambrogio (Lib. 3, de Virg.), medicus est: se sei infermo e vuoi guarire, ecco Gesù che col suo sangue ti sana. Si febribus aestuaris, fons est: se sei tormentato da fiamme impure di affetti mondani, ecco il fonte che colle sue consolazioni ti conforta. Si mortem times, vita est; si caelum desideras, via est: in somma, se non vuoi morire, egli è la vita: se vuoi il cielo, egli è la via.16

E non solo Gesù Cristo si è dato a tutti gli uomini in generale, ma ha voluto darsi ancora a ciascuno in particolare. Ciò era quel che facea dire a S. Paolo: Dilexit me et tradidit semet ipsum pro me (Galat. II, 20). Dice S. Giov. Grisostomo, che Dio così ama ciascuno di noi, come ama tutti gli uomini: Adeo singulum quemquam hominem diligit, quo diligit orbem universum (Hom. 24, in Ep. ad Gal.).17 Sicché se nel mondo, fratello mio, non vi fosse stato altri che voi, per voi solo sarebbe venuto il Redentore, ed avrebbe dato il sangue e la vita. E chi mai potrà spiegare o capire, dice S. Lorenzo Giustiniani, l'amore che questo Dio innamorato porta ad ogni


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uomo? Neque valet explicari quo circa unumquemque Deus moveatur affectu.18 Ciò faceva dire anche a S. Bernardo, parlando di Gesù Cristo: Totus mihi datus, totus in meos usus expensus (Serm. 3, de Circumcis.).19 Ciò facea dire anche a S. Giovan. Grisostomo: Totum nobis dedit, nihil sibi reliquit.20 Ci ha dato il suo sangue, la sua vita, se stesso nel Sacramento; non gli è restato più che darci. In somma, dice S. Tommaso, dopo che Dio ci ha dato se stesso, che più può restargli da darci? Deus ultra quo se extenderet non habet (Serm. 3, de Circumcis.).21 Dopo l'opera dunque della Redenzione, Dio non ha più che darci né ha più che fare per amore dell'uomo.

Sicché ogni uomo dovrebbe dire quel che dicea S. Bernardo: Me pro me debeo, quid retribuam Domino pro se?22 Io sono di Dio, e a Dio debbo rendermi per avermi egli creato e dato l'essere; ma io dopo avergli dato me, che renderò a Dio per avermi egli dato se stesso? Ma non occorre andarci più confondendo; basta che diamo a Dio il nostro amore, e Dio è contento. I re della terra si gloriano nel dominio de' regni e delle ricchezze: Gesù Cristo è contento del regno de' nostri


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cuori; questo reputa il suo principato; e questo principato egli volle acquistarselo morendo in croce. Et factus est principatus super humerum eius (Is. IX, 6). Per queste parole, principatus super humerum eius, più interpreti con S. Basilio,23 S. Cirillo,24 S. Agostino25 ed altri, intendono la croce che 'l nostro Redentore portò sulle spalle. Questo Re celeste, dice Cornelio a Lapide, è un signore molto diverso dal demonio; il demonio carica di pesi le spalle dei suoi sudditi, Gesù all'incontro si addossa egli i pesi del suo principato, abbracciandosi la croce, sulla quale vuol morire per acquistarsi il dominio de' nostri cuori: Diabolus onera imponit humeris subditorum, Christus suis humeris sustinebit onus sui principatus, quia Christus sceptrum imperii sui, puta crucem, humeris suis baiulabit, et regnabit a ligno (A Lap., in loc. cit. Isaiae).26 Tertulliano disse che dove i monarchi terreni portano lo scettro e la corona per insegne del loro dominio, Gesù Cristo portò la croce, che fu il trono dove salì a regnare del nostro amore: Quis regum insigne potestatis suae humero praefert, et in capite diadema, aut in manu sceptrum? Solus Rex Christus Iesus potestatem suam in humero extulit, crucem scilicet, ut exinde regnaret.27

Quindi parla Origene e dice: Se Gesù Cristo ha dato se stesso ad ogni uomo, che gran cosa farà l'uomo se si tutto


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a Gesù Cristo? Christus semet ipsum dedit; quid ergo magnum faciet homo, si semet ipsum offerat Deo, cui ipse se prior obtulit Deus? (Hom. 24, in Nat.).28 Doniamo dunque di buona voglia il nostro cuore e 'l nostro amore a questo Dio, che per acquistarselo ha dovuto dare il sangue, la vita, e tutto sé.- Oh si scires donum Dei, et quis est qui dicit tibi: Mulier, da mihi bibere! (Io. IV, 7).29 Oh se intendessi, disse Gesù alla Samaritana, la grazia che ricevi da Dio, e chi è quello che ti cerca da bere! Oh se intendesse l'anima, che grazia è quella, quando Dio le domanda che l'ami, dicendole: Diliges Dominum Deum tuum!30 Se un suddito sentisse dirsi dal suo principe che l'amasse, questa sola richiesta basterebbe ad incatenarlo. E non c'incatena un Dio, chiedendoci il nostro cuore, dicendo: Praebe, fili mi, cor tuum mihi? (Prov. XXIII, 26).

Ma questo cuore non lo vuol dimezzato, lo vuole tutto ed intiero; vuole che noi con tutt'il cuore l'amiamo: Diliges Dominum tuum ex toto corde tuo. Se no, non è contento. A questo fine egli ci ha dato tutto il suo sangue, tutta la sua vita, tutto se stesso, acciocché gli diamo tutti noi stessi, e siamo tutti suoi. Ed intendiamo che allora noi daremo tutt'il nostro cuore a Dio, quando gli daremo tutta la nostra volontà; non volendo da qui avanti se non quello che vuole Dio, il quale certamente non vuole che 'l nostro bene e la nostra felicità: In hoc Christus, dice l'Apostolo, mortuus est, ut mortuorum et vivorum dominetur. Sive ergo morimur, sive vivimus, Domini sumus (Rom. XIV, 8).31 Gesù ha voluto morire per noi; più non avea che fare per guadagnarsi tutto il nostro amore, e per essere unico signore del nostro cuore; onde da oggi innanzi dobbiamo far sapere al cielo ed alla terra, in vita ed in morte, che non siamo più nostri, ma siamo solamente e tutti del nostro Dio.

Oh quanto desidera Dio di vedere, e quanto gli è caro un cuore ch'è tutto suo! Oh le finezze amorose che fa Dio, i beni, le delizie, la gloria che apparecchia Dio nel paradiso ad un cuore ch'è tutto suo! Il Ven. P. Gian Leonardo di Lettera domenicano vide un giorno Gesù Cristo che in sembianza di cacciatore


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andava per la foresta di questa terra con un dardo in mano; gli domandò il servo di Dio, che andasse così facendo! Gesù rispose che andava a caccia de' cuori.32 Chi sa, dico io, se in questa novena riuscirà al Redentore bambino di ferire e di far preda di qualche cuore, del quale prima è andato molto tempo a caccia, e non gli è riuscito mai di ferirlo e guadagnarlo. Anime divote, se Gesù farà acquisto di noi, noi faremo acquisto di Gesù. Il cambio è assai più vantaggioso per noi. Teresa - disse un giorno il Signore a questa santa - sinora non sei stata tutta mia; or che tu sei tutta mia, sappi ch'io sono tutto tuo.33 S. Agostino chiama l'amore Vittam copulantem amantem cum amato,34 una fascia che stringe l'amante coll'amato. Dio ha tutto il desiderio di stringersi e d'unirsi con noi; ma bisogna che noi ancora procuriamo di unirci con Dio. Se vogliamo che Dio diasi tutto a noi, bisogna che ancora noi ci diamo tutti a Dio.




1 “Quid est quod sic turbaris, Herodes? Quoniam natum regem Iudaeorum audisti, turbaris, suspicionibus agitaris, invidiae stimulis infiammaris, et ob hoc natum regem occidere conaris. Inanis est ista turbatio tua, et vana prorsus turbatio tua. Rex iste qui natus est non venit reges pugnando superare, sed moriendo mirabiliter subiugare: nec ideo natus est ut tibi succedat, sed ut in eum mundus fideliter credat. Venit enim, non ut pugnet vivus, sed ut triumphet occisus: nec ut sibi de aliis gentibus auro exercitum quaerat, sed ut pro salvandis gentibus pretiosum sanguinem fundat.” S. FULGENTIUS, Ruspensis in Africa episcopus, Sermo IV, De Epiphania deque Innocentum nece, n. 5. ML 65-734.



2 Et ego si exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum. Io. XII, 32.



3Parvulus, ait, natus est nobis, et filius datus est nobis. Nobis, inquam, non sibi, qui utique ante tempora multo nobilius natus ex Patre, nasci temporaliter non indigebat ex matre. Non angelis quoque, qui cum magnum haberent, parvulum non requirebant. Nobis ergo natus, nobis et datus, quia nobis necessarius.” S. BERNARDUS, De laudibus Virginis Matris, super “Missus” hom. 3, n. 13. ML 183-78.



4 “Quid violentius? Triumphat de Deo amor. Quid tamen tam non violentum? Amor est.” S. BERNARDUS, In Cantica, Sermo 64, n. 10. ML 183-1088.



5 Non abbiamo trovato questo testo presso S. Agostino, nel Sermone (del resto, non suo) 206 de tempore (ora, in Appendice, sermo 42).

6 “Deus homo factus est, ut idem esset Creator et Redemptor, et ut de suo liberaretur homo, et ut familiarius ab homine diligeretur Deus, in similitudinem hominis apparens, et uterque sensus in ipso beatificaretur, et reficeretur oculus cordis in eius divinitate et oculus corporis in eius humanitate, ut, sive ingrederetur, sive egrederetur, in ipso pasena inveniret natura condita ab ipso.” UGO DE S. VICTORE, Miscellanea (inter dubia, in Appendice), lib. 1, titulus 87. ML 177-519.



7 “Dixi eum (Dominum) non avarum, et forte invenio avarum. Avarus est: sed nos vult habere, nos vult acquirere. Pro nobis tantum pretium dedit se ipsum: nohil ad hoc pretium addi potest. Dedit pretium se ipsum, et facius est Redemptor noster.” S. AUGUSTINUS, Sermo 359, n. 2. ML 39-1591.



8 “Oh Deum, si fas est dici, prodigum sui prae desiderio hominis! An non prodigum sui, qui non solum sua, sed se ipsum impendit, ut hominem recuperaret?” GUERRICUS Abbas, In festo Pentecostes, Sermo 1, n. 1. ML 185-157.



9 “Novit Dominus sagittare ad amorem et nemo pulchrius sagittat ad amorem, quam qui verbo sagittat; imo sagittat cor amantis ut adiuvet amantem, sagittat ut faciat amantem.” S. AUGUSTINUS, Enarratio in Ps. CXIX. ML 37-1600.



10 “Non dubia sed certa conscientia, Domine, amo te. Percussisti cor meum verbo tuo, et amavi te. Sed et caelum, et terra, et omnia quae in eis sunt, ecce undique mihi dicunt ut te amem, nec cessant dicere omnibus, ut sint inexcusabiles.” S. AUGUSTINUS, Confessiones, lib. 10. cap. 6, n. 8. ML 32-782.

11 “In mangiando alcuna volta qualche pomo, quando l'era permesso nutrirsi di cibi quadragesimali, talmente s'internava nel contemplare, nella vaghezza di esso, la provvidenza e liberalità di chi l'avea creato, che non sentiva né gusto né sapore alcuno.” PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 1, cap. 34. - Così parla alla Santa il Padre Eterno (La stessa opera, parte 5, Terza notte, pag. 451): “Tutte le creature sono come tante ruote (di un oriuolo), che col suo movimento ed operazioni naturali servono all'uomo e lo muovono a lodarmi (come le ruote dell'orologio servono finalmente ad indicare l'ora col suono). Egli è come la campana che in vece di tutte le creature a lui soggette, con la sua lingua monda e col suo cuor puro, mi rende quella lode e quel suon che io desidero... E quando non rende questo tributo, a me tanto dovuto, egli ingiustamente e come tiranno riceve il tributo dell'opere loro dalle creature... Perciò, figliuola, servendoti delle creature, intendi quanto sei obbligata con esse e per esse a lodarmi.”



12 “Aprovechàbame a mì también ver campo u agua, flores. En estas cosas hallaba yo memoria del Criador; digo, que me despertaban y recogian y servian de libro, y en mi ingratitud y pecados.” S. TERESA, Libro de la Vida, cap. 9: Obras, I, 65. - “ En todas las cosas criadas mire la providencia de Dios y sabiduria, y en todas le alabe.” S. TERESA, Avisos, 35: Obras, VI, 51. - Sentiamo la bella testimonianza della nipote della Santa Madre: “No habia cosa, hasta las plantas y flores muy pequenas de la huerta y las criaturas que Dios habia criado, aun insensibles, que no estuviese siempre diciendo: “Bendito sea el que te criò, “ ensenando a esta declarante que hiciese lo proprio cuando ella las viese.” Declaraciòn de la Hermana Teresa de Jesùs, en el segundo Proceso de Avila (1610), art. 72. Obras, II, 334.



13 Ci pare fondatissima l'ipotesi, già da noi altrove accennata, che questo “divoto romito” sia stato S. Paolo della Croce, fondatore dei Passionisti (+ 1775). Di lui racconta il suo biografo: “Camminando ne' prati o nelle campagne, nel vedere i fiori, alberi ed erbe: “Tacete, tacete,” era udito dire, “non predicate più”. Viaggiando da Terracina a Ceccano, nel passare in mezzo ad una macchia, all'improvviso con gran vivezza di spirito: “Non vedi, disse al compagno, non senti, che questi alberi e queste foglie gridano amor di Dio, ama Dio?” Uscito all'aperto, sempre più acceso il suo cuore, a quanti incontrava: “Fratelli, diceva, amate Dio, amate Dio: che lo merita tanto.” PIO DEL NOME DI MARIA, Vita, lib. 4, cap. 2, § 2. - Ma perché quel gran missionario che fu S. Paolo della Croce vien chiamato “ divoto romito”? S. Paolo e suo fratello Giovanni menarono prima vita eremitica: nel 1721, si ritirarono nel “romitorio” della SS. Annunziata; poi, in un “romitorio” del Monte Argentaro; nel 1723, nel “ romitorio” della Madonna SS. della Catena, nella diocesi di Gaeta. Ora, di quel primo periodo della vita del Santo, poté avere S. Alfonso, anzi ebbe certamente notizie particolari. Nel 1724, infatti, i due fratelli, non per ragion di ministero, non essendo ancora sacerdoti, invitati dal santo vescovo di Troia, Mgr Emilio Cavalieri, si recarono in quella città, furono alloggiati nell'episcopio, e si trattennero “presso Mgr Cavalieri con santa reciproca conversazione per lo spazio di circa sei mesi”. (Opera citata, lib. 2, cap. 1, 2, 3.) Ora, Mgr. Cavalieri era fratello di Donna Anna Cavalieri, madre di S. Alfonso; e proprio verso quel tempo, ebbe gran parte nell'incoraggiare il nipote nella sua vocazione, tanto contrastata. Come mai lo zio non avrebbe accennato col nipote ai suoi santi amici, e specialmente a Paolo? Forse da Mgr Cavalieri conobbe S. Alfonso il particolare, non riferito dal biografo, del bastoncello con cui il “divoto romito” dolcemente percuoteva erbette e fiori, a quanto pare, nel giardino dell'episcopio. - Di questi due santi, per tanti riguardi l'uno all'altro simili, Paolo precedeva di due anni Alfonso nell'età (3 gennaio 1694, 27 settembre 1696), e fu preceduto di pochi mesi da Alfonso nel sacerdozio (21 dicembre 1726, 7 giugno 1727). - Essendo morto Paolo nel 1775, celebre in tutta Italia, non può darsi che S. Alfonso non abbia sentito parlar di lui: ma avrà saputo che quello fosse il “divoto romito,” già amico dello zio? Non possiamo affermarlo.



14 “Sagitta electa reservatur usquedum necesse sit: ita Christus quasi reservatus est in sinu Patris donec venit plenitudo temporis... Et tunc missus est ad vulnerandum corda fidelium promissione bonorum et comminatione poenarum.” HUGO A SANCTO CHARO, Commentarium in Isaiam, cap. 49, v. 2.

15 “Tibi ergo rex, tibi sacerdos, tibi pastor, tibi sacrificium, tibi ovis, tibi anus, tibi totum factus est qui fecerat totum. Et qui sibi numquam, tibi toties immutatur, propter te varias monstratur in formas, qui manet unicae suae maiestatis in forma.” S. PETRUS CHRYSOLOGUS, Sermo 23. ML 52-264.



16 “Omnia igitut habemus in Christo... Si vulnus curare desideras, medicus est: si febribus aestuas, fons est: si gravaris iniquitate, iustitia est: si auxilio indiges, virtus est: si mortem times, vita est: si caelum desideras, via est: si tenebras fugis, lux est: si cibum quaeris, alimentum est.” S. AMBROSIUS, De virginitate, n. 99. ML 16-291.



17 “Adeo unumquemque hominem pari caritatis modo diligit, quo diligit orbem universum.” S. IO. CHRYSOSTOMUS, In Epistolam ad Galatas, cap. 2, v. 20. MG 61-646.

18 “Praecellit namque omnem maternum ac filialem affectum Verbi Dei immensa caritas, neque humano valet explicari eloqui, quo circa unumquemque moveatur amore.” S. LAURENTIUS IUSTINIANUS, De triumphali Christi agone, cap. 5 (in principio).



19 “Totus siquidem mihi datus, et totus in meos usus expensus est.” S. BERNARDUS, In circumcisione Domini Sermo 3, De die octavo, n. 4. ML 183-157.



20 Questa sentenza viene esposta da S. Gio. Grisostomo, non già in questi termini, ma molto a lungo, in più luoghi: In Matthaeum, hom. 25 (al. 26), n. 3, MG 57, 331-332; In Matthaeum, hom. 76 (al. 77), n. 5, MG 58-700; Expositio in Ps. 44, n. 11, MG 55-200. - Vedi il nostro vol. I, Appendice, 13, pag. 412, 413.



21 “Tanta est bonitas Dei... tantam requirebat societatis coniunctionem, ut de omnibus bonis suis nullum incommunicatum retineret et de malis suorum nullum susceptum relinqueret. Ipsa enim bonitatis eiusdem immensitas, pro ipsa fontis abyssali copiositate, fluxus habere debuit usque ad ultimum et supremum, ut essent opera misericordiae et benevolentiae ab ipso fluentia, ultra quae et supra quae quo se extenderet non haberet. “ Inter Opuscula Sancti Thomae Aquinatis, Opusculum 63 (non genuinum), De beatitudine, cap. 2, Tertium principale.



22 “Quod si totum me debeo pro me facto, quid addam iam te pro refecto hoc modo? Nec enim tam facile refectus, quam factus. Siquidem non solum de me, sed de omni quoque quod factum est, scriptum est: Dixit, et facta sunt. At vero qui me, tantum et semel dicendo, fecit, in reficiendo profecto et dixit multa, et gessit mira, et pertulit dura; nec tantum dura, sed et indigna. Quid ergo retribuam Domino pro omnibus quae retribuit mihi? In primo opere me mihi dedit, in secundo se: et ubi se dedit, me mihi reddidit. Datus ergo, et redditus, me pro me debeo, et his debeo. Quid Deo retribuam pro se? Nam etiamsi me millies rependere possem, quid sum ego ad Deum?” S. BERNARDUS, De diligendo Deo, cap. 5. ML 182-983.

23 “Cuius imperium est super humerum eius: hoc est, regnum et potestas in cruce. In crucem enim exaltatus, omnes ad seipsum traxit.” S. BASILIUS MAGNUS, Comment. in Isaiam prophetam, cap. 9, v. 6. MG 30-511.



24 “Factum vero principatum eius ait super humerum eius, videturque nonnullis huiusmodi quidpiam intelligere: Qoniam enim, inquit, crucem portans humeris Dominus noster Iesus Christus ad passionem salutarem venit et exaltatus est et orbem terrarum per seipsum obtinuit: hinc fuisse dicitur principatus eius super humeros eius.” S. CYRILLUS ALEXANDRINUS, In Isaiam prophetam, lib. 1, Oratio 5. MG 70-254.



25 “Tunc enim Christus principatum super humeros habuit, quando crucem suam admirabili humilitate portavit. Non incongrue crux Christi principatum significat.” Inter Opera S. Augustini, Sermo 6 (inter supposititios) in Appendice, n. 3. ML 39-1750.



26 “Diabolus et tyranni suam virgam et sceptum, puta onera imperii sui, imponunt humeris subditorum: at Christus suis humeris sustinebit virgam et onus sui principatus; praesertim quia Christus insigne et sceptrum imperii sui, puta crucem, humeris suis baiulabit, atque regnabit a ligno Deus, ut canit Ecclesia.” CORNELIUS A LAPIDE, Commentaria in Isaiam, cap. 9, v. 6.



27 “Quis omnino regum insigne potestatis suae humero praefert, et non aut capite diadema, aut in manu sceptrum, aut aliquando propriae vestis notam? Sed solus novus rex saeculorum Christus Iesus, novae gloriae (al. novam gloriam) et potestatem et sublimitatem suam in humero extulit, crucem scilicet, ut secundum superiorem prophetiam exinde Dominus regnaret a ligno.” TERTULLIANUS, Adversus Iudaeos, cap. 10. ML 2-628.

28 Non sappiamo nulla di queste Omelie di Origene.



29 Io. IV. 10.



30 Deut. VI, 5.



31 Sive ergo vivimus, sive morimur, Domini sumus. In hoc enim Christus mortuus est et resurrexit, ut et mortuorum et vivorum dominetur. Rom. XIV, 8, 9.



32 Domenico Maria marchese, o. P., Sagro Diario Domenicano, 12 febbraio, I, pag. 231. Napoli, 1668.



33 “Estas (palabras) me dice Su Majestad muchas veces, mostràndome gran amor: “Ya eres mia y Yo soy tuyo.” S. TERESA, Libro de la Vida, cap. 39. Obras, I, 355. - (En la Encarnaciòn, a mediados de Noviembre de 1572.) “... Representòseme (Su Majestad) por visiòn imaginaria, como otras veces, muy en lo interior, y diòme su mano derecha, y dijome: “Mira este clavo, que es senal que seràs mi esposa desde hoy. Hasta ahora, non lo habias merecido; de aquì adelante, no sòlo como Criador y como Rey y tu Dios miraràs mi honra, sino como verdadera esposa mia. Mi honra es ya tuya y la tuya mia.” S. TERESA, Obras, II, Mercedes de Dios, XXXV, pag. 64. - Notisi però che prima, anzi più anni prima d'innalzarla alla dignità suprema di “Sposa”, Nostro Signore aveva detto più volte alla Santa Madre: “Ya eres mia y yo soy tuyo,” essendo queste parole riferite, come più volte ripetute dal Signore nel Libro de la Vida, scritto nel 1562, e possono essere di non poco anteriori.



34 “Quid est ergo amor nisi quaedam vita (leggi piuttosto vitta, come manifestamente richiede il senso) duo aliqua copulans, amantem scilicet et quod amatur?” S. AUGUSTINUS, De Trinitate, lib. 8, cap. 10. ML 42-960.






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